A Rabat volti di Chiesa nell’impegno evangelico per un popolo musulmano
“Benedetto sei tu, Signore, per il nuovo giorno che ci fai vivere nel tuo amore. Da’ la tua forza ai cristiani nel mondo, che non possono professare la loro fede!”. Un’intenzione di preghiera semplice, a mezza voce, di suor Suzanne del Mali apre le lodi della domenica, dopo un lungo silenzio. Già in questo appare una nota caratteristica della Chiesa del Marocco: umiltà e universalità. Con altre tre suore del Mali vive a “Notre Dame de la paix” la disponibilità e il servizio di una casa diocesana di accoglienza nel quartiere europeo di Agdal.
È tempo, poi, di partire per la messa festiva alla cattedrale. E lo è veramente. Una corale composta da un bel gruppo di studenti subsahariani di vari Paesi africani esegue i canti con energia ed entusiasmo: è una piccola falange compattata, in piedi nei primi banchi, che ondeggia a ritmo di tamburo. Le diverse migliaia di giovani cristiani venuti infatti in Marocco dai Paesi subsahariani con una borsa di studio sono parte importante e preziosa di questa Chiesa e, un giorno, della loro società.
L’assemblea, prevalentemente di volti neri, riempie le navate della cattedrale di Rabat, mentre attorno all’altare fanno corona un giovane prete spagnolo, un italiano, un bretone, uno del Benin e un gesuita francese, medico. Ancora l’universalità, la cattolicità di questa Chiesa. Alla fine, tutti e cinque ci portiamo alle porte della cattedrale per salutare ad uno ad uno i presenti. Incontrare volti radiosi del Camerun, del Benin, del Burkina Faso, delle Filippine o della Francia è qualcosa di commovente, di spirituale e particolarmente fraterno.
Si ritorna a casa, poi, mentre le suore mi parlano di loro, del Marocco e delle loro famiglie nel Mali, a volte metà cristiane e metà musulmane. “La religione da noi non divide la fratellanza, non rigetta le persone, mentre qui se non sei musulmano non hai la salvezza!” Osservazione interessante, anche se l’appetito è grande...
Ci attende per pranzo un gruppo di giovani animatori venuti dalla Spagna per due settimane a Notre Dame de la Paix, per stages di formazione a più di un centinaio di emigranti subsahariani. È già il loro terzo anno di attività e fanno parte di un’associazione che opera a Ceuta per gli emigranti africani. Qui agiscono in sinergia con giovani animatori subsahariani e la Caritas Marocco. Così, ateliers di teatro, di danza, di diritti umani, di lingua, di ricerca di impiego... servono a dare loro, dopo tante traversie, una fiducia in se stessi spesso perduta. Seydou, giovane animatore musulmano, mi confida curiosamente: “È per risvegliare qualcosa che dorme in noi, siamo come prigionieri di noi stessi!” Al pomeriggio, il teatro per una dozzina di adolescenti è l’occasione di vedere quanto amano poter esprimere apertamente i loro sentimenti in scene di vita quotidiana. Liberare il corpo, la mente e la voce. Anche se questo è, pure, un cammino fisico: vengono a piedi, infatti, non potendo permettersi il bus, da quartieri trascurati della periferia ormai abitati da migranti.
Vincent, direttore della Caritas, mi aggiorna sulla situazione migratoria in Marocco, una presenza di 10-12mila migranti subsahariani, molti ansiosi di passare il Mediterraneo ad ogni costo, altri invece dopo qualche anno trascorso invano di stabilizzarsi qui, altri ancora viste le gravi difficoltà, desiderosi di far ritorno a casa. L’OIM ha aiutato nel 2010 un migliaio di migranti al ritorno volontario. Anche se fenomeno recente e preoccupante ultimamente è l’arrivo di minori non accompagnati, la situazione generale rimane delicata ma non drammatica. Pure il recente discorso del Re, che per la prima volta parlava del Marocco come Paese di accoglienza e di sforzi all’integrazione aiuta... Ipse dixit. E in tutto questo la Caritas stimola e accompagna l’associazionismo marocchino nelle varie iniziative per bambini o adulti in emigrazione.
