“11 settembre – Una storia che continua” edito da Effatà Editrice è l’ultimo libro di Alessandro Gisotti, giornalista e redattore del Radiogiornale di Radio Vaticana. Un libro che rilegge i tragici eventi dell’11 settembre 2001 dalle storie e dalle testimonianze dei sopravvissuti, per andare oltre la tragedia e guardare il presente e l’avvenire con speranza.
di Monica Cardarelli
Ci sono eventi che cambiano la storia. La cultura, l’economia, le relazioni di un intero paese possono essere messe a dura prova da fatti di forte impatto con tutta la tragicità che portano con loro. È questo il caso dell’attentato alle Torri Gemelle, le famose “Twins Towers”, dell’11 settembre 2001. Ci sono però diversi modi di considerare questi eventi e di avvicinarsi alla conoscenza di tutto quello che ne è scaturito, andando oltre la tragicità dell’evento. È questo il caso di Alessandro Gisotti che nel suo libro “11 settembre – Una storia che continua”, edito da Effatà Edizioni, ha scelto di partire dalle persone, dalle loro storie e testimonianze per conoscere, cercare di capire e sicuramente condividere cum-passione la vita dei sopravvissuti e dei familiari delle vittime.
Nella prefazione al libro, il card. Francio E. Gerorge, arcivescovo di Chicago, afferma: “Alessandro Gisotti ha scelto di esaminare questa tragedia dal suo punto d’inizio, guardando ai suoi effetti su alcune persone la cui vita è ora segnata dalla morte e dalla distruzione portate dagli attacchi alla loro città e alla loro famiglia. Con compassione e discrezione giornalistica, Gisotti ha intervistato un giornalista televisivo, un vigile del fuoco, un impiegato al Pentagono, la famiglia di una giovane rimasta uccisa nello schianto dell’aeroplano diretto verso la Casa Bianca, coloro che sgomberarono e ripulirono Ground Zero e che ora soffrono di patologie polmonari irreversibili, un poliziotto di New York, una psicologa specializzata in disturbo post-traumatico da stress, il sacerdote cattolico parroco della St. Peter’s Church, all’ombra delle Twin Towers abbattute in quel drammatico giorno. Questo libro è nato dai loro racconti. I loro mondi sono cambiati in maniera irreversibile, e anche noi non possiamo più vedere né raccontare adeguatamente il nostro mondo senza comprendere ciò che è successo loro”.
Questo, dunque, il punto di partenza e l’approccio scelto dall’autore: le persone. Non i fatti, dati storici da cui partire, ma la vita e la testimonianza delle persone toccate da vicino da questa tragedia. Ecco allora che nelle pagine di questo libro Alessandro Gisotti ci offre la testimonianza della famiglia di Honor Elizabeth Wainio, una delle vittime del Volo United 93, partito da Newark e diretto a San Francisco e che, l’11 settembre 2001 alle 10.03 si schiantò in un campo di Shanksville, nella Pennsylvania. “L’unico aereo che, quel giorno, non riuscì a colpire il suo bersaglio, probabilmente il Campidoglio o la Casa Bianca, perché i passeggeri si ribellarono al progetto criminale dei terroristi. Negli Stati Uniti, i trentatre passeggeri e i sette membri dell’equipaggio dello United 93 sono considerati degli eroi come i firefighters di New York”, scrive Gisotti nel suo libro.
Elizabeth era una ragazza laureata in comunicazione e sognava di diventare giornalista. Ora, in qualche modo, riesce ad aiutare altri a realizzare il suo sogno. Infatti, la Towson University, vicino Baltimora, che oggi conta 21.000 studenti, ha istituito una borsa di studio in onore della sua ex-alunna. Lori Amstrong, vice presidente dell’Associazione Alunni dell’Università, racconta che “fin dall’inizio, l’idea è stata proprio quella di dare una mano agli studenti che vogliano intraprendere la professione del giornalista. Un sostegno che ricevono così a nome di Elizabeth e che ha già dato la possibilità a tredici allievi di realizzare il proprio sogno.” E termina affermando: “Io ho un figlio di dieci anni. E voglio che quando crescerà si renda conto della follia che in quel giorno tremendo ha causato così tanto dolore. È importante che le giovani generazioni non dimentichino l’11 settembre e che da quanto accaduto possano trarre una lezione per diventare cittadini responsabili”.
