venerdì, luglio 08, 2011
In aula la figlia della donna. Il Comune di Milano si costituisce parte civile.

Liberainformazione - Mentre salgo le scale del Palazzo di Giustizia, ripenso all'ultima domanda che il giornalista Mario Calabresi, lunedì sera nel suo Hotel Patria ha rivolto a Denise Cosco, che per la prima volta ha accettato di raccontare la propria storia in televisione. «Che cosa ti piace ricordare di tua madre?». «La risata» è la risposta della diciannovenne che da anni vive inserita in un programma di protezione. E penso a quanto sia coraggiosa Denise a portare avanti la propria battaglia, a chiedere giustizia per la morte di Lea Garofalo, sua mamma. Tra i sei imputati del processo iniziato ieri, mercoledì 6 luglio, a Milano, figura anche Carlo Cosco: è il padre di Denise, accusato di aver, con l'aiuto di complici, sequestrato, torturato e ucciso l'ex compagna per poi provvedere a sciogliere il corpo nell'acido.

Perché Lea si era ribellata alla propria famiglia, come Rita Atria, la diciassettenne morta suicida il 26 luglio 1992, straziata dopo l'omicidio del giudice Paolo Borsellino al quale aveva affidato la sua vita di testimone di giustizia. Perché Lea era nata e cresciuta in una famiglia di 'ndranghetisti così come Rita era nata e cresciuta in una famiglia di mafia, e ad entrambe la criminalità organizzata aveva ucciso sia il padre sia il fratello. E anche Lea, come Rita, aveva deciso di ribellarsi alla sua famiglia, dopo che anche il suo compagno, Carlo Cosco, era stato incarcerato. Era il 2002: Lea iniziò a raccontare agli inquirenti tutto ciò che aveva visto, sentito, vissuto e che riguardava la sua famiglia, coinvolta in una faida con una famiglia rivale.

Lea Garofalo e la figlia Denise vengono inserite in un programma di protezione che si tradurrà in continui trasferimenti, nella rinuncia alle proprie identità, in cambi continui di scuole, nella non possibilità per la giovane mamma di andare a lavorare, di vivere una vita sociale, una quotidianità normale. Nel 2006 Lea Garofalo rinuncia al programma di protezione ma ormai il suo destino sembra essere segnato, e lei ne è consapevole. Sa che Carlo Cosco la ritiene doppiamente colpevole: per essersi rivolta alle forze dell'ordine prima e alla magistratura dopo e per averlo lasciato all'indomani della sua incarcerazione. Dopo ennesimi trasferimenti, riavvicinamenti e violenti litigi, nel novembre 2009 Lea Garofalo decide di tornare in Calabria, ma prima vuole rivedere il padre di sua figlia, a Milano.

Enza Rando, responsabile dell'ufficio legale di Libera e in aula avvocato di Denise che si costituirà parte civile, cercherà fino al loro ultimo incontro avvenuto a Firenze di dissuadere la giovane donna, ma invano. La sera del 24 novembre 2009 le telecamere del Comune di Milano riprendono Carlo Cosco che fa salire sulla propria auto la figlia Denise per poi tornare dopo dieci minuti, far scendere la ragazza e far salire l'ex compagna. Quelle sono le ultime immagini di Lea Garofalo.
Quando sono arrivata davanti alla porta dell'aula della prima Corte d'Assise, ho provato un senso di disorientamento: un capannello di persone – una ventina – aspettava il passaggio degli imputati. Alla vista di ognuno di loro erano risate, abbracci, baci, occhiolini d'intesa. In quel momento ho ancora di più compreso le parole di Enza Rando: «Quando ci sono processi di questo tipo è importante esserci, dimostrare la nostra vicinanza ai famigliari vittime delle mafie, lanciare un messaggio di presenza a chi sta dall'altra parte che spesso, troppo spesso, soverchia verbalmente e dal punto di vista numerico».

E in effetti prima che il processo inizi arrivano anche alcune insegnanti “portatrici sane” di legalità all'interno delle scuole e vicine a Libera Milano, ma anche diversi studenti della facoltà di Scienze Politiche dell'università Statale di Milano, qui in veste di giornalisti in erba della redazione del giornale on line Stampo Antimafioso, accompagnati dal loro professore Nando dalla Chiesa, direttore editoriale del progetto.

Ha inizio il processo. La difesa – sei avvocati – all'unanimità avanza le proprie accezioni. In primis, la cosiddetta “incompatibilità territoriale”: si presume che il corpo di Lea Garofalo sia stato occultato in un terreno situato nel comune di San Fruttuoso in provincia di Monza, ergo il processo dovrebbe svolgersi presso quel tribunale e non presso quello milanese. In secondo luogo, gli avvocati difensori dichiarano una presunta incompatibilità di ruoli di Enza Rando, che figura una delle testimoni chiave ma al contempo legale di Denise Cosco. Infine, sono stati sollevati dubbi circa la costituzione parte civile dei comuni di Milano e Petilia Policastro oltre che delle Provincia di Crotone e della Regione Calabria, etichettando queste richieste come “politiche”.

In merito alle richieste della difesa, la Corte, presieduta dal giudice Filippo Grisolia, si è così espressa: il processo continuerà a celebrarsi a Milano in quanto in questa città, secondo i pm Marcello Tatangelo e Letizia Mannella, si sarebbe consumato il delitto nella notte tra il 24 e il 25 novembre 2009. Riconosciuta la compatibilità di ruoli dell'avvocato Enza Rando, così come vengono ammesse le richieste di costituirsi parte civile da parte di Denise Cosco, Marina e Santina Garofalo, rispettivamente figlia, sorella e madre della vittima. Infine, anche il Comune di Milano è stato riconosciuto come parte lesa e dunque può costituirsi parte civile: è la prima volta che l'amministrazione comunale, per volontà del proprio sindaco Giuliano Pisapia, prende una posizione di questo tipo rispetto a fatti legati alla 'ndrangheta avvenuti sul territorio meneghino.

La prima udienza si è conclusa nel tardo pomeriggio, ripresa più volte. Il clima è surreale: non è difficile accorgersi del vociare che si alza quando prende la parola l'avvocato Rando, degli sguardi d'intesa – schermati dagli agenti della polizia penitenziaria – che si scambiano gli imputati e i loro parenti, del clima che diventerà sempre più difficile da sostenere. Il pensiero corre inevitabilmente di nuovo a Denise, a ciò che sta attraversando e al giorno in cui dovrà entrare in quest'aula. E alle sue parole: «Fino a quando non sentirò con le mie orecchie che queste persone, non mi importa se si tratta di mio padre o del mio ex fidanzato, pagheranno per quello che hanno fatto, non potrò costruirmi una vita».

Domani, venerdì 8 luglio alle 9.30, sempre presso la prima Corte d'Assise, si terrà la seconda udienza del processo, durante la quale si dovrebbero ascoltare i primi testi.

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