A Temara, fuori Rabat, mi accoglie père Couturier, gesuita, incontrato al mattino alla cattedrale. È qui da 47 anni come medico nel centro di servizi sociali tra ambulatorio e visite a domicilio in piena campagna. “Quando ero giovane volevo entrare nella Compagnia di Gesù, ma mia mamma diceva che ero troppo giovane, allora ho studiato medicina...” mi spiega così la sua doppia vocazione. Ottantaquattro anni ormai, sguardo sereno sulla vita e sugli altri, pantaloni e camicia bianchi, ovunque la gente lo riconosce e ne pronuncia storpiandolo all’araba il cognome francese. Lui ne ride. È per loro un marabout, un santone rispettato, che cura epilessie e forme di asma, ultimamente. Mi parla della lunga collaborazione con una suora libanese, brava infermiera. “Una volta diagnosticavo una malattia che lei non era riuscita: partita vinta! Ma non succedeva spesso...” aggiunge con umiltà. Ora invece con quattro suore spagnole ormai famose per le ustioni: vengono per questo da tutta la regione; il fuoco e le bombole nelle loro catapecchie sono causa di continui incidenti. E così partono contenti e fasciati come mutilati di guerra, ringraziando Allah per queste donne cristiane.
Il gesuita mi porta a vedere la grande scuola agricola degli anni ’60 - quando la gente qui in campagna viveva ancora sotto delle tende - costruita dai gesuiti: casette bianche sparse nel verde per giovani studenti residenti, con aule, refettorio, dormitori, pozzo di acqua autonomo e 130 ettari: un vero miracolo! Nel 1987 viene ceduto al Marocco. Ancora un segno di amore per questo Paese, che, salutando, tra una ricetta e l’altra lui mi presenta cosi: “Un Paese dove tutti credono in Dio e praticano la religione, ma dove lo trovate mai in Europa?”.
Ritornando, mi imbatto in un’arteria del centro città con un coro di voci che urlano slogans con tutte le fibre dell’anima, già da un’ora: giustizia, via la corruzione, libertà. Sono tre-quattrocento uomini e donne instancabili, con tre megafoni che funzionano malamente, bloccati da tutti i lati dalla polizia. Scena impressionante e quasi quotidiana, sembra la storia di rapporti tra Davide e Golia. Oltre la fede, è vero, c’è la dignità. Sì, sta facendo breccia il Marocco di domani...
1° tappa: Essaouira - Vivere nell'Islam
2° tappa: Taroudant - Presenza di Vangelo
3° tappa: Meknes - Impressioni dal Marocco
4° tappa: Midelt - I monaci di Tibhirine
5° tappa: Meknes - Un carisma di fraternità
6° tappa: Fès - Una città dove tutto è sacro
8° tappa: Casablanca - Le suore di Casablanca
9° tappa: Rabat - La Chiesa dell'incontro
“Benedetto sei tu, Signore, per il nuovo giorno che ci fai vivere nel tuo amore. Da’ la tua forza ai cristiani nel mondo, che non possono professare la loro fede!”. Un’intenzione di preghiera semplice, a mezza voce, di suor Suzanne del Mali apre le lodi della domenica, dopo un lungo silenzio. Già in questo appare una nota caratteristica della Chiesa del Marocco: umiltà e universalità. Con altre tre suore del Mali vive a “Notre Dame de la paix” la disponibilità e il servizio di una casa diocesana di accoglienza nel quartiere europeo di Agdal.
È tempo, poi, di partire per la messa festiva alla cattedrale. E lo è veramente. Una corale composta da un bel gruppo di studenti subsahariani di vari Paesi africani esegue i canti con energia ed entusiasmo: è una piccola falange compattata, in piedi nei primi banchi, che ondeggia a ritmo di tamburo. Le diverse migliaia di giovani cristiani venuti infatti in Marocco dai Paesi subsahariani con una borsa di studio sono parte importante e preziosa di questa Chiesa e, un giorno, della loro società.
L’assemblea, prevalentemente di volti neri, riempie le navate della cattedrale di Rabat, mentre attorno all’altare fanno corona un giovane prete spagnolo, un italiano, un bretone, uno del Benin e un gesuita francese, medico. Ancora l’universalità, la cattolicità di questa Chiesa. Alla fine, tutti e cinque ci portiamo alle porte della cattedrale per salutare ad uno ad uno i presenti. Incontrare volti radiosi del Camerun, del Benin, del Burkina Faso, delle Filippine o della Francia è qualcosa di commovente, di spirituale e particolarmente fraterno.
Si ritorna a casa, poi, mentre le suore mi parlano di loro, del Marocco e delle loro famiglie nel Mali, a volte metà cristiane e metà musulmane. “La religione da noi non divide la fratellanza, non rigetta le persone, mentre qui se non sei musulmano non hai la salvezza!” Osservazione interessante, anche se l’appetito è grande...