È un tema ricorrente, quello del non dimenticare, del tramandare alle generazioni future il ricordo di quanto successo, come forma di rispetto nei confronti di quanti hanno perso la vita, ma anche perché solo ricordando, si può dare forma a quanto vissuto e andare oltre. È il caso di Daniel Nigro, il vigile del fuoco italo-americano che comandò le operazioni in quel terribile giorno in cui ben 343 vigili, i ‘firefighters’, persero la vita. “Non dimenticare. Non dimenticare mai cosa è successo quel giorno, (…) non dimenticare gli eroi, le vittime e le famiglie che devono vivere senza i propri cari.” E per far ciò, Nigro da anni si impegna in numerose organizzazioni come ad esempio la 9/11 Families’ Association. “Sebbene sia felice della mia vita, della mia famiglia e di molte delle mie attività, (…) mi rendo conto che dietro tutto questo c’è una profonda tristezza che può sempre riemergere in me. Ed è ciò che a volte succede per davvero. Io provo a tenere questa tristezza dentro di me, ma quelli che mi conoscono bene se ne rendono subito conto. Ho provato ad essere più attento alla dimensione spirituale della vita e a tentare di comprendere meglio il prossimo. Ho cercato di essere più lento all’ira e più gentile. A volte ci riesco, altre no”.
La testimonianza di Vito Friscia, un poliziotto di New York, ci introduce nella tragedia dei sopravvissuti. Quel giorno, appena avvisato della tragedia, si era recato verso la punta sud di Manhattan. “Il giovane poliziotto era ormai a solo un isolato di distanza dal World Trade Center quando la seconda Torre è venuta giù - ci spiega Gisotti - La gigantesca nube scaturita dal crollo lo ha investito in pieno. Ma appena la polvere si è posata al suolo, Vito ha raggiunto il luogo del disastro. Per l’eroico agente, tuttavia, la parte più probante inizia dopo quelle due settimane. Insieme ad altre migliaia di poliziotti, viene infatti inviato alla discarica di Fresh Kills Landfill a Staten Island, dove i camion riversano ininterrottamente le macerie delle Twin Towers. Vito e i suoi colleghi devono cercare effetti personali e purtroppo anche resti umani che possano identificare le vittime. Un compito estremamente gravoso a cui si aggiungono gli effetti deleteri sulla salute causati dall’alta tossicità dei detriti ispezionati”. Infatti, come scrive l’autore: “Vito, come migliaia di soccorritori, si è ammalato a causa delle polveri respirate a Ground Zero e alla discarica di Fresh Kills Landfill. Tosse cronica, forti emicranie, problemi di respirazione e perfino un cambio della tonalità della voce sono i sintomi che lo accompagnano ormai da dieci anni e che, sfortunatamente, potrebbero anche peggiorare in futuro. In un primo momento, il detective della omicidi non ne voleva sapere di farsi curare. Sarebbe stata un’ammissione di debolezza incompatibile con il suo ruolo di poliziotto newyorkese tutto d’un pezzo. E per di più di origini italiane. Poi, per amore della famiglia, ha messo da parte l’orgoglio e ha accettato di sottoporsi ad una serie di accertamenti al Mt. Sinai Hospital di New York per poi intraprendere delle cure”.
L’entità del tragico evento è davvero enorme e, soprattutto, continua ad interessare un intero popolo con tutte le conseguenze che ne derivano. La cosa che colpisce però in questo libro di Alessandro Gisotti è il messaggio di speranza che traspare sempre e da ogni testimonianza riportata. Pur non sottovalutando la portata dei problemi e degli enormi cambiamenti avvenuti a livello sociale, culturale, psicologico e affettivo, nelle parole riportate dall’autore c’è sempre la sensazione che la speranza sia più forte della morte, che la voglia di vivere sia più forte della paura di morire e che vivere a New York oggi non sia un semplice sopravvivere alla tragedia, ma significhi mantenere viva la memoria di tutti coloro che hanno perso la vita l’11 settembre 2001.
