giovedì, luglio 21, 2011
La grave situazione della Chiesa in Somalia tramite le dichiarazioni di monsignor Giorgio Bertin, amministratore apostolico di Gibuti e Mogadiscio

«Riconosco l’emergenza umanitaria, ma non dobbiamo dimenticarci dell’urgenza di restaurare uno Stato somalo, altrimenti tapperemo momentaneamente delle falle, senza risolvere i problemi alla radice». Monsignor Giorgio Bertin – dal 2001 vescovo di Gibuti e amministratore apostolico della diocesi di Mogadiscio – ha parlato con Aiuto alla Chiesa che Soffre della tragica situazione somala. Il presule è stato raggiunto telefonicamente a Gibuti, la sua unica “residenza pastorale” «perché – ha spiegato – per gli stranieri bianchi è impossibile vivere a Mogadiscio, rischiano costantemente di essere sequestrati». La totale insicurezza è dovuta all’assenza di una qualsiasi autorità politica, un vuoto che ha lasciato campo libero a «elementi fanaticizzati», come il Gruppo armato islamista al-Shabab [La Gioventù], sviluppatosi a seguito della sconfitta dell'Unione delle Corti Islamiche (UCI) ad opera del Governo Federale di Transizione (GFT) e dei suoi sostenitori. Uno degli obiettivi primari del Gruppo è l’introduzione della Shari’a nel sistema legislativo.

La mancanza di uno Stato ha gravi conseguenze anche sulla situazione dei pochi cristiani somali – una piccola comunità che non raggiunge le 100 unità – i quali devono nascondersi per non esporsi alle violenze degli estremisti. «Non si può parlare di persecuzione, ma soltanto perché non esiste alcuna autorità – riferisce il presule ad ACS – ma nonostante questo i cristiani vivono la loro fede in segreto, senza poter avere alcun momento di comunione». Simbolo di questa situazione, la cattedrale di Mogadiscio, completamente distrutta e oggi adoperata come alloggio per gli sfollati.

A fronte di un’azione pastorale pressoché inesistente, la presenza cristiana – anche motivata dal messaggio di Benedetto XVI durante l’Angelus di domenica scorsa - si rivela, sebbene indirettamente in campo umanitario. «Perfino la Caritas-Somalia ha dovuto ridurre i suoi interventi – spiega il vescovo – ma fortunatamente possiamo contare su alcuni partner di lunga data, come le Caritas Svizzera e Lussemburgo che operano a Nord nell’autoproclamata Repubblica del Somaliland». Nonostante la carestia dovuta alla siccità, per la quale oltre 12 milioni di persone rischiano la morte per fame, la totale mancanza di sicurezza ha costretto molte realtà umanitarie ad abbandonare il Paese. Per questo motivo l’amministratore apostolico, insieme alla Caritas locale, sta promuovendo il coinvolgimento di ONG locali affidabili che portino aiuti anche nelle aree controllate dalle milizie radicali di al-Shabab. Il gruppo armato ha recentemente fatto sapere di aver rimosso il divieto sulla presenza di personale internazionale non islamico, ma i principali organismi umanitari continuano a mantenere una certa prudenza. «Un atteggiamento del tutto comprensibile - sottolinea monsignor Bertin – dal momento che al-Shabab non ha un’autorità centrale e non vi è quindi alcuna garanzia che la rimozione del divieto sia attuata».

Intanto, nei giorni scorsi, il Sottosegretario agli Esteri Alfredo Mantica, in visita in Somalia per l’inaugurazione del nuovo Ministero degli Esteri ristrutturato dall'Italia, ha reso noto che ad ottobre riaprirà l’ambasciata italiana a Mogadiscio. «Apprezziamo molto la buona volontà del Governo italiano – commenta il presule, facendo notare anche che non è la prima volta che ne è annunciata la riapertura – ma se non viene intrapresa un’azione diplomatica più completa volta alla restaurazione di uno Stato somalo, qualsiasi provvedimento in ambito politico internazionale, rimane velleitario».

È presente 1 commento

Anonimo ha detto...

dio e unico non ce alfuori di la siamo tutti fratelli e sorelle aiutatici frateli di somalia che soni rimasti pocchi io sarei statto prima persone ma non ho posiblita di aiutare nesuno minno che famigliare mi piance il cuore per i popolo vedendo cossi mi dispiace moloto

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