Gli scontri tra le forze del governo e quelle dell’opposizione nella regione libica delle Western Mountains, conosciuta anche come Nefusa Mountains, hanno bloccato l’accesso di migliaia di civili in fuga, aggravandone l’emergenza umanitaria.
Radio Vaticana - Dal mese di aprile infatti sono fuggite almeno 40 mila persone. Secondo fonti dell’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr) riprese dalla Fides, oltre 8 mila, prevalentemente donne e bambini berberi, sono arrivati completamente sprovvisti di tutto a Dehiba, località di frontiera in Tunisia. Gli scontri hanno impedito la distribuzione delle forniture essenziali a Yafran, Qalaa e altre città, sollevando preoccupazione sulle condizioni della popolazione. Scarseggiano anche medicine, personale sanitario e cibo. In una nota diffusa dasll’agenzia Irin, un cooperante della associazione umanitaria libica el-Hurra, una delle principali distributrici di cibo, vestiario, giocattoli e cure mediche nei campi profughi, definisce catastrofica la situazione nel Paese. Circa 1.500 persone hanno trovato accoglienza nel campo profughi di Ramada, in Tunisia, 25 chilometri dal confine con la Libia. Secondo l’ International Medical Corps (Imc), le forze del governo potrebbero avere inquinato i pozzi che forniscono acqua a Nalut. Le famiglie sono molto preoccupate per la loro permanenza nei campi profughi. Secondo l’Imc negli ultimi giorni le forze del governo hanno lanciato oltre 50 missili Grad a Zintan, e altri attacchi sono stati perpetrati alle periferie di Nalut. Secondo Human Rights Watch (Hrw), vista la portata degli attacchi che hanno danneggiato moschee, abitazioni, e sfiorato gli ospedali, il governo si è concentrato poco sugli obiettivi militari da colpire. Il direttore del pronto soccorso dell’ospedale di Tataouine in Tunisia, 100 chilometri da Dehiba, ha dichiarato che ogni giorno in ospedale vengono assistiti almeno 5 profughi libici. Prima dell’inizio degli scontri a febbraio, Zintan, città prevalentemente abitata da arabi, aveva 40 mila residenti. Nalut e Takut, prevalentemente berbere, ne aveva rispettivamente 93 mila e 10 mila. (R.P.)
Radio Vaticana - Dal mese di aprile infatti sono fuggite almeno 40 mila persone. Secondo fonti dell’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr) riprese dalla Fides, oltre 8 mila, prevalentemente donne e bambini berberi, sono arrivati completamente sprovvisti di tutto a Dehiba, località di frontiera in Tunisia. Gli scontri hanno impedito la distribuzione delle forniture essenziali a Yafran, Qalaa e altre città, sollevando preoccupazione sulle condizioni della popolazione. Scarseggiano anche medicine, personale sanitario e cibo. In una nota diffusa dasll’agenzia Irin, un cooperante della associazione umanitaria libica el-Hurra, una delle principali distributrici di cibo, vestiario, giocattoli e cure mediche nei campi profughi, definisce catastrofica la situazione nel Paese. Circa 1.500 persone hanno trovato accoglienza nel campo profughi di Ramada, in Tunisia, 25 chilometri dal confine con la Libia. Secondo l’ International Medical Corps (Imc), le forze del governo potrebbero avere inquinato i pozzi che forniscono acqua a Nalut. Le famiglie sono molto preoccupate per la loro permanenza nei campi profughi. Secondo l’Imc negli ultimi giorni le forze del governo hanno lanciato oltre 50 missili Grad a Zintan, e altri attacchi sono stati perpetrati alle periferie di Nalut. Secondo Human Rights Watch (Hrw), vista la portata degli attacchi che hanno danneggiato moschee, abitazioni, e sfiorato gli ospedali, il governo si è concentrato poco sugli obiettivi militari da colpire. Il direttore del pronto soccorso dell’ospedale di Tataouine in Tunisia, 100 chilometri da Dehiba, ha dichiarato che ogni giorno in ospedale vengono assistiti almeno 5 profughi libici. Prima dell’inizio degli scontri a febbraio, Zintan, città prevalentemente abitata da arabi, aveva 40 mila residenti. Nalut e Takut, prevalentemente berbere, ne aveva rispettivamente 93 mila e 10 mila. (R.P.)
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