Nel capitolo in cui Gisotti incontra il Reverendo Kevin Madigan, parroco di St. Peter’s, ad esempio, ci poniamo con lui la domanda che molti si sono posti: “Dopo quanto successo ad Auschwitz, molti si sono chiesti dove fosse Dio. Domando allora al sacerdote se qualcuno dei suoi parrocchiani si sia chiesto dove fosse Dio l’11 settembre 2001. «Sì, certo», risponde, «molti si sono posti questo interrogativo. Ma la cosa sorprendente è ciò che è avvenuto il giorno dopo quando tantissime persone si sono riversate nella zona del disastro per dare una mano. Dov’era Dio? Era in quegli uomini pronti a servire il prossimo».”
Così come dalle parole di James Laychak, presidente del Pentagon Memorial Fund, che l’11 settembre perse il fratello David, impiegato civile al Pentagono, si legge: “Tutte le persone che sono ricordate qui (…) sono ora in un posto migliore. Per questo mi piace pensare al memoriale come ad una celebrazione della vita. Penso ad ognuna di queste persone, alle loro storie, al fatto che le loro vite siano raccontate come stai facendo ora tu con mio fratello. E così celebriamo la loro vita e non pensiamo alla tragedia, al fumo e al fuoco di quel giorno. Ora abbiamo davanti a noi un luogo bellissimo che ci mostra quali grandi cose possiamo fare quando siamo uniti. Per me, allora, l’eredità che ci hanno lasciato è di pensare alla vita, a come possiamo fare per vivere in modo diverso. Questo è il modo migliore per onorare i nostri cari. (…) c’è bisogno di aumentare gli sforzi di comprensione reciproca, di promuovere un messaggio di tolleranza. Capire che in definitiva siamo tutti uguali: amiamo tutti i nostri genitori, amiamo tutti i nostri figli. Vogliamo che i nostri bambini abbiano un futuro felice. E questo è ciò che vogliamo sia che ci troviamo negli Stati Uniti, in Italia o nel Medio Oriente. Sono più le cose che ci accomunano che quelle che ci differenziano. Questo è il messaggio che vogliamo proporre con questo Memoriale per far sì che quanto accaduto qui non succeda mai più”.
di Monica Cardarelli
Ci sono eventi che cambiano la storia. La cultura, l’economia, le relazioni di un intero paese possono essere messe a dura prova da fatti di forte impatto con tutta la tragicità che portano con loro. È questo il caso dell’attentato alle Torri Gemelle, le famose “Twins Towers”, dell’11 settembre 2001. Ci sono però diversi modi di considerare questi eventi e di avvicinarsi alla conoscenza di tutto quello che ne è scaturito, andando oltre la tragicità dell’evento. È questo il caso di Alessandro Gisotti che nel suo libro “11 settembre – Una storia che continua”, edito da Effatà Edizioni, ha scelto di partire dalle persone, dalle loro storie e testimonianze per conoscere, cercare di capire e sicuramente condividere cum-passione la vita dei sopravvissuti e dei familiari delle vittime.
Nella prefazione al libro, il card. Francio E. Gerorge, arcivescovo di Chicago, afferma: “Alessandro Gisotti ha scelto di esaminare questa tragedia dal suo punto d’inizio, guardando ai suoi effetti su alcune persone la cui vita è ora segnata dalla morte e dalla distruzione portate dagli attacchi alla loro città e alla loro famiglia. Con compassione e discrezione giornalistica, Gisotti ha intervistato un giornalista televisivo, un vigile del fuoco, un impiegato al Pentagono, la famiglia di una giovane rimasta uccisa nello schianto dell’aeroplano diretto verso la Casa Bianca, coloro che sgomberarono e ripulirono Ground Zero e che ora soffrono di patologie polmonari irreversibili, un poliziotto di New York, una psicologa specializzata in disturbo post-traumatico da stress, il sacerdote cattolico parroco della St. Peter’s Church, all’ombra delle Twin Towers abbattute in quel drammatico giorno. Questo libro è nato dai loro racconti. I loro mondi sono cambiati in maniera irreversibile, e anche noi non possiamo più vedere né raccontare adeguatamente il nostro mondo senza comprendere ciò che è successo loro”.
