Cinque anni nelle mani dei rapitori. A chi importa ancora della sorte del militare rapito al confine con Gaza?
di Luca Galassi
PeaceReporter - Ricorre oggi il quinto anno di cattività del soldato Gilad Shalit. Nessuno - in successione i primi ministri Ehud Olmert, Ehud Barak e Benyamin Netanyahu - è stato in grado di riportarlo a casa. Estenuanti negoziati, vacue promesse, inutili attese: per Israele sono stati cinque anni di fallimento. Come scrivono oggi sul quotidiano Haaretz, ogni possibile sviluppo negoziale si è arenato a due anni fa, nel dicembre 2009, quando Israele e Hamas si irrigidirono sulle proprie offerte, creando un divario ancora oggi non colmato. Un gap tra la massima concessione di Tel Aviv e la minima richiesta di Hamas. I dettagli dell'eventuale accordo sono noti a tutti, nonostante entrambi non abbiano mai lesinato di rimarcare l'estremismo della posizione nemica: liberazione di Shalit in cambio del rilascio, in due fasi, di un migliaio di prigionieri palestinesi, alcuni dei quali di alto profilo.
Perché le cose non hanno funzionato? Forse perché rimane disaccordo su una dozzina di prigionieri politici, in carcere perché hanno compiuto atti terroristici o perché considerati tali dai giudici israeliani. Forse perché Shalit serve a una fazione per evitare che l'altra riceva legittimazione attraverso un accordo. Forse perché le circostanze non sono mature, e potrebbero esserlo in occasione di un evento tale da poter potenzialmente sconvolgere gli equilibri mediorientali.
In definitiva, però, lo scenario attuale e futuro potrebbe non tenere conto di questi fattori, ma essere definito da un'intensificazione dell'attività diplomatica su più livelli. Domani inizierà il sesto anno di prigionia per il giovane militare, rapito a vent'anni al confine tra Gaza e Israele. Nei cinque anni in cattività si sono succeduti tre primi ministri israeliani e diversi mediatori. A Gaza è stato imposto il blocco, Piombo Fuso ha devastato la Striscia, e il Medio Oriente si è incendiato. Il presidente siriano Assad subisce una rivoluzione pericolosa e l'Egitto, come è accaduto per il vertice al Cairo tra Hamas e Fatah, si è inserito tra le parti come possibile mediatore. Nuove relazioni tra gli attori mediorientali potrebbero aprire la strada a una stagione negoziale diversa, dove gli israeliani sarebbero chiamati a considerare di estendere l'accordo da cosiddetto 'umanitario' (scambio di prigionieri) a un patto più generale, che includa non solo il riconoscimento formale di Hamas come 'interlocutore' nel negoziato, ma anche l'accettazione del suo peso specifico negli equilibri palestinesi in vista di nuove elezioni. Potra mai accadere?
A poco serviranno le pressioni internazionali su Hamas, dalla gigantografia con palloncini del sindaco di Roma Gianni Alemanno alle sue missive indirizzate ai primi cittadini delle maggiori città europee, affinché conferiscano a Shalit la cittadinanza onoraria.
Purtroppo sono state troppe le occasioni nelle quali Shalit avrebbe potuto essere giocato come carta vantaggiosa per Hamas, ma col tempo il tiro alla fune si è arricchito di nuove braccia: Hamas ha rifiutato due giorni fa la richiesta della Croce Rossa di poter verificare le sue condizioni di salute; di conseguenza, Netanyahu ha ribadito il carcere duro per i prigionieri politici. La rassegnazione oggi sembra aver contagiato non solo quegli israeliani a cui importa della sua vita, ma anche i suoi familiari, che in più occasioni hanno accusato il governo di non avere a cuore la sorte del figlio.
Il rapimento del soldato Shalit al valico di Kerem Shalom fu organizzato con l'obiettivo dichiarato di utilizzarlo come merce di scambio, un grimaldello per aprire le carceri israeliane. Oggi la sua prigionia sembra quella di un condannato per reati politici. Coloro che alzano continuamente la posta sono i membri dell'ala militare di Hamas, gli intransigenti, gli irriducibili. Quelli che in tutti questi anni l'hanno tenuto come scudo umano e assicurazione sulla vita, oggi continuano ad abbandonarsi alla fantasia di avere un potere su Israele: quello di convincerlo ad assecondare anche i loro più irrealizzabili desideri.
di Luca Galassi
PeaceReporter - Ricorre oggi il quinto anno di cattività del soldato Gilad Shalit. Nessuno - in successione i primi ministri Ehud Olmert, Ehud Barak e Benyamin Netanyahu - è stato in grado di riportarlo a casa. Estenuanti negoziati, vacue promesse, inutili attese: per Israele sono stati cinque anni di fallimento. Come scrivono oggi sul quotidiano Haaretz, ogni possibile sviluppo negoziale si è arenato a due anni fa, nel dicembre 2009, quando Israele e Hamas si irrigidirono sulle proprie offerte, creando un divario ancora oggi non colmato. Un gap tra la massima concessione di Tel Aviv e la minima richiesta di Hamas. I dettagli dell'eventuale accordo sono noti a tutti, nonostante entrambi non abbiano mai lesinato di rimarcare l'estremismo della posizione nemica: liberazione di Shalit in cambio del rilascio, in due fasi, di un migliaio di prigionieri palestinesi, alcuni dei quali di alto profilo.
