Comunicato di ACS-Aiuto alla Chiesa che Soffre realizzato in occasione del secondo anniversario del tragico incendio di Gojra, in Pakistan, con le dichiarazioni di padre Aftab James Paul, direttore della Commissione per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso di Faisalabad
È stato celebrato nei giorni scorsi il secondo anniversario dei tragici fatti di Gojra, in Pakistan, che nella notte tra il 30 luglio e il primo agosto 2009 – misero a ferro e fuoco la locale comunità cristiana. Una folla di circa 3mila musulmani, invase il quartiere cristiano di Gojra, cittadina del Punjab pachistano, appiccando il fuoco a 2 chiese (che Aiuto alla Chiesa che Soffre sta contribuendo a ricostruire) e oltre 150 edifici. Nel vasto incendio morirono arse vive otto persone – tra cui quattro donne e un bambino di sette anni – e altre 20 rimasero gravemente ferite. Ad innescare le violenze fu l’accusa rivolta da alcuni leader religiosi islamici a tre cristiani – Mukhtar Masih, Talib Masih e Imran Masih – colpevoli, secondo lui, di aver bruciato alcune pagine del Corano, reato che, in applicazione della famigerata Legge anti-blasfemia pachistana, prevede l’ergastolo. In difesa dei tre uomini si schierò subito l’allora Ministro per le minoranze, Shahbaz Bhatti – ucciso in un attentato il 2 marzo 2011 – sostenendo fermamente la loro innocenza.
Dopo il mea culpa del Capo della polizia nel 2010 – le forze dell’ordine sono infatti state accusate di non essere intervenute in alcun modo per fermare le violenze – a due anni dal tragico incendio, sono giunte anche le scuse di due leader religiosi islamici che hanno pubblicamente chiesto perdono per «una delle peggiori manifestazioni dell’odio anti-cristiano in Pakistan».
Lunedì scorso – secondo anniversario dell’attacco – è stata celebrata una Messa in suffragio delle vittime presieduta dal vescovo di Faisalabad, sua eccellenza monsignor Joseph Coutts, alla quale hanno partecipato centinaia di cristiani. Nell’incontro, che ha avuto luogo dopo la funzione religiosa, sono intervenuti Israr Bihar Shah, direttore di una madrassa [scuola islamica] nella regione, e Hafiz Abbul Haui, capo una vicina moschea, i quali hanno accusato esplicitamente i «fanatici» responsabili e condannato le loro azioni come «contrarie allo spirito stesso dell’Islam».
«Sono affermazioni d’importanza straordinaria» ha dichiarato ad Aiuto alla Chiesa che Soffre padre Aftab James Paul, direttore della Commissione per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso di Faisalabad. Parlando con ACS il sacerdote ha fatto notare come – pur non essendo in alcun modo implicati nell’attacco del 2009 – le due guide islamiche abbiano avuto il coraggio di chiedere scusa a nome della loro comunità per quanto accaduto. «Hanno pronunciato frasi molto rilevanti – ha aggiunto – affermando che la religione islamica non accetta in alcun modo l’omicidio e che i colpevoli di tali azioni non comprendono il vero spirito dell’Islam». Padre Aftab ha poi sottolineato come, «sebbene si tratti di dichiarazioni non ufficiali pronunciate al termine dell’incontro», le parole dei due leader religiosi siano doppiamente preziose, in quanto queste due figure così conosciute nella comunità «influenzeranno sicuramente gli altri fedeli».
È stato celebrato nei giorni scorsi il secondo anniversario dei tragici fatti di Gojra, in Pakistan, che nella notte tra il 30 luglio e il primo agosto 2009 – misero a ferro e fuoco la locale comunità cristiana. Una folla di circa 3mila musulmani, invase il quartiere cristiano di Gojra, cittadina del Punjab pachistano, appiccando il fuoco a 2 chiese (che Aiuto alla Chiesa che Soffre sta contribuendo a ricostruire) e oltre 150 edifici. Nel vasto incendio morirono arse vive otto persone – tra cui quattro donne e un bambino di sette anni – e altre 20 rimasero gravemente ferite. Ad innescare le violenze fu l’accusa rivolta da alcuni leader religiosi islamici a tre cristiani – Mukhtar Masih, Talib Masih e Imran Masih – colpevoli, secondo lui, di aver bruciato alcune pagine del Corano, reato che, in applicazione della famigerata Legge anti-blasfemia pachistana, prevede l’ergastolo. In difesa dei tre uomini si schierò subito l’allora Ministro per le minoranze, Shahbaz Bhatti – ucciso in un attentato il 2 marzo 2011 – sostenendo fermamente la loro innocenza.
Dopo il mea culpa del Capo della polizia nel 2010 – le forze dell’ordine sono infatti state accusate di non essere intervenute in alcun modo per fermare le violenze – a due anni dal tragico incendio, sono giunte anche le scuse di due leader religiosi islamici che hanno pubblicamente chiesto perdono per «una delle peggiori manifestazioni dell’odio anti-cristiano in Pakistan».
Lunedì scorso – secondo anniversario dell’attacco – è stata celebrata una Messa in suffragio delle vittime presieduta dal vescovo di Faisalabad, sua eccellenza monsignor Joseph Coutts, alla quale hanno partecipato centinaia di cristiani. Nell’incontro, che ha avuto luogo dopo la funzione religiosa, sono intervenuti Israr Bihar Shah, direttore di una madrassa [scuola islamica] nella regione, e Hafiz Abbul Haui, capo una vicina moschea, i quali hanno accusato esplicitamente i «fanatici» responsabili e condannato le loro azioni come «contrarie allo spirito stesso dell’Islam».
«Sono affermazioni d’importanza straordinaria» ha dichiarato ad Aiuto alla Chiesa che Soffre padre Aftab James Paul, direttore della Commissione per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso di Faisalabad. Parlando con ACS il sacerdote ha fatto notare come – pur non essendo in alcun modo implicati nell’attacco del 2009 – le due guide islamiche abbiano avuto il coraggio di chiedere scusa a nome della loro comunità per quanto accaduto. «Hanno pronunciato frasi molto rilevanti – ha aggiunto – affermando che la religione islamica non accetta in alcun modo l’omicidio e che i colpevoli di tali azioni non comprendono il vero spirito dell’Islam». Padre Aftab ha poi sottolineato come, «sebbene si tratti di dichiarazioni non ufficiali pronunciate al termine dell’incontro», le parole dei due leader religiosi siano doppiamente preziose, in quanto queste due figure così conosciute nella comunità «influenzeranno sicuramente gli altri fedeli».
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