Questo, dunque, il punto di partenza e l’approccio scelto dall’autore: le persone. Non i fatti, dati storici da cui partire, ma la vita e la testimonianza delle persone toccate da vicino da questa tragedia. Ecco allora che nelle pagine di questo libro Alessandro Gisotti ci offre la testimonianza della famiglia di Honor Elizabeth Wainio, una delle vittime del Volo United 93, partito da Newark e diretto a San Francisco e che, l’11 settembre 2001 alle 10.03 si schiantò in un campo di Shanksville, nella Pennsylvania. “L’unico aereo che, quel giorno, non riuscì a colpire il suo bersaglio, probabilmente il Campidoglio o la Casa Bianca, perché i passeggeri si ribellarono al progetto criminale dei terroristi. Negli Stati Uniti, i trentatre passeggeri e i sette membri dell’equipaggio dello United 93 sono considerati degli eroi come i firefighters di New York”, scrive Gisotti nel suo libro.
Elizabeth era una ragazza laureata in comunicazione e sognava di diventare giornalista. Ora, in qualche modo, riesce ad aiutare altri a realizzare il suo sogno. Infatti, la Towson University, vicino Baltimora, che oggi conta 21.000 studenti, ha istituito una borsa di studio in onore della sua ex-alunna. Lori Amstrong, vice presidente dell’Associazione Alunni dell’Università, racconta che “fin dall’inizio, l’idea è stata proprio quella di dare una mano agli studenti che vogliano intraprendere la professione del giornalista. Un sostegno che ricevono così a nome di Elizabeth e che ha già dato la possibilità a tredici allievi di realizzare il proprio sogno.” E termina affermando: “Io ho un figlio di dieci anni. E voglio che quando crescerà si renda conto della follia che in quel giorno tremendo ha causato così tanto dolore. È importante che le giovani generazioni non dimentichino l’11 settembre e che da quanto accaduto possano trarre una lezione per diventare cittadini responsabili”.
È un tema ricorrente, quello del non dimenticare, del tramandare alle generazioni future il ricordo di quanto successo, come forma di rispetto nei confronti di quanti hanno perso la vita, ma anche perché solo ricordando, si può dare forma a quanto vissuto e andare oltre. È il caso di Daniel Nigro, il vigile del fuoco italo-americano che comandò le operazioni in quel terribile giorno in cui ben 343 vigili, i ‘firefighters’, persero la vita. “Non dimenticare. Non dimenticare mai cosa è successo quel giorno, (…) non dimenticare gli eroi, le vittime e le famiglie che devono vivere senza i propri cari.” E per far ciò, Nigro da anni si impegna in numerose organizzazioni come ad esempio la 9/11 Families’ Association. “Sebbene sia felice della mia vita, della mia famiglia e di molte delle mie attività, (…) mi rendo conto che dietro tutto questo c’è una profonda tristezza che può sempre riemergere in me. Ed è ciò che a volte succede per davvero. Io provo a tenere questa tristezza dentro di me, ma quelli che mi conoscono bene se ne rendono subito conto. Ho provato ad essere più attento alla dimensione spirituale della vita e a tentare di comprendere meglio il prossimo. Ho cercato di essere più lento all’ira e più gentile. A volte ci riesco, altre no”.
