L’insegnamento di Giovanni Paolo II sul diritto dei popoli e delle nazioni a disporre della loro esistenza e del loro futuro è ancora attuale per il Libano di oggi. C’è il tentativo di “cancellare dalla coscienza dei libanesi la loro memoria e la loro identità”.
Beirut (AsiaNews) - Si pensa di aver detto tutto di Giovanni Paolo II. Errore. C’è ancora molto da dire specialmente sulla sua difesa del diritto delle nazioni di disporre liberamente di se stesse, per quanto piccole siano. Nessuno conosceva il mondo così bene come quest’uomo, che nessuno e nulla intimidiva, quando si tratta di difendere la verità, i diritti dell’uomo e i diritti delle nazioni. I suoi numerosi viaggi l’avevano messo al centro dei problemi più grandi dell’umanità, in tutti i continenti. Tuttavia, tutte le azioni che ha compiuto, in questo campo, si sono ispirate a una teologia molto elaborata, direttamente legata al dogma dell’Incarnazione, alla persone stessa del Cristo. “L’uomo è la via della Chiesa, diceva, ma il Cristo è la via dell’uomo”.
Per Giovanni Paolo II, come ha detto così bene nella sua opera, “Memoria e identità”, la nazione, così come la famiglia, è una società naturale e non il frutto di una convenzione. A queste società naturali si legano, per lui, diritti inalienabili analoghi a quelli di cui può godere l’essere umano. “Le nazione – scriveva – in maniera analoga agli individui, sono dotate di una memoria storica”.
Giovanni Paolo II accordava all’etica il primato sulla politica, e leggeva i numerosi problemi a cui erano confrontati la Chiesa e il mondo in termini morali. Il suo segretario privato, il cardinale Stanislas Dziwisz, racconta nella sua opera, “Una vita con Karol”, che Giovanni Paolo II di ritorno dalla Thailandia, si era “davvero incollerito” quando un giornalista gli aveva fatto i complimenti per aver lanciato un appello alla comunità internazionale affinché si interessasse al dramma terribile degli immensi campi di raccolta dei rifugiati del Sud est asiatico. “Lei ha posto il problema politico dei rifugiati…” aveva osato dire il giornalista. E il Papa, con una voce quasi irritata: “E’ umano! Umano! Non è politico! Ridurre questo alla politica, è un’idea falsa. La dimensione fondamentale dell’uomo è la dimensione morale ». Avrebbe reagito nello stesso modo davanti alla situazione delle nostre prigioni, dei nostri campi o della miseria delle nostre banlieu e dei nostri spazi rurali, che contrastano con il lusso ostentato di alcune classi sociali.
Parlando delle nazioni, Giovanni Paolo II era d’altronde cosciente della differenza di maturità fra i popoli. Sapeva bene che esistono due o tre secoli di scarto fra le prese di coscienza nazionale della Francia o degli Stati Uniti, nel XVIII secolo, e questo stesso processo fra le giovani nazioni dell’Asia, d’Africa o del Medio oriente, come testimoniano tutti i movimento di liberazione nazionale del XX secolo, e oggi stesso alcune delle rivolte popolari che avvengono nel mondo arabo.
Oggi il diritto di alcune nazioni all’esistenza, alla loro propria cultura, alla sovranità politica fa fatica ad affermarsi sotto alcuni cieli. Nel caso del Libano questa coscienza deve, giorno dopo giorno, affermarsi contro una potenza politica che glielo nega e tenta di cancellare dalla coscienza dei libanesi la loro memoria e la loro identità, in particolare continuando a ignorare le loro istituzioni e la loro autonomia di decisione.
Da parte sua Giovanni Paolo II abbordava pubblicamente queste crisi da una prospettiva etica. E’ per questo che ha lanciato, nel 1989, un appello angosciato per la fine dei bombardamenti siriani su Beirut, in cui si riferiva direttamente alla Bibbia. “In nome di Dio, in nome di Dio – scriveva – mi rivolgo alle autorità siriane, per chiedere la fine del bombardamento teso a distruggere la capitale libanese e il Libano tutto intero. Che non si prenda l’atteggiamento di Caino che è diventato colpevole uccidendo suo fratello”, scriveva il 15 maggio 1989, in piena “guerra di liberazione”.
Come ha ben sottolineato l’opera “Una vita con Karol”, sotto l’impulso di Giovanni Paolo II l’approccio diplomatico del passato, che mirava ottenere spazi di libertà per la Chiesa, è stato rimpiazzato da una strategia nuova, che privilegiava il dialogo con i popoli, depositari del patrimonio culturale, e con le nazioni, garanti dell’identità nazionale, sul dialogo esclusivo con gli Stati e i governi.