Perché le cose non hanno funzionato? Forse perché rimane disaccordo su una dozzina di prigionieri politici, in carcere perché hanno compiuto atti terroristici o perché considerati tali dai giudici israeliani. Forse perché Shalit serve a una fazione per evitare che l'altra riceva legittimazione attraverso un accordo. Forse perché le circostanze non sono mature, e potrebbero esserlo in occasione di un evento tale da poter potenzialmente sconvolgere gli equilibri mediorientali.
In definitiva, però, lo scenario attuale e futuro potrebbe non tenere conto di questi fattori, ma essere definito da un'intensificazione dell'attività diplomatica su più livelli. Domani inizierà il sesto anno di prigionia per il giovane militare, rapito a vent'anni al confine tra Gaza e Israele. Nei cinque anni in cattività si sono succeduti tre primi ministri israeliani e diversi mediatori. A Gaza è stato imposto il blocco, Piombo Fuso ha devastato la Striscia, e il Medio Oriente si è incendiato. Il presidente siriano Assad subisce una rivoluzione pericolosa e l'Egitto, come è accaduto per il vertice al Cairo tra Hamas e Fatah, si è inserito tra le parti come possibile mediatore. Nuove relazioni tra gli attori mediorientali potrebbero aprire la strada a una stagione negoziale diversa, dove gli israeliani sarebbero chiamati a considerare di estendere l'accordo da cosiddetto 'umanitario' (scambio di prigionieri) a un patto più generale, che includa non solo il riconoscimento formale di Hamas come 'interlocutore' nel negoziato, ma anche l'accettazione del suo peso specifico negli equilibri palestinesi in vista di nuove elezioni. Potra mai accadere?
A poco serviranno le pressioni internazionali su Hamas, dalla gigantografia con palloncini del sindaco di Roma Gianni Alemanno alle sue missive indirizzate ai primi cittadini delle maggiori città europee, affinché conferiscano a Shalit la cittadinanza onoraria.
Purtroppo sono state troppe le occasioni nelle quali Shalit avrebbe potuto essere giocato come carta vantaggiosa per Hamas, ma col tempo il tiro alla fune si è arricchito di nuove braccia: Hamas ha rifiutato due giorni fa la richiesta della Croce Rossa di poter verificare le sue condizioni di salute; di conseguenza, Netanyahu ha ribadito il carcere duro per i prigionieri politici. La rassegnazione oggi sembra aver contagiato non solo quegli israeliani a cui importa della sua vita, ma anche i suoi familiari, che in più occasioni hanno accusato il governo di non avere a cuore la sorte del figlio.
Il rapimento del soldato Shalit al valico di Kerem Shalom fu organizzato con l'obiettivo dichiarato di utilizzarlo come merce di scambio, un grimaldello per aprire le carceri israeliane. Oggi la sua prigionia sembra quella di un condannato per reati politici. Coloro che alzano continuamente la posta sono i membri dell'ala militare di Hamas, gli intransigenti, gli irriducibili. Quelli che in tutti questi anni l'hanno tenuto come scudo umano e assicurazione sulla vita, oggi continuano ad abbandonarsi alla fantasia di avere un potere su Israele: quello di convincerlo ad assecondare anche i loro più irrealizzabili desideri.
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Sono presenti 9 commenti
Veramente non capisco. Ma di 7000 prigionieri palestinesi nelle prigioni israeliane interessa forse qualcosa ai “lieti” Lettori di ispirazione cattolica? E che mestiere faceva il caporale Shalit? Non era forse il carceriere di una prigione dove ad esserci rinchiusi dentro sono un milione e mezzo di persone da almeno cinque anni? È chiaro ed evidente che la propaganda israeliana e sionista abbia deciso di lanciare una campagna “pro Shalit”, ma i “lieti” e “perfetti” Lettori di ispirazione cattolica non capiscono la manovra mediatica o sono essi stessi “lieti” strumenti di questa campagna di propaganda?
Com'è che è sempre propaganda israeliana? Le persone vanno in prigione perchè commettono reati, non perchè israele è una dittatura, oppure anche i tanti attentati terroristici su autobus, pizzerie e centri son anche quelle propagande israeliane?