La testimonianza di Vito Friscia, un poliziotto di New York, ci introduce nella tragedia dei sopravvissuti. Quel giorno, appena avvisato della tragedia, si era recato verso la punta sud di Manhattan. “Il giovane poliziotto era ormai a solo un isolato di distanza dal World Trade Center quando la seconda Torre è venuta giù - ci spiega Gisotti - La gigantesca nube scaturita dal crollo lo ha investito in pieno. Ma appena la polvere si è posata al suolo, Vito ha raggiunto il luogo del disastro. Per l’eroico agente, tuttavia, la parte più probante inizia dopo quelle due settimane. Insieme ad altre migliaia di poliziotti, viene infatti inviato alla discarica di Fresh Kills Landfill a Staten Island, dove i camion riversano ininterrottamente le macerie delle Twin Towers. Vito e i suoi colleghi devono cercare effetti personali e purtroppo anche resti umani che possano identificare le vittime. Un compito estremamente gravoso a cui si aggiungono gli effetti deleteri sulla salute causati dall’alta tossicità dei detriti ispezionati”. Infatti, come scrive l’autore: “Vito, come migliaia di soccorritori, si è ammalato a causa delle polveri respirate a Ground Zero e alla discarica di Fresh Kills Landfill. Tosse cronica, forti emicranie, problemi di respirazione e perfino un cambio della tonalità della voce sono i sintomi che lo accompagnano ormai da dieci anni e che, sfortunatamente, potrebbero anche peggiorare in futuro. In un primo momento, il detective della omicidi non ne voleva sapere di farsi curare. Sarebbe stata un’ammissione di debolezza incompatibile con il suo ruolo di poliziotto newyorkese tutto d’un pezzo. E per di più di origini italiane. Poi, per amore della famiglia, ha messo da parte l’orgoglio e ha accettato di sottoporsi ad una serie di accertamenti al Mt. Sinai Hospital di New York per poi intraprendere delle cure”.
L’entità del tragico evento è davvero enorme e, soprattutto, continua ad interessare un intero popolo con tutte le conseguenze che ne derivano. La cosa che colpisce però in questo libro di Alessandro Gisotti è il messaggio di speranza che traspare sempre e da ogni testimonianza riportata. Pur non sottovalutando la portata dei problemi e degli enormi cambiamenti avvenuti a livello sociale, culturale, psicologico e affettivo, nelle parole riportate dall’autore c’è sempre la sensazione che la speranza sia più forte della morte, che la voglia di vivere sia più forte della paura di morire e che vivere a New York oggi non sia un semplice sopravvivere alla tragedia, ma significhi mantenere viva la memoria di tutti coloro che hanno perso la vita l’11 settembre 2001.
Nel capitolo in cui Gisotti incontra il Reverendo Kevin Madigan, parroco di St. Peter’s, ad esempio, ci poniamo con lui la domanda che molti si sono posti: “Dopo quanto successo ad Auschwitz, molti si sono chiesti dove fosse Dio. Domando allora al sacerdote se qualcuno dei suoi parrocchiani si sia chiesto dove fosse Dio l’11 settembre 2001. «Sì, certo», risponde, «molti si sono posti questo interrogativo. Ma la cosa sorprendente è ciò che è avvenuto il giorno dopo quando tantissime persone si sono riversate nella zona del disastro per dare una mano. Dov’era Dio? Era in quegli uomini pronti a servire il prossimo».”
Così come dalle parole di James Laychak, presidente del Pentagon Memorial Fund, che l’11 settembre perse il fratello David, impiegato civile al Pentagono, si legge: “Tutte le persone che sono ricordate qui (…) sono ora in un posto migliore. Per questo mi piace pensare al memoriale come ad una celebrazione della vita. Penso ad ognuna di queste persone, alle loro storie, al fatto che le loro vite siano raccontate come stai facendo ora tu con mio fratello. E così celebriamo la loro vita e non pensiamo alla tragedia, al fumo e al fuoco di quel giorno. Ora abbiamo davanti a noi un luogo bellissimo che ci mostra quali grandi cose possiamo fare quando siamo uniti. Per me, allora, l’eredità che ci hanno lasciato è di pensare alla vita, a come possiamo fare per vivere in modo diverso. Questo è il modo migliore per onorare i nostri cari. (…) c’è bisogno di aumentare gli sforzi di comprensione reciproca, di promuovere un messaggio di tolleranza. Capire che in definitiva siamo tutti uguali: amiamo tutti i nostri genitori, amiamo tutti i nostri figli. Vogliamo che i nostri bambini abbiano un futuro felice. E questo è ciò che vogliamo sia che ci troviamo negli Stati Uniti, in Italia o nel Medio Oriente. Sono più le cose che ci accomunano che quelle che ci differenziano. Questo è il messaggio che vogliamo proporre con questo Memoriale per far sì che quanto accaduto qui non succeda mai più”.
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