lunedì, agosto 01, 2011
Il sito del miliardario inglese Alki David trasmette in tempo reale sul web il suicidio assistito di un malato terminale di cancro, Nikolai Ivanisovich, ricoverato in una clinica svizzera della “dolce morte”. Aiuti economici alla famiglia in cambio dei diritti di esclusiva Tv. La vita di un malato terminale è un valore disponibile e pertanto monetarizzabile?

di Bartolo Salone

E’ la notte del 29 luglio, ore 3 italiane: il sito “BattleCam”, del miliardario inglese Alki David (di professione attore, regista e produttore cinematografico nonché imprenditore nel settore della comunicazione digitale), ha mandato in rete, dal vivo, il suicidio assistito di Nikolai Ivanisovich. L’uomo, un sessantaduenne russo malato terminale di cancro, si era infatti rivolto ad una clinica svizzera, una delle tante di quel Paese specializzate nell’arte della “dolce morte”, per mettere fine alla sua esistenza attraverso una iniezione letale.

Il magnate inglese dichiara di essere stato contattato inizialmente da Nikolai per avere una mano con le spese mediche. Tuttavia, quando le condizioni di salute cominciano a peggiorare e si affaccia l’idea del suicidio assistito, una felice intuizione attraversa la mente della moglie di Nikolai: perché non riprendere gli istanti fatali e trasmetterli in streaming? All’imprenditore non sembra neanche vero: pagando le spese della clinica della morte e facendo qualche altro “regalino” alla sventurata famiglia si assicura l’esclusiva della diretta. Ecco l’ultima frontiera dei reality show: nessuno infatti prima d’ora aveva pensato di mandare in diretta web la morte di un uomo. Il massimo a cui si era arrivati fino ad ora era stata la videoripresa, comunque non trasmessa in diretta, della morte, “assistita” o meno che fosse, di malati terminali, a seconda dei casi a scopo di propaganda pro-eutanasia (come il filmato sulla morte assistita di Craig Ewert, a cura del premio oscar Jonathan Zaritsky, mandato in onda in prima serata su Sky nel 2006) o per fini asseritamente scientifici (non dimentichiamoci che lo scorso maggio una trasmissione di divulgazione scientifica anglosassone ha mandato in onda sulla Bbc e per di più in prima serata un documentario che raccontava la storia di un vecchio malato terminale di cancro e che filmava gli ultimi respiri dell’uomo agonizzante con i parenti in lacrime riuniti attorno al suo capezzale).

La “trovata” è talmente originale da costituire motivo di vanto da parte del miliardario regista: “Abbiamo creato una nuova forma di interattività”, dice, riferendosi al fatto che era stata data l’opportunità agli utenti del suo sito di collegarsi e votare se andassero o no trasmessi gli ultimi istanti di vita di Ivanisovich (il macabro verdetto è noto a tutti). Per gli altri siti è stato anche messo a disposizione un codice per includere nelle proprie pagine, e quindi trasmettere, lo “storico evento”.

Da parte sua Nikolai, riconoscente, dichiarava in una intervista al Russia Today: “Dio benedica mister David per la sua gentilezza e la sua generosità. Gli sono grato per aver reso possibile tutto ciò, la mia famiglia potrà vivere in prosperità dopo la mia morte”. Esito quasi comico di una vicenda che ha del tragico, con la vita di un uomo sì malato, ma in ogni caso pur sempre un uomo, usata come merce di scambio di un vile baratto: la “prosperità” di quel che rimane di una famiglia in cambio dei diritti di esclusiva Tv concessi ad un miliardario privo di scrupoli, che rischia di passare perfino per un benefattore dell’umanità!
Tuttavia, a ben vedere, è questo l’esito a cui conduce quella cultura che, mascherandosi più o meno grottescamente dietro sentimenti di falsa pietà, considera la vita umana come un bene di consumo, soggetto a deprezzamento a seconda degli eventi, anche tragici, che dall’esterno ne “erodono” il valore. In questa prospettiva, il povero Nikolai ha fatto sicuramente un buon affare, avendo venduto una esistenza ormai priva di valore, un’esistenza da malato terminale, in cambio della sicurezza economica dei suoi prossimi congiunti.

Rimane però una domanda di fondo: la vita umana può essere considerata alla stregua di un bene economico e, se sì, quali sono i meccanismi che ne regolano il valore? La vita di un ricco benestante vale più di quella di un povero? La vita di una persona sana vale più di quella di un malato? La vita di chi ha cibo a sazietà vale più di quella di chi soffre la fame?

Quando dalla concezione della sacralità della vita si passa, come sta avvenendo, a quella della qualità della vita, diventa impossibile cavarsela da simili paradossi e lentamente, ma inesorabilmente, si scivola verso una cultura di morte. Una civiltà che nella sua opulenza idolatrizza la qualità della vita (spesso intesa in senso edonistico o consumistico), dimenticandosi della sua intrinseca dignità, prima o poi perderà il senso dell’umanità. Se, collegandosi in rete, è possibile assistere in diretta alla morte di un uomo, anzi, se la morte stessa diventa un reality, vuol dire che il senso del rispetto del prossimo e dei suoi dolori l’abbiamo già perduto!

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