mercoledì, settembre 28, 2011
I conti dell’Italia non sono affatto in ordine: cercasi statista e cittadini più responsabili

Liberainformazione - Quante volte negli ultimi anni e soprattutto negli ultimi mesi abbiamo sentito recitare come un “mantra” che i nostri conti sono in ordine? Sono talmente il ordine che nonostante continue manovre correttive il Fondo monetario internazionale ancora recentemente segnalava che non riusciremo a raggiungere l’obiettivo del pareggio di bilancio nel 2013. L’Italia da decenni chiude i propri conti, il cosiddetto avanzo primario, in modo positivo. Ma aggiungendo gli interessi da pagare sul debito finisce sempre che chiude in rosso. Chi comprerebbe un’azienda che negli ultimi 30 anni ha chiuso il proprio bilancio sempre in rosso? Nessuno, verrebbe da rispondere.

Eppure chi compra i titoli di stato italiani sta investendo proprio in questa impresa, che sarebbe economicamente sana di per sé, ma che non è mai riuscita a mettere da parte nemmeno i soldi per pagare gli interessi e tanto meno a diminuire il debito accumulato. La spirale del debito la conosciamo tutti: il deficit di ogni anno va ad aggiungersi al debito precedente. L’aumento del debito comporta un aumento degli interessi e una progressiva difficoltà a pagare gli interessi dell’anno successivo. Abbiamo un po’ semplificato, ma la sostanza è questa. Di conseguenza aumentano i tagli, i sacrifici, le tasse, ma la situazione non cambia. Il macigno del debito è sempre lì, anzi minaccia sempre di più di trascinare tutto a valle. Ciò che più fa impressione è che di fronte a questa situazione, fino a pochi mesi fa, sia le forze politiche che i cittadini elettori hanno fatto finta di non vedere. L’allarme debito era già suonato nel 1992 (prelievo forzoso sui conti correnti) e nel 1996 (eurotassa per entrare in Europa), ma è stato presto