Le forze di sicurezza aprono il fuoco sulla folla e circondano le moschee per evitare altre proteste
PeaceReporter - Si scatena la repressione del regime siriano contro le proteste del secondo venerdì di Ramadan. Oggi almeno 11 manifestanti sono stati uccisi durante le manifestazioni: tre a Homs, una ad Hama, due ad Aleppo, due ad Idlib e tre alla periferia di Damasco. Secondo gli attivisti siriani l'esercito non ha ancora abbandonato la città di Hama ed è intervenuto anche nella città di Idlib, al confine con la Turchia, dove i soldati sparano sui manifestanti.
Manifestazioni contro il regime sono in corso anche a Deir al-Zour, Amouda, al-Qameshli, Derbesiyeh e Ras al-Ain. A Muaddamiya le moschee sono circondate dagli agenti di sicurezza.
Intanto, sul piano politico, il fronte degli attivisti si divide tra quanti vorrebbero continuare la rivoluzione con mezzi pacifici e quanti sono pronti a imbracciare le armi.
Il dibattito passa attraverso il quotidiano panarabo Ashraq al Awsat. "Molto presto la protesta - in corso da cinque mesi - passerà ad una nuova fase di ribellione, in cui potremmo esser costretti a usare la violenza", ha dichiarato in un'intervista Muhammad Rahhal, presidente del consiglio per il coordinamento dell'opposizione siriana.
Di parere opposto l'attivista Khalaf Ali Khalaf, secondo il quale imbracciare le armi porterebbe "alla guerra civile"."L'uso della forza ci porterà a giocare nello stesso terreno del regime, che è proprio quello che il regime vuole", aggiunge e sottolinea che comunque le forze messe in campo dagli attivisti non potrebbero mai contrastare i caccia e i blindati utilizzati da Assad.
Khalaf risponde anche alle accuse di Assad ai Paesi vicini, accusati di armare "bande di terroristi": "I Paesi confinanti non avrebbero interesse ad armare l'intifada e a spingere la Siria nel tunnel della violenza, perché ciò avrebbe forti ripercussioni sugli stessi Paesi vicini".
PeaceReporter - Si scatena la repressione del regime siriano contro le proteste del secondo venerdì di Ramadan. Oggi almeno 11 manifestanti sono stati uccisi durante le manifestazioni: tre a Homs, una ad Hama, due ad Aleppo, due ad Idlib e tre alla periferia di Damasco. Secondo gli attivisti siriani l'esercito non ha ancora abbandonato la città di Hama ed è intervenuto anche nella città di Idlib, al confine con la Turchia, dove i soldati sparano sui manifestanti.
Manifestazioni contro il regime sono in corso anche a Deir al-Zour, Amouda, al-Qameshli, Derbesiyeh e Ras al-Ain. A Muaddamiya le moschee sono circondate dagli agenti di sicurezza.
Intanto, sul piano politico, il fronte degli attivisti si divide tra quanti vorrebbero continuare la rivoluzione con mezzi pacifici e quanti sono pronti a imbracciare le armi.
Il dibattito passa attraverso il quotidiano panarabo Ashraq al Awsat. "Molto presto la protesta - in corso da cinque mesi - passerà ad una nuova fase di ribellione, in cui potremmo esser costretti a usare la violenza", ha dichiarato in un'intervista Muhammad Rahhal, presidente del consiglio per il coordinamento dell'opposizione siriana.
Di parere opposto l'attivista Khalaf Ali Khalaf, secondo il quale imbracciare le armi porterebbe "alla guerra civile"."L'uso della forza ci porterà a giocare nello stesso terreno del regime, che è proprio quello che il regime vuole", aggiunge e sottolinea che comunque le forze messe in campo dagli attivisti non potrebbero mai contrastare i caccia e i blindati utilizzati da Assad.
Khalaf risponde anche alle accuse di Assad ai Paesi vicini, accusati di armare "bande di terroristi": "I Paesi confinanti non avrebbero interesse ad armare l'intifada e a spingere la Siria nel tunnel della violenza, perché ciò avrebbe forti ripercussioni sugli stessi Paesi vicini".
Tweet |
Sono presenti 0 commenti
Inserisci un commento
Gentile lettore, i commenti contententi un linguaggio scorretto e offensivo verranno rimossi.