A vent'anni dalla guerra, un documentario racconta la storia dell'unico posto dove i vicini di sempre non diventarono nemici.
PeaceReporter - Il generale Momir Talic, capo di Stato maggiore dell'esercito dei serbi di Bosnia durante la guerra nella ex-Jugoslavia, negli anni Novanta, voleva perdere il minor tempo possibile in quel villaggio insignificante. Baljvine, con i suoi 1600 abitanti, non aveva alcun valore politico. L'offensiva, però, doveva andare avanti e bisognava 'bonificare' le zone miste.
Per il serbo bosniaco Talic, come per il suo comandante in capo Ratko Mladic e il suo leader politico Radovan Karadzic, 'bonificare' significare 'ripulire' i villaggi dove musulmani e serbi vivevano fianco a fianco da sempre, renderli etnicamente puri. Baljvine è uno di questi: i serbi abitavano la parte alta, i musulmani la parte bassa del villaggio. Non voleva perdere tempo, Talic, nel cacciare gli islamici. Nel cuore della notte ordinò ai suoi uomini di tirare giù dal letto Saban Habibovic, rappresentante dei musulmani di Baljvine. ''Dovete andarvene. Prendete le vostre cose e sparite. Non vi sarà fatto alcun male''.
Saban, di fronte al ringhioso generale, non si scompose. ''Le assicuro, generale, che noi continueremo a vivere con i nostri vicini serbi'', rispose. Un militare, un criminale di guerra come Talic, secondo le accuse che gli mosse il Tribunale Internazionale per la ex-Jugoslavia dopo la guerra, non aveva considerato quella ipotesi. ''Se ha ragione, vuol dire che oserebbe, adesso, venire con me nella parte serba del villaggio?'', chiese il generale. Saban uscì, seguito da Talic. Di fronte alla casa di un serbo, chiamò per nome il proprietario di casa. ''Ehi Saban? Che succede? Hai bisogno di aiuto?'', chiese assonnato il vicino. ''In questo villaggio non ci sono né veri serbi, né veri musulmani'', rispose stizzito il generale Talic, andando via. Dopo di lui arrivarono, alla fine del conflitto, le milizie croate che davano la caccia ai serbi. Fu il turno dei musulmani di proteggere i loro vicini.
Questa e altre storie del villaggio di Baljvine sono oggi raccolte in un documentario, The Village The War Forgot. Il progetto è dell'Institute for War and Peace Reporting, network internazionale di giornalisti contro la guerra. Una reporter di Iwpr, Marija Arnautovic, ha trascorso settimane nel piccolo villaggio, per raccogliere le testimonianze degli abitanti dell'unico luogo, in tutta la Bosnia-Erzegovina, dove serbi e musulmani non si sono sparati addosso. Mantenendo la loro tradizione, visto che già durante la Seconda Guerra Mondiale gli abitanti si erano protetti a vicenda dai cetnici (estremisti nazionalisti serbi) e dagli ustascia (estremisti nazionalisti croati).
Dopo gli Accordi di Dayton, che nel 1995 posero fine alla guerra in Bosnia, il villaggio di Baljvine rientra nell'amministrazione della Repubblica Srpska (dei serbi di Bosnia), che con la Federazione croato-musulmana forma la Bosnia-Erzegovina. E' l'unico villaggio della parte serba del Paese che conserva la sua moschea. Intatta. E' anche il posto dove tutti, ma proprio tutti, sono tornati a vivere come prima della guerra. Mentre si avvicina il ventennale del conflitto in Bosnia, esploso nella primavera del 1992, ricordato in un Paese sempre più diviso, Baljvine è ancora là. A ricordare a tutti che non vuole essere più un'eccezione.
PeaceReporter - Il generale Momir Talic, capo di Stato maggiore dell'esercito dei serbi di Bosnia durante la guerra nella ex-Jugoslavia, negli anni Novanta, voleva perdere il minor tempo possibile in quel villaggio insignificante. Baljvine, con i suoi 1600 abitanti, non aveva alcun valore politico. L'offensiva, però, doveva andare avanti e bisognava 'bonificare' le zone miste.
Per il serbo bosniaco Talic, come per il suo comandante in capo Ratko Mladic e il suo leader politico Radovan Karadzic, 'bonificare' significare 'ripulire' i villaggi dove musulmani e serbi vivevano fianco a fianco da sempre, renderli etnicamente puri. Baljvine è uno di questi: i serbi abitavano la parte alta, i musulmani la parte bassa del villaggio. Non voleva perdere tempo, Talic, nel cacciare gli islamici. Nel cuore della notte ordinò ai suoi uomini di tirare giù dal letto Saban Habibovic, rappresentante dei musulmani di Baljvine. ''Dovete andarvene. Prendete le vostre cose e sparite. Non vi sarà fatto alcun male''.
Saban, di fronte al ringhioso generale, non si scompose. ''Le assicuro, generale, che noi continueremo a vivere con i nostri vicini serbi'', rispose. Un militare, un criminale di guerra come Talic, secondo le accuse che gli mosse il Tribunale Internazionale per la ex-Jugoslavia dopo la guerra, non aveva considerato quella ipotesi. ''Se ha ragione, vuol dire che oserebbe, adesso, venire con me nella parte serba del villaggio?'', chiese il generale. Saban uscì, seguito da Talic. Di fronte alla casa di un serbo, chiamò per nome il proprietario di casa. ''Ehi Saban? Che succede? Hai bisogno di aiuto?'', chiese assonnato il vicino. ''In questo villaggio non ci sono né veri serbi, né veri musulmani'', rispose stizzito il generale Talic, andando via. Dopo di lui arrivarono, alla fine del conflitto, le milizie croate che davano la caccia ai serbi. Fu il turno dei musulmani di proteggere i loro vicini.
Questa e altre storie del villaggio di Baljvine sono oggi raccolte in un documentario, The Village The War Forgot. Il progetto è dell'Institute for War and Peace Reporting, network internazionale di giornalisti contro la guerra. Una reporter di Iwpr, Marija Arnautovic, ha trascorso settimane nel piccolo villaggio, per raccogliere le testimonianze degli abitanti dell'unico luogo, in tutta la Bosnia-Erzegovina, dove serbi e musulmani non si sono sparati addosso. Mantenendo la loro tradizione, visto che già durante la Seconda Guerra Mondiale gli abitanti si erano protetti a vicenda dai cetnici (estremisti nazionalisti serbi) e dagli ustascia (estremisti nazionalisti croati).
Dopo gli Accordi di Dayton, che nel 1995 posero fine alla guerra in Bosnia, il villaggio di Baljvine rientra nell'amministrazione della Repubblica Srpska (dei serbi di Bosnia), che con la Federazione croato-musulmana forma la Bosnia-Erzegovina. E' l'unico villaggio della parte serba del Paese che conserva la sua moschea. Intatta. E' anche il posto dove tutti, ma proprio tutti, sono tornati a vivere come prima della guerra. Mentre si avvicina il ventennale del conflitto in Bosnia, esploso nella primavera del 1992, ricordato in un Paese sempre più diviso, Baljvine è ancora là. A ricordare a tutti che non vuole essere più un'eccezione.
Christian Elia
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