domenica, settembre 18, 2011
Don Enrico Feroci, direttore della Caritas diocesana di Roma, ha spiegato il significato dei due termini e il valore dell’essere e sentirsi componenti attivi della “città”

di Carlo Mafera

Analizzare le frasi della Sacra Scrittura che più di tutte esemplificano il concetto di Eucarestia, e soprattutto le implicazioni con l’impegno sociale, è stato il compito di Don Enrico Feroci nella conferenza tenutasi oggi a Roma. Quella più rappresentativa è stata: “La comunione con il tuo Corpo e il tuo Sangue, Signore Gesù Cristo, non diventi per me giudizio di condanna…”. In questa frase è contenuta tutta la forza ideale del cristianesimo: cibarsi del Corpo di Cristo diventa, per chi ne mangia, una grande responsabilità nei confronti dell’intera comunità civile. In altre parole, il Signore deve continuare a vivere nel mondo attraverso la testimonianza di chi si è nutrito dell’Eucarestia. O, per dirla con S. Giovanni Crisostomo: “Vuoi onorare il corpo di Cristo? Non trascurarlo quando si trova nudo. Non onorare il Cristo eucaristico con paramenti di seta, mentre fuori del tempio trascuri quest’altro Cristo che è afflitto dal freddo e dalla nudità. Colui che ha detto ‘questo è il mio corpo’ è il medesimo che ha detto: ‘Voi mi avete visto affamato e non mi avete nutrito’ e ‘Quello che avete fatto al più piccolo dei miei fratelli l’avete fatto a me’… A che serve che la tavola eucaristica sia sovraccarica di calici d’oro, quando lui muore di fame? Comincia a saziare l’affamato e poi, con quello che resterà, potrai onorare anche l’altare”. Insomma, il fratello è il volto di Cristo.

Un altro pensiero che don Enrico Feroci ha messo in evidenza è stato quello sul memoriale del sacrificio di Cristo. “Quando nella Chiesa si celebra l’eucarestia non si fa per ripetere il sacrificio di Cristo… semplicemente noi rendiamo presente l’unico e insostituibile sacrificio e ci impegniamo ad imitare la Sua offerta con l’offerta di noi stessi”. In altre parole “l’offerta di Gesù ha un senso se continua con la nostra offerta”. “Anche il Papa Benedetto XVI – ha ricordato don Enrico – ha precisato recentemente che una celebrazione eucaristica che non preveda l’incontro con gli uomini laddove essi vivono e soffrono non ha senso”. “Bisogna spezzare la propria vita per gli altri”. E, a conclusione della prima parte, don Feroci ha letto un brano del diario di Don Andrea Santoro, morto martire in Turchia qualche anno fa. Mi sembra significativo estrapolarlo per intero per coglierne la profondità del pensiero di un martire-testimone: “Ieri sera alle 21 ho celebrato l’Eucarestia nella cappella delle suore della Nigrizia, a Betania. Betania mi ha fatto capire l´Eucarestia, perché l’Eucarestia è Gesù che entra nelle case di Betania, nella casa di Marta e Maria, nella casa di Simone il lebbroso. E’ Gesù che cammina per le stradine mentre i ragazzini giocano e litigano e alcuni lo guardano, si avvicinano per chiedere qualcosa, per salutare. E’ Gesù che saluta i vicini di Marta e Maria, che entra nella tomba di Lazzaro, va a cena da un lebbroso, si lascia ‘improfumare’ e accarezzare da una donna, scambia due chiacchiere con i commensali, ride con uno, fa un discorso serio con un altro. E’ Gesù che sale piano piano la salita ripida che attraverso Betania porta a Gerusalemme, si ferma ogni tanto, fa la voce a qualche lavoratore e lo saluta, approfitta del passaggio per fermarsi un attimo da qualche famiglia o presso qualcuno di cui gli avevano parlato. "Questo è il mio corpo", che vuol dire? Vuol dire "voi siete mio corpo", voi, proprio voi. I vostri corpi sono il mio, le vostre anime, le vostre case, i vostri figli, il vostro pane, i vostri vini, i vostri canti, le vostre lacrime. Gesù prende il pane, prende l’uomo, prende la nostra stoffa, la nostra carne, lo tiene in mano e dice lode e benedizione a Dio e afferma che è corpo suo. E dice "mangiatene", riaccostatevi a voi perché non siete immondi, lontani, castigati, siete me, siete corpo mio, siete santità, vicinanza, benedizione, arca di Dio, alito di Dio e sua figura. Siate contenti, guardatevi e possedetevi con esultanza, non con paura, angoscia, scetticismo, nausea.

E lo "spezzò": apre i nostri corpi, la nostra storia perché possiamo guardarci dentro, vederne il reale contenuto, la reale sostanza. Ce li offre come nutrimento, come cosa buona che è vita e dà vita perché siamo noi e siamo lui insieme, non più distinguibili e separabili”. Quindi, siamo noi stessi il Corpo di Cristo da offrire agli altri, da offrirci gli uni agli altri.

E poi don Enrico ha sottolineato l’importanza della celebrazione domenicale che rappresenta la trasformazione di quel meraviglioso evento, istituito quel giovedì santo, in evento ecclesiale. “I martiri di Abitene – ha detto il direttore della Caritas Romana – proclamavano davanti ai loro persecutori ‘Sine Dominico non possumus’, ‘Senza la domenica non possiamo esistere’”. E ancora, citando il cardinal Martini: “Il cristiano non è quello che va a messa la domenica, ma colui che ama il prossimo perché va a messa la domenica”.

Relativamente al concetto di cittadinanza, don Enrico Feroci ha citato don Tonino Bello circa l’episodio del Buon Samaritano. Il cristiano è un uomo che davanti al problema del fratello non passa avanti. “La Chiesa deve sentire la bellezza di vivere nella Città … deve dare corpo al messaggio evangelico e deve parlare della città perché è un tema cristianamente determinante”.

Infine don Enrico ha concluso sottolineando le criticità e le nuove povertà di cui la famiglia e la prima ad esserne vittima. Innanzi tutto una grave mancanza di politiche a sostegno della famiglia, da cui nascono a cascata tutti gli altri: ritardo nell’età in cui ci si sposa, difficoltà quindi nella procreazione, difficoltà economiche che sono direttamente proporzionali agli aborti e infine una ricerca illusoria di risolvere i problemi con il Supernalotto o giochi simili che creano dipendenza e un’altra povertà per ben 1 milione e 700mila giocatori, molti dei quali si rovinano col gioco!!!

L’Eucarestia quindi per la cittadinanza è oggi al fondamento della speranza di superare positivamente tutti quegli aspetti di ‘crisi’ che, cronicizzandosi, tendono a diventare strutturali e permanenti nelle nostre società.

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