mercoledì, giugno 15, 2011
L’Equipe di coordinamento del Movimento dei laici Scalabriniani di Africa ed Europa di fronte agli attuali drammatici eventi migratori che si stanno consumando nel Mediterraneo vuole dare voce alle donne, agli uomini e ai bambini che per fuggire fame, miseria, guerre e persecuzioni decidono di affrontare con coraggio sovrumano un viaggio spesso tragico

Nell’area arabo-mediterranea eventi inimmaginabili solo fino a pochi mesi fa: quella che è stata chiamata la “primavera araba” sta facendo saltare i vecchi regimi nel nord Africa e non solo. E’ in atto uno sconvolgimento epocale, che è sfuggito alle nostre analisi occidentali e, soprattutto, alle nostre politiche, in particolare quelle legate alle migrazioni. Per contrastare e bloccare l’immigrazione clandestina ed irregolare in Europa si era puntato su regimi monarchico-teocratici o dittatoriali, ai quali avevamo concesso protezione e mezzi, affinché essi assicurassero una stabilità, soprattutto nel sud del Mediterraneo. Non avevamo minimamente considerato le situazioni gravi di sfruttamenti, ingiustizie e mancanza di partecipazione popolare.

Queste dighe fittizie sono saltate ed ora ci ritroviamo di fronte a fenomeni di fuga, difficilmente controllabili, con decine di migliaia di fuggiaschi e di disperati, che cadono nelle reti criminali dei “sensali di carne umana”, al di là dei programmi delle istituzioni che si rivelano inadeguati ed impotenti.

Come laici che si rifanno alle idee ed allo spirito di Scalabrini, un combattente in difesa dei diritti degli emigrati all’epoca del grande esodo degli italiani, esprimiamo le nostre perplessità e il nostro disappunto sulle politiche migratorie europee, in particolare per quanto concerne l’attuale esodo dalla Libia.
Non accettiamo la logica di interessi geopolitici e, soprattutto economici che ha portato all’attuale “guerra” ed alla sua escalation: il regime dittatoriale di Gheddafi, appoggiato fino a qualche mese fa, è stato scaricato anche dall’Italia non tanto per i proclamati ideali “democratici”, quanto piuttosto per interessi economici.
Facciamo notare che i disperati che affrontano la morte nel loro viaggio verso Lampedusa e verso l’Europa sono, nella quasi totalità, migranti che, ingaggiati come lavoratori in Libia, provengono dall’Etiopia, Eritrea, Somalia ed all’Africa sub sahariana, ma anche da alcuni paesi asiatici e nell’attuale situazione di guerra non solo sono rimasti senza lavoro, ma rischiano di diventare oggetto di persecuzione e di nuove discriminazioni, in quanto vengono considerati un “prodotto” e, quindi alleati del precedente regime.
Nonostante ci troviamo di fronte a numeri consistenti di fuggiaschi e di richiedenti asilo, riteniamo che l’enfasi martellante sulla “invasione” sia strumentale ed in buona parte demagogica, in quanto funzionale ai discorsi di politica interna, in particolare della Francia e dell’Italia: i nostri Paesi possono affrontare l’accoglienza e l’inserimento di una quota consistente di persone, che stanno vivendo una emergenza umanitaria, nonostante il periodo di crisi.
Riteniamo che la continua “fuga verso l’eccezione” riguardo alle norme europee, invocata in queste settimane in nome dell’emergenza, più che una soluzione alle problematiche ed alle dinamiche migratorie attuali è segno dell’impotenza e, a volte, dell’insipienza delle politiche nazionali riguardanti le migrazioni.
Siamo convinti che il fallimento della “politica europea di sviluppo”, concentrata principalmente negli aiuti per il contrasto migratorio, deve portare l’Europa ed i Paesi europei (ed in particolare l’Italia) ad impostare una politica di sviluppo nei confronti dei Paesi del Sud del Mediterraneo, tendente alla partecipazione popolare, alla costruzione di un “ceto medio” e ad investimenti in politiche di sviluppo per i giovani.

Per noi, laici scalabriniani, è un impegno fondamentale dare il nostro contributo al risveglio e alla promozione di una “primavera culturale” della nostra mentalità europea, dominata dalla paura dell’invasione. Se dobbiamo rispondere alle paure e alle insicurezze sentite e vissute dalla popolazione, non possiamo fondare una politica di governance delle migrazioni sulle paure, ma, nella nostra tradizione culturale europea, sui diritti della persona umana.

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