Ci attende per pranzo un gruppo di giovani animatori venuti dalla Spagna per due settimane a Notre Dame de la Paix, per stages di formazione a più di un centinaio di emigranti subsahariani. È già il loro terzo anno di attività e fanno parte di un’associazione che opera a Ceuta per gli emigranti africani. Qui agiscono in sinergia con giovani animatori subsahariani e la Caritas Marocco. Così, ateliers di teatro, di danza, di diritti umani, di lingua, di ricerca di impiego... servono a dare loro, dopo tante traversie, una fiducia in se stessi spesso perduta. Seydou, giovane animatore musulmano, mi confida curiosamente: “È per risvegliare qualcosa che dorme in noi, siamo come prigionieri di noi stessi!” Al pomeriggio, il teatro per una dozzina di adolescenti è l’occasione di vedere quanto amano poter esprimere apertamente i loro sentimenti in scene di vita quotidiana. Liberare il corpo, la mente e la voce. Anche se questo è, pure, un cammino fisico: vengono a piedi, infatti, non potendo permettersi il bus, da quartieri trascurati della periferia ormai abitati da migranti.
Vincent, direttore della Caritas, mi aggiorna sulla situazione migratoria in Marocco, una presenza di 10-12mila migranti subsahariani, molti ansiosi di passare il Mediterraneo ad ogni costo, altri invece dopo qualche anno trascorso invano di stabilizzarsi qui, altri ancora viste le gravi difficoltà, desiderosi di far ritorno a casa. L’OIM ha aiutato nel 2010 un migliaio di migranti al ritorno volontario. Anche se fenomeno recente e preoccupante ultimamente è l’arrivo di minori non accompagnati, la situazione generale rimane delicata ma non drammatica. Pure il recente discorso del Re, che per la prima volta parlava del Marocco come Paese di accoglienza e di sforzi all’integrazione aiuta... Ipse dixit. E in tutto questo la Caritas stimola e accompagna l’associazionismo marocchino nelle varie iniziative per bambini o adulti in emigrazione.
A Temara, fuori Rabat, mi accoglie père Couturier, gesuita, incontrato al mattino alla cattedrale. È qui da 47 anni come medico nel centro di servizi sociali tra ambulatorio e visite a domicilio in piena campagna. “Quando ero giovane volevo entrare nella Compagnia di Gesù, ma mia mamma diceva che ero troppo giovane, allora ho studiato medicina...” mi spiega così la sua doppia vocazione. Ottantaquattro anni ormai, sguardo sereno sulla vita e sugli altri, pantaloni e camicia bianchi, ovunque la gente lo riconosce e ne pronuncia storpiandolo all’araba il cognome francese. Lui ne ride. È per loro un marabout, un santone rispettato, che cura epilessie e forme di asma, ultimamente. Mi parla della lunga collaborazione con una suora libanese, brava infermiera. “Una volta diagnosticavo una malattia che lei non era riuscita: partita vinta! Ma non succedeva spesso...” aggiunge con umiltà. Ora invece con quattro suore spagnole ormai famose per le ustioni: vengono per questo da tutta la regione; il fuoco e le bombole nelle loro catapecchie sono causa di continui incidenti. E così partono contenti e fasciati come mutilati di guerra, ringraziando Allah per queste donne cristiane.
Il gesuita mi porta a vedere la grande scuola agricola degli anni ’60 - quando la gente qui in campagna viveva ancora sotto delle tende - costruita dai gesuiti: casette bianche sparse nel verde per giovani studenti residenti, con aule, refettorio, dormitori, pozzo di acqua autonomo e 130 ettari: un vero miracolo! Nel 1987 viene ceduto al Marocco. Ancora un segno di amore per questo Paese, che, salutando, tra una ricetta e l’altra lui mi presenta cosi: “Un Paese dove tutti credono in Dio e praticano la religione, ma dove lo trovate mai in Europa?”.
Ritornando, mi imbatto in un’arteria del centro città con un coro di voci che urlano slogans con tutte le fibre dell’anima, già da un’ora: giustizia, via la corruzione, libertà. Sono tre-quattrocento uomini e donne instancabili, con tre megafoni che funzionano malamente, bloccati da tutti i lati dalla polizia. Scena impressionante e quasi quotidiana, sembra la storia di rapporti tra Davide e Golia. Oltre la fede, è vero, c’è la dignità. Sì, sta facendo breccia il Marocco di domani...
1° tappa: Essaouira - Vivere nell'Islam
2° tappa: Taroudant - Presenza di Vangelo
3° tappa: Meknes - Impressioni dal Marocco
4° tappa: Midelt - I monaci di Tibhirine
5° tappa: Meknes - Un carisma di fraternità
6° tappa: Fès - Una città dove tutto è sacro
8° tappa: Casablanca - Le suore di Casablanca
9° tappa: Rabat - La Chiesa dell'incontro
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