mercoledì, settembre 28, 2011
La violenza dilaga in Afghanistan: un ordigno piazzato sul bordo di una strada nel distretto di Shindand, nell'Ovest del Paese, è esploso al passaggio di un autobus uccidendo almeno 16 persone, di cui 11 bambini

RadioVaticana - Sempre oggi, un attentato suicida ha ucciso cinque persone nei pressi di una stazione di polizia di Lashkar Gar, centro principale della provincia di Helmand, nel sud dell’Afghanistan. Il kamikaze si è fatto esplodere con un'autobomba, ferendo anche 25 tra civili e forze di polizia. Lashkar Gah è una delle sette zone dove la Nato ha trasferito quest'anno la responsabilità della sicurezza nelle mani dell'esercito e della polizia locale. L’attentato di oggi è isolato o è sintomo di una destabilizzazione preoccupante? Salvatore Sabatino ne ha parlato con Marco Lombardi, Responsabile dei Progetti educativi in Afghanistan dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano: ascolta.

R. - E’ difficile parlare di uno stato di sicurezza per l’Afghanistan, direi che la sicurezza nell’Afghanistan dipende da due fattori che dobbiamo tenere sempre molto presenti: uno, un aspetto geografico, e l’altro un aspetto temporale. L’aspetto geografico, la sicurezza a Kabul e a Herat è molto diversa rispetto a quella a Lashkar Gah. Dobbiamo tenerlo presente. Ma quello che è importante per oggi, per il futuro, è che in Afghanistan si sta attraversando un periodo cosiddetto di transizione: la delega dei poteri e soprattutto della sicurezza dalle forze internazionali a quelle locali. Non per niente l’attentato è avvenuto alla base della polizia. In questa fase di transizione ci si aspetta, ed è sempre capitato così, una recrudescenza degli attentati. Quindi, la situazione non migliorerà nel futuro, ma sappiamo che questa è la situazione che dobbiamo affrontare.

D. – Tutto questo avviene in un Paese dove ovviamente ci sono fortissime divisioni interne. Potranno mai essere appianate, secondo lei?

R. – Le divisioni interne fanno parte della costituzione dell’Afghanistan. Forse, in futuro, la sfida per noi, è quella di cercare di capire in che modo i tribalismi oggi possono essere incorporati in un disegno democratico. Questo non vale solo per l’Afghanistan, ma vale per la gran parte del mondo che è caratterizzato da questi percorsi.

D. – Lei è responsabile dei progetti educativi in Afghanistan dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano: quanto è importante l’aspetto educativo per far risollevare un Paese come l’Afghanistan?

R. – Ogni Paese nasce se dentro di sé sente la forza per poter rinascere, quindi comincia dai cittadini. Oggi educare le donne, educare i giovani in Afghanistan è assolutamente centrale. Per questo noi come Università Cattolica lavoriamo strettamente con la Difesa italiana, con il motto per cui il Prt, cioè la Difesa, costruisce le scuole, noi costruiamo i maestri. Non bastano infrastrutture, bisogna anche avere il personale che è in grado di gestirle.

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