Mio caro, ci sono o non ci sono prigionieri nelle carceri israeliane? Vuoi un elenco con tipologia? Che mestiere faceva il caporale Shalit? Non eludere le questioni che ho già posto, perché se fai ciò riveli di essere un Troll? Sai cosa sono i troll? Ma quali “reati”? Ti risulta che nel 1948 vi è stato una “pulizia etnica” del 50 per cento della popolazione autoctona? E che il 50 per cento dei villaggi palestinesi sono stati allora distrutti e cancellati dalla carta geografica? Questo non è “genocidio” o sono quisquilie? E tu mi vieni a parlare del soldatino Shalit? Ma chi è e cosa è costui? Cosa mi rappresentanta? Il diritto di Israele di tenere in carcere non una persona, ma un milione e mezzo di persone? E questo shalit non era uno dei carcerieri? E quali reati avrebbero commesso il milione e mezzo di prigionieri (infanti, donne, bambini, vecchi, anziani, sani, malati...) in Gaza, di cui il soldatino Shalit era carceriere? Se vuoi credere quel che ti piace, sono affari tuoi e della tua “lieta” coscienza di perfetto cattolico, ma a me lasciami ragionare con la testa mia e vedere le cose per quel che sono...
Se hai studiato diritto penale, dovresti sapere cosa è tecnicamente parlando è un “reato”. È quello che Netanyahu dice che è un “reato”. Se lui dice menzogne e viene in Italia a prenderci in giro, basta che scriva che averlo criticato è un gravissimo “reato” ed appena metti piedi in israele, ti arrestano e vai in galera a tenere compagnia ai 7.000 prigionieri palestinesi, di cui non pochi sono bambini...
Questa parola “terrorismo” è un’offesa aggiuntiva che viene fatta alle vittime. Ed è tipica della propaganda israeliana. A cascarci in questo inganno o sono gli sciocchi o chi usa questo termine per coprire i crimini di Israele è egli stesso connivente e complice di questi crimini contro l’umanità, che Israele compie ininterrottamente dal 1948 e che sono impliciti nel progetto del sionismo. Signor Cattolico, lieto e perfetto, dovresti andarti a leggere le annate del cattolicissimo Osservatore Romano durante gli anni del mandato britannico, per farti un’idea “cattolica” di cosa è il sionismo e di come si arriva al soldatino Shalit. Nella tua “letizia” cerca di ricordarti dei sei milioni di profughi palestinesi che soffrono indicibilemnte grazie a tanti soldatini Shalit.
Un esempio di reato: (ANSA) - GERUSALEMME, 26 GIU - Rischiano il divieto di ingresso in Israele per dieci anni, il sequestro dell'equipaggiamento e eventuali altre sanzioni i giornalisti stranieri che parteciperanno alla flottiglia internazionale di attivisti filopalestinesi che intende forzare il blocco navale israeliano di Gaza per portare aiuti umanitari. Questo l'avvertimento che il governo israeliano ha rivolto oggi ai media stranieri.
L'Associazione della Stampa Estera in Israele ha replicato: messaggio ''agghiacciante''.
Per concludere e lasciare il sito: mi sembra evidente che mentre partono navi da tutto il mondo per richiamare l‘attenzione sul gravissimo assedio da cinque anni a questa parte di una popolazione di un milione e mezzo di persone, tenute in prigionia da carcerieri come il soldato Shalit, la propaganda israeliana lancia la campagna in favore dello stesso Shalit che era il carceriere di un milione e mezzo di persone: è finito “dentro” quella prigione che lui custodiva dall’esterno. Davvero una situazione kafkiana. La gente si preoccupa del carceriere e non dei carcerati! Un mondo morale alla rovescia. E meno mane che questo è un sito di ispirazione cattolica! Figuriamoci se non lo fosse!
Un saluto a tutti i nostri lettori. Sono Fabio Vitucci, caporedattore de La Perfetta Letizia.
Vorrei semplicemente sottolineare che La Perfetta Letizia cerca di essere molto equilibrata nei suoi giudizi e di non prendere le ragioni né dell'una né dell'altra parte. Io, per esempio, ho scritto un articolo molto duro su Israele (http://www.laperfettaletizia.com/2011/01/israele-ora-basta.html), e sul giornale potete trovare tanti articoli e tanti approfondimenti sul conflitto arabo-israeliano, dove secondo me ci sono tante colpe da entrambe le parti che non consentono di avviare un vero processo di pace.
Detto questo, invito cortesemente chi commenta a non lasciare giudizi salaci e offensivi sugli altri lettori del quotidiano. Ci piacerebbe inoltre che i lettori firmassero i loro interventi.
Naturalmente abbiamo totale rispetto per le opinioni di tutti... per cui continuate a seguirci e commentare!
Qui di Lettori, che commentano, ce ne sono in tutto tre, di cui uno firmato con nome e cognome, l’altro firmato Fabietto, caporedattore, e l’altro è il sottoscritto che preferisce restare Anonimo. Quindi, nessuna mancanza di rispetto per i “Lettori”. La critica se mai è al modo in cui la redazione si rivolge a lettori supposti “lieti” e di “ispirazione cristiana”. È mai possibile che una redazione intelligente non si accorga che l’operazione Shalit venga lanciata in contemporanea con il viaggio della Freedom Flotilla II, che va a liberare non uno Shalit, ma un milione e mezzo di persone, di cui Shalit era appunto “carceriere”? Saranno pure “lieti” e “cristiani” i lettori che Fabietto si immagina di intercettare, ma mi auguro non “coglioni” o che Fabietto non pensi siano tale.
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