Beirut (AsiaNews) - Si pensa di aver detto tutto di Giovanni Paolo II. Errore. C’è ancora molto da dire specialmente sulla sua difesa del diritto delle nazioni di disporre liberamente di se stesse, per quanto piccole siano. Nessuno conosceva il mondo così bene come quest’uomo, che nessuno e nulla intimidiva, quando si tratta di difendere la verità, i diritti dell’uomo e i diritti delle nazioni. I suoi numerosi viaggi l’avevano messo al centro dei problemi più grandi dell’umanità, in tutti i continenti. Tuttavia, tutte le azioni che ha compiuto, in questo campo, si sono ispirate a una teologia molto elaborata, direttamente legata al dogma dell’Incarnazione, alla persone stessa del Cristo. “L’uomo è la via della Chiesa, diceva, ma il Cristo è la via dell’uomo”.
Per Giovanni Paolo II, come ha detto così bene nella sua opera, “Memoria e identità”, la nazione, così come la famiglia, è una società naturale e non il frutto di una convenzione. A queste società naturali si legano, per lui, diritti inalienabili analoghi a quelli di cui può godere l’essere umano. “Le nazione – scriveva – in maniera analoga agli individui, sono dotate di una memoria storica”.
Giovanni Paolo II accordava all’etica il primato sulla politica, e leggeva i numerosi problemi a cui erano confrontati la Chiesa e il mondo in termini morali. Il suo segretario privato, il cardinale Stanislas Dziwisz, racconta nella sua opera, “Una vita con Karol”, che Giovanni Paolo II di ritorno dalla Thailandia, si era “davvero incollerito” quando un giornalista gli aveva fatto i complimenti per aver lanciato un appello alla comunità internazionale affinché si interessasse al dramma terribile degli immensi campi di raccolta dei rifugiati del Sud est asiatico. “Lei ha posto il problema politico dei rifugiati…” aveva osato dire il giornalista. E il Papa, con una voce quasi irritata: “E’ umano! Umano! Non è politico! Ridurre questo alla politica, è un’idea falsa. La dimensione fondamentale dell’uomo è la dimensione morale ». Avrebbe reagito nello stesso modo davanti alla situazione delle nostre prigioni, dei nostri campi o della miseria delle nostre banlieu e dei nostri spazi rurali, che contrastano con il lusso ostentato di alcune classi sociali.
Parlando delle nazioni, Giovanni Paolo II era d’altronde cosciente della differenza di maturità fra i popoli. Sapeva bene che esistono due o tre secoli di scarto fra le prese di coscienza nazionale della Francia o degli Stati Uniti, nel XVIII secolo, e questo stesso processo fra le giovani nazioni dell’Asia, d’Africa o del Medio oriente, come testimoniano tutti i movimento di liberazione nazionale del XX secolo, e oggi stesso alcune delle rivolte popolari che avvengono nel mondo arabo.
Oggi il diritto di alcune nazioni all’esistenza, alla loro propria cultura, alla sovranità politica fa fatica ad affermarsi sotto alcuni cieli. Nel caso del Libano questa coscienza deve, giorno dopo giorno, affermarsi contro una potenza politica che glielo nega e tenta di cancellare dalla coscienza dei libanesi la loro memoria e la loro identità, in particolare continuando a ignorare le loro istituzioni e la loro autonomia di decisione.
Da parte sua Giovanni Paolo II abbordava pubblicamente queste crisi da una prospettiva etica. E’ per questo che ha lanciato, nel 1989, un appello angosciato per la fine dei bombardamenti siriani su Beirut, in cui si riferiva direttamente alla Bibbia. “In nome di Dio, in nome di Dio – scriveva – mi rivolgo alle autorità siriane, per chiedere la fine del bombardamento teso a distruggere la capitale libanese e il Libano tutto intero. Che non si prenda l’atteggiamento di Caino che è diventato colpevole uccidendo suo fratello”, scriveva il 15 maggio 1989, in piena “guerra di liberazione”.
Come ha ben sottolineato l’opera “Una vita con Karol”, sotto l’impulso di Giovanni Paolo II l’approccio diplomatico del passato, che mirava ottenere spazi di libertà per la Chiesa, è stato rimpiazzato da una strategia nuova, che privilegiava il dialogo con i popoli, depositari del patrimonio culturale, e con le nazioni, garanti dell’identità nazionale, sul dialogo esclusivo con gli Stati e i governi.
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