La Dda di Lecce apre un'inchiesta su racket braccianti e sfruttamento dei lavoratori
Liberainformazione - Tra i 450 e i 500, tanti sono diventati i braccianti agricoli stagionali che a Nardò, nella terra dorata del Salento, da quasi una settimana hanno deciso di incrociare le braccia per dire no a caporalato e sfruttamento. «Porteremo avanti la protesta fino a quando non vedremo dei risultati reali». Ivan, portavoce ufficiale dei braccianti, parla con voce chiara, senza tentennamenti. «Lo hanno minacciato di morte, giorni fa, ma non lo hanno spaventato. Ho denunciato l'accaduto alle forze dell'ordine, ma non è successo nulla, anzi le minacce si sono fatte più pressanti e vengono rivolte a chiunque» sottolinea, a maggior ragione dopo che tutti i nomi dei caporali sono finiti tra le mani delle forze dell'ordine. «Sabato scorso abbiamo presentato una lista con nomi e cognomi, indicando le persone che ogni giorno sfruttano i lavoratori, l'unico risultato che abbiamo ottenuto sono state delle multe comminate a questi personaggi... i caporali ridono e sbeffeggiano anche le forze dell'ordine, magari vengono arrestati e rilasciati il giorno dopo, e continuano ad agire indisturbati» anzi, aggiunge «adesso si sono anche organizzati meglio e hanno iniziato a cacciare dai campi gli immigrati irregolari, così da stare più tranquilli. Non sappiamo più cosa dobbiamo fare».
Un velo di sconforto si posa su quest'ultima affermazione, la legalità sembra un lontano miraggio tra i filari di pomodori arsi dal sole. Eppure, a ben vedere, un qualche effetto quelle denunce lo hanno avuto: la Dda di Lecce, si apprende, ha aperto un fascicolo di indagine sul racket dei braccianti, reati ipotizzati estorsione e minacce. Un primo segnale che si aggiunge alla, ancora non piena, vittoria ottenuta dai lavoratori, col viceprefetto che ha dato la sua disponibilità per la riunione in corso stamani. Ivan si mostra cauto: «Siamo contenti della disponibilità mostrata dal viceprefetto, ma anche venerdì più di 150 persone sono andate a lavorare sotto caporale ... i lavoratori non vedendo risultati cominciano già a perdere la pazienza, e del lavoro hanno bisogno».
In vista del tavolo (che si sta svolgendo in queste ore, ndr) i lavoratori, supportati nella lotta dalle Brigate della solidarietà attiva e dalla Flai Cgil, stanno preparando una nuova lista, questa volta delle aziende dove il caporalato è di casa: «...dove i proprietari, sanno perfettamente della presenza dei caporali - spiega ancora Ivan - e di come ci trattano, ma non fanno nulla per cambiare le cose, anzi...» Il tavolo, tuttavia, non è l'obiettivo principale, l'intento di questi lavoratori, stanchi di essere sfruttati fino a 13-14 ore al giorno per paghe da fame è quello di arrivare a strappare un impegno anche da parte del Ministero dell'Interno...
«Chiediamo al Governo un provvedimento d’urgenza che introduce sanzioni penali e non più amministrative contro i caporali. Chiediamo a tutte le forze politiche, sociali e sindacali di sostenere questa nostra iniziativa. Presenteremo questa nostra richiesta lunedì al tavolo che abbiamo ottenuto con le istituzioni». Si legge nel post pubblicato sul loro blog http://bracciantiboncuri.wordpress.com/ Del resto, la richiesta che avanzano i lavoratori, va di pari passo con il disegno di legge bipartisan depositato al Senato solo a luglio di quest'anno che introduce appunto il reato di “caporalato” punibile con la reclusione da cinque a otto anni e con una multa che può arrivare fino ai 2000 euro. Quello che chiedono i lavoratori della masseria Boncuri al Governo è, al momento, quanto meno una accelerazione sui tempi ( impossibile aspettare che il Ddl venga calendarizzato) e ai datori di lavoro, il rispetto che si deve a un lavoratore: contratti regolari, aumento salariale ( fino a 10 euro a cassone per i pomodori piccoli), rapporto di lavoro direttamente con i proprietari dei terreni, controlli dei documenti nei campi da parte delle autorità, e accoglienza degna ( brandine, docce calde etc...)
«Facciamo un lavoro massacrante - conclude Ivan - io attacco alle tre di notte e finisco alle 16, a fine giornata mi trovo con venti euro in tasca ... non è possibile andare avanti così, qui c'è tanta gente che sta male per le pessime condizioni di vita e di lavoro, non c'è un medico. Sfruttamento e discriminazione devono finire in Italia».
Per domani è prevista una nuova assemblea, Ivan imbraccerà di nuovo il suo megafono e tornerà a dare coraggio ai suoi compagni di lotta: «Non molleremo».
Liberainformazione - Tra i 450 e i 500, tanti sono diventati i braccianti agricoli stagionali che a Nardò, nella terra dorata del Salento, da quasi una settimana hanno deciso di incrociare le braccia per dire no a caporalato e sfruttamento. «Porteremo avanti la protesta fino a quando non vedremo dei risultati reali». Ivan, portavoce ufficiale dei braccianti, parla con voce chiara, senza tentennamenti. «Lo hanno minacciato di morte, giorni fa, ma non lo hanno spaventato. Ho denunciato l'accaduto alle forze dell'ordine, ma non è successo nulla, anzi le minacce si sono fatte più pressanti e vengono rivolte a chiunque» sottolinea, a maggior ragione dopo che tutti i nomi dei caporali sono finiti tra le mani delle forze dell'ordine. «Sabato scorso abbiamo presentato una lista con nomi e cognomi, indicando le persone che ogni giorno sfruttano i lavoratori, l'unico risultato che abbiamo ottenuto sono state delle multe comminate a questi personaggi... i caporali ridono e sbeffeggiano anche le forze dell'ordine, magari vengono arrestati e rilasciati il giorno dopo, e continuano ad agire indisturbati» anzi, aggiunge «adesso si sono anche organizzati meglio e hanno iniziato a cacciare dai campi gli immigrati irregolari, così da stare più tranquilli. Non sappiamo più cosa dobbiamo fare».
Un velo di sconforto si posa su quest'ultima affermazione, la legalità sembra un lontano miraggio tra i filari di pomodori arsi dal sole. Eppure, a ben vedere, un qualche effetto quelle denunce lo hanno avuto: la Dda di Lecce, si apprende, ha aperto un fascicolo di indagine sul racket dei braccianti, reati ipotizzati estorsione e minacce. Un primo segnale che si aggiunge alla, ancora non piena, vittoria ottenuta dai lavoratori, col viceprefetto che ha dato la sua disponibilità per la riunione in corso stamani. Ivan si mostra cauto: «Siamo contenti della disponibilità mostrata dal viceprefetto, ma anche venerdì più di 150 persone sono andate a lavorare sotto caporale ... i lavoratori non vedendo risultati cominciano già a perdere la pazienza, e del lavoro hanno bisogno».
In vista del tavolo (che si sta svolgendo in queste ore, ndr) i lavoratori, supportati nella lotta dalle Brigate della solidarietà attiva e dalla Flai Cgil, stanno preparando una nuova lista, questa volta delle aziende dove il caporalato è di casa: «...dove i proprietari, sanno perfettamente della presenza dei caporali - spiega ancora Ivan - e di come ci trattano, ma non fanno nulla per cambiare le cose, anzi...» Il tavolo, tuttavia, non è l'obiettivo principale, l'intento di questi lavoratori, stanchi di essere sfruttati fino a 13-14 ore al giorno per paghe da fame è quello di arrivare a strappare un impegno anche da parte del Ministero dell'Interno...
«Chiediamo al Governo un provvedimento d’urgenza che introduce sanzioni penali e non più amministrative contro i caporali. Chiediamo a tutte le forze politiche, sociali e sindacali di sostenere questa nostra iniziativa. Presenteremo questa nostra richiesta lunedì al tavolo che abbiamo ottenuto con le istituzioni». Si legge nel post pubblicato sul loro blog http://bracciantiboncuri.wordpress.com/ Del resto, la richiesta che avanzano i lavoratori, va di pari passo con il disegno di legge bipartisan depositato al Senato solo a luglio di quest'anno che introduce appunto il reato di “caporalato” punibile con la reclusione da cinque a otto anni e con una multa che può arrivare fino ai 2000 euro. Quello che chiedono i lavoratori della masseria Boncuri al Governo è, al momento, quanto meno una accelerazione sui tempi ( impossibile aspettare che il Ddl venga calendarizzato) e ai datori di lavoro, il rispetto che si deve a un lavoratore: contratti regolari, aumento salariale ( fino a 10 euro a cassone per i pomodori piccoli), rapporto di lavoro direttamente con i proprietari dei terreni, controlli dei documenti nei campi da parte delle autorità, e accoglienza degna ( brandine, docce calde etc...)
«Facciamo un lavoro massacrante - conclude Ivan - io attacco alle tre di notte e finisco alle 16, a fine giornata mi trovo con venti euro in tasca ... non è possibile andare avanti così, qui c'è tanta gente che sta male per le pessime condizioni di vita e di lavoro, non c'è un medico. Sfruttamento e discriminazione devono finire in Italia».
Per domani è prevista una nuova assemblea, Ivan imbraccerà di nuovo il suo megafono e tornerà a dare coraggio ai suoi compagni di lotta: «Non molleremo».
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