A 10 anni di distanza dall’11 settembre 2001, il mondo arabo è teatro di rivoluzioni e sconvolgimenti che – sebbene sia difficile individuarne la ‘rotta’ – promettono di cambiarne l’immagine negli anni a venire.
Agenzia Misna - La MISNA ne ha parlato con Paolo Branca, islamologo e docente dell’Università Cattolica di Milano.
Dalle Torri alle rivoluzioni: un anniversario che fornisce più di uno spunto di riflessione…
“Paradossalmente questo decennale potrebbe rivelarsi utile a correggere alcune percezioni, sbagliate, diffusesi all’indomani dell’attacco alle Torri e, come si disse all’epoca, ‘al cuore’ della società occidentale. Sicuramente gli attentati hanno rivelato in maniera scioccante le contraddizioni e i contrasti interni alle società arabe, ma a distanza di 10 anni possiamo smentire con i fatti le ‘profezie’ alienate di chi sosteneva che l’Islam fosse destinato a partorire solo fondamentalismi”.
Si riferisce alla cosiddetta ‘primavera’ che soffia dal sud?
“Quella in corso nel mondo arabo è una grossa scommessa. C’è tutta una serie di forze già radicate nella società che hanno una visione ancora molto tradizionale, patriarcale e autoritaria del potere e sono lontane anni luce dagli ideali rivendicati dai giovani nelle piazze. Penso che, da quel punto di vista, sarà importante l’attenzione che il mondo saprà concedere a questi giovani, anche se la crisi economica in atto ci tiene tutti voltati in un’altra direzione”.
Egitto, Libia, Tunisia ma anche Siria, Yemen e Bahrein: paesi diversi, e contesti diversi. Quali sono le sfide che li accomunano?
“In tutti questi paesi è in atto una lotta tra ‘gattopardi’ e modernizzatori, animati da valori e ideali diversi. Sostenere le forze della società civile, per il momento, è l’unica cosa saggia da fare. Soprattutto se si tiene conto del fatto che la spinta fondamentalista cercherà di approfittare delle ‘maglie larghe’ connaturate nel sistema democratico. L’importante è riconoscere che non si passa dalla dittatura alla democrazia da un giorno all’altro: anche da noi al suffragio universale si è arrivati gradualmente, con il sostegno di una classe media, che in molti di questi paesi è debole. Non è detto che chi ha iniziato le rivoluzioni sia, alla fine, chi ne coglierà i frutti”.
Dieci anni dopo le due sponde del Mediterraneo sono più vicine o più lontane?
“Direi più vicine se pensiamo al mondo della comunicazione e alle ripercussioni dirette degli avvenimenti di un paese sugli altri, più lontane se guardiamo a come siamo cambiati noi rispetto a loro. Stati Uniti ed Europa stanno invecchiando in fretta e male, gli equilibri mondiali si stanno modificando con rapidità impressionante e noi, è evidente, non riusciamo a stare al passo”.
Agenzia Misna - La MISNA ne ha parlato con Paolo Branca, islamologo e docente dell’Università Cattolica di Milano.
Dalle Torri alle rivoluzioni: un anniversario che fornisce più di uno spunto di riflessione…
“Paradossalmente questo decennale potrebbe rivelarsi utile a correggere alcune percezioni, sbagliate, diffusesi all’indomani dell’attacco alle Torri e, come si disse all’epoca, ‘al cuore’ della società occidentale. Sicuramente gli attentati hanno rivelato in maniera scioccante le contraddizioni e i contrasti interni alle società arabe, ma a distanza di 10 anni possiamo smentire con i fatti le ‘profezie’ alienate di chi sosteneva che l’Islam fosse destinato a partorire solo fondamentalismi”.
Si riferisce alla cosiddetta ‘primavera’ che soffia dal sud?
“Quella in corso nel mondo arabo è una grossa scommessa. C’è tutta una serie di forze già radicate nella società che hanno una visione ancora molto tradizionale, patriarcale e autoritaria del potere e sono lontane anni luce dagli ideali rivendicati dai giovani nelle piazze. Penso che, da quel punto di vista, sarà importante l’attenzione che il mondo saprà concedere a questi giovani, anche se la crisi economica in atto ci tiene tutti voltati in un’altra direzione”.
Egitto, Libia, Tunisia ma anche Siria, Yemen e Bahrein: paesi diversi, e contesti diversi. Quali sono le sfide che li accomunano?
“In tutti questi paesi è in atto una lotta tra ‘gattopardi’ e modernizzatori, animati da valori e ideali diversi. Sostenere le forze della società civile, per il momento, è l’unica cosa saggia da fare. Soprattutto se si tiene conto del fatto che la spinta fondamentalista cercherà di approfittare delle ‘maglie larghe’ connaturate nel sistema democratico. L’importante è riconoscere che non si passa dalla dittatura alla democrazia da un giorno all’altro: anche da noi al suffragio universale si è arrivati gradualmente, con il sostegno di una classe media, che in molti di questi paesi è debole. Non è detto che chi ha iniziato le rivoluzioni sia, alla fine, chi ne coglierà i frutti”.
Dieci anni dopo le due sponde del Mediterraneo sono più vicine o più lontane?
“Direi più vicine se pensiamo al mondo della comunicazione e alle ripercussioni dirette degli avvenimenti di un paese sugli altri, più lontane se guardiamo a come siamo cambiati noi rispetto a loro. Stati Uniti ed Europa stanno invecchiando in fretta e male, gli equilibri mondiali si stanno modificando con rapidità impressionante e noi, è evidente, non riusciamo a stare al passo”.
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