venerdì, giugno 10, 2011
Il welfare non è sottoposto solo ai tagli, ma anche a una crisi di consenso. E’ quanto emerge dalla sintesi del “Rapporto sui diritti globali 2011″ (Edizioni Ediesse).

Volontariatoggi - Tutti i sondaggi, infatti, dicono che gli italiani tengono ai loro servizi pubblici, ma sono sempre più selettivi e competitivi su chi “meriti” di accedervi. Su questi temi, secondo il rapporto, ci sono ragioni strutturali: per esempio la globalizzazione provoca l’indebolimento del rapporto mercato-nazione che si porta dietro anche l’indebolimento del nesso redistribuzione-nazione. “E questo -si legge- non fa che assottigliare il ruolo del welfare come strumento di governo e di coesione sociale”.
C’è poi una criticità data dalla rottura dei dispositivi della delega cittadino-politica, per cui c’è un potenziale mandato sociale che non trova ascolto, come dice il Censis: “La stagione in cui i bisogni delle persone potevano trovare risposte in istanze di tipo collettivo e in un impegno delle forze politiche e sociali per tradurre questi interessi generali in altrettante politiche è finita”. A questo si aggiunge la rottura della coesione sociale, e quello che viene battezzato “il welfare meritato”: una quota importante di italiani non vuole che sia universalistico e che ne possano fruire soggetti “non meritevoli”. Si tratta dunque di un consenso ‘ad excludendum’, basato su quella triplice frammentazione che il sociologo Aldo Bonomi definisce la rottura tra comunità operosa, comunità della cura, comunità del rancore, e sul solo “movimento” oggi esistente, quello verso il basso.

Detto questo, mentre si sa che l’onda lunga della crisi porterà i suoi detriti fino al 2017 (almeno secondo il Fondo Monetario Internazionale), la politica governativa cala la sua scure sulle risorse del welfare. Secondo quanto riportato nel “Rapporto sui diritti globali 2011″, dal 2008 al 2011 i dieci principali ambiti di investimento sociale hanno avuto tagli complessivi pari al 78,7%, passando da 2.527 milioni di euro stanziati nel 2008 ai 538 milioni della legge di stabilità 2011.

In particolare il fondo per le politiche sociali: per il 2010 sono stati stanziati 435 milioni complessivi (380 milioni vanno alle Regioni); nel 2009 erano stati 584, perdita secca di 149 milioni; il fondo sarà di 273,8 milioni nel 2011, 69 milioni nel 2012 e 44 nel 2013 (e il federalismo non compenserà). Fondo per la famiglia: nel 2008 è stato di 346,5 milioni, nel 2009 di 186,5 milioni e di 185,3 milioni nel 2010. Il 2011 vede un taglio del 71,3% rispetto al 2010, con soli 52,5 milioni di euro stanziati. Fondo nazionale per l’infanzia e l’adolescenza: da 43,9 milioni a 40 nel 2011. E così è anche con il fondo per l’inclusione sociale degli immigrati: varato nel 2007 dal governo Prodi con 100 milioni è fatto sparire già nel 2008 dal governo Berlusconi. Il piano straordinario di intervento per lo sviluppo del sistema territoriale dei servizi socio-educativi per la prima infanzia aveva avuto 446 milioni nel triennio 2007-2009, e dal 2010 non è stato più finanziato. La non-autosufficienza? finanziato nel 2008 con 300 milioni, con 400 nel 2009, nel 2010 non c’è più. Azzerate le pari opportunità dalla legge di stabilità, poi riprese dal Milleproroghe con 17,2 milioni. Prima delle crisi, nel 2008, i fondi erano di 64 milioni. Tagliati anche i fondi di sostegno all’affitto (-70% fra il 2001 e il 2010; ora è di 33 milioni).

E per Comuni e Regioni? La legge di stabilità arriva a una manovra di 14,3 miliardi per il 2011e 25 nel 2012: gli enti locali ne pagano il 40% nel 2011 e il 34% nel 2012. La spesa sociale dei Comuni vede diminuire i trasferimenti dallo Stato centrale e aumentare il gettito da tributi e tariffe pagati dai cittadini: +13% tra il 2004 e il 2008, pari a 2 miliardi di euro. In quel periodo, alla spesa corrente ogni cittadino italiano ha partecipato in media con 934 euro pro capite nel 2004, con 965 nel 2008 (+3,3%).

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