sabato, giugno 04, 2011
Sono trascorsi 22 anni da quando l'Esercito di liberazione popolare aprì il fuoco contro le proteste pacifiche in corso a Pechino e in altre città della Cina uccidendo centinaia, se non migliaia, di studenti e cittadini comuni che stavano chiedendo un governo più aperto e responsabile. Ma nulla sembra essere cambiato...

Amnesty International - Nei due decenni successivi a quella dura repressione, il governo cinese ha respinto ogni richiesta volta a ricostruire in modo trasparente e onesto cosa accadde a piazza Tiananmen e nei suoi dintorni il 3 e il 4 giugno 1989. Quello che molti chiamano un massacro, è ora definito dal Partito comunista cinese una mera "agitazione politica". Giorni fa, la Cina ha aperto i suoi archivi nazionali segreti ma non quelli contenenti la documentazione storica su Tiananmen (e su altre scomode "agitazioni politiche", per evitare di danneggiare la "privacy" e la "reputazione" di chicchessia).

Ma le brutali tattiche repressive usate la notte tra il 3 e il 4 giugno 1989 e nei giorni successivi per stroncare il movimento studentesco per la democrazia, non fanno solo parte della storia. Sono, ancora oggi, uno strumento per sopprimere anche la possibilità di sfidare il monopolio del potere del Partito comunista. Vengono usate regolarmente per limitare la libertà d'associazione, d'espressione e d'assemblea riconosciute dalla Costituzione cinese.

Di recente, il governo ha reagito alle rivolte popolari del Medio Oriente e dell'Africa del Nord ricorrendo a intimidazioni, minacce e arresti nei confronti di chiunque ritenesse una potenziale fonte di critica.

A partire dalla fine di febbraio, Amnesty International ha documentato i casi di oltre 130 blogger, avvocati e altri attivisti arrestati dalla polizia, sottoposti a sorveglianza e intimidazioni da parte delle forze di sicurezza o "scomparsi". Alcuni di essi avevano preso parte al movimento del 1989 e ancora una volta si sono trovati nel mirino delle autorità. Molti di essi rischiano l'incriminazione per il reato omnicomprensivo di "incitamento alla sovversione dei poteri dello stato", usato massicciamente proprio nella repressione del 1989. Il loro elenco comprende:

Chen Wei, attivista del Sichuan, arrestato dalla polizia il 26 febbraio e incriminato per "incitamento alla sovversione";
Ding Mao, un altro attivista del Sichuan e fondatore del Partito socialdemocratico, ancora privo di riconoscimento legale. Arrestato il 19 febbraio, è stato a sua volta incriminato per "incitamento alla sovversione";
Li Hai, arrestato il 26 febbraio e accusato di "provocato disordini", per il fatto di aver pubblicizzato la "rivoluzione dei gelsomini" in corso in Medio Oriente. Si trova attualmente sotto sorveglianza e in attesa di processo. Era stato già in carcere negli anni Novanta per "divulgazione di segreti di stato": aveva compilato una lista di persone imprigionate dopo le proteste di Tiananmen del 1989;
Wang Lihong, arrestata il 21 febbraio e incriminata per "aver radunato una folla per arrecare disturbo all'ordine pubblico".

Tra le vittime più illustri del reato di "incitamento alla sovversione dei poteri dello stato" figurano anche il Nobel per la pace 2010 Liu Xiaobo e l'attivista Liu Xianbin, coautori di "Carta 08" il manifesto politico che chiede un cambiamento politico pacifico in Cina. Stanno scontando una condanna rispettivamente a 11 e 10 anni di carcere. Entrambi erano stati già in carcere per aver preso parte al movimento studentesco del 1989.

È presente 1 commento

mogol_gr ha detto...

Gli attivisti del Dalai Lama come quelli del sì al nucleare.

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