giovedì, settembre 08, 2011
Giornalisti lombardi ed emiliani promuovono un codice etico per parlare di carcere e rispettare i diritti

PeaceReporter - Le parole sono importanti, diceva Nanni Moretti. E ha ragione, in particolare quando si parla della vita e della dignità delle persone. Con questo spirito gli Ordini dei Giornalisti della Lombardia e dell'Emilia Romagna si sono impegnati a ridefinire una sorta di lessico penitenziario, che riguarda tutti gli aspetti della privazione della libertà. Perché la pena esaurisca la colpa e non si trasformi in marchio d'infamia.

L'iniziativa, che sarà presentata sabato 10 settembre, alle ore 11, nel Comune di Milano, è appoggiata dalle associazioni legate al mondo del carcere e dai periodici carcerari Carte Bollate (della casa di reclusione di Bollate, in provincia di Milano) e Ristretti orizzonti (della casa di reclusione di Padova). In pratica è stato definito un nuovo codice deontologico: la Carta del carcere e della pena.

Due sono i punti decisivi della Carta, come racconta a PeaceReporter Susanna Ripamonti, direttrice di Carte Bollate: "L'iniziativa nasce da una riflessione collettiva tra varie redazioni carcerarie. Si avverte la necessità di informare gli informatori. Siamo partiti con seminari sulla rappresentazione mediatica del carcere, con incontri nelle scuole di giornalismo. Serve un codice deontologico - spiega Ripamonti - non è ammessa l'ignoranza della legge, anche per chi informa. C'è molta ignoranza in chi racconta. Leggo titoli raccapriccianti, tipo 'dopo soli quindici anni già libero!'. Ma uno che usufruisce di un permesso o di un lavoro esterno lo fa perché è previsto dalla Legge Gozzini o da altre norme, su decisione e controllo di un giudice. A volte, per queste persone, è dura. Bisogna raccontare le cose per bene. L'altro punto è il diritto all'oblio. Chi ha scontato la sua pena ha diritto a essere dimenticato. Ci sono dei limiti nel tempo alla possibilità di parlare, come va tutelato il diritto di cronaca. Ovvio che non c'è oblio per i reati che fan parte della storia, ma gli altri hanno diritto a ricominciare una vita senza essere braccati per sempre da una colpa che hanno scontato''.

Obiettivi importanti, soprattutto nell'approccio filosofico del carcere come parte di un percorso sociale. La Costituzione italiana, in questo senso, è chiara: le case di reclusione devono far parte di un reinserimento sociale, non di brutale repressione né di disperazione umana. Come sono diventati. I giornalisti, in questo senso, s'impegnano a dare il loro contributo.

La Carta prevede l'obbligo di usare una terminologia appropriata sia per i detenuti, che per gli operatori sociali che si muovono in questo mondo, fino alle figure professionali che operano all'interno del carcere. Una particolare attenzione sarà riservata alle storie 'positive' di carcere, quelle - mica tanto rare - che spiegano come un buon carcere tenda a produrre scarsa recidiva. Il Consiglio nazionale dell'Ordine dei giornalisti lavorerà alla formazione dei redattori per affrontare al meglio questi argomenti anche a livello nazionale, arrivando a istituire un Osservatorio sull'informazione relativa al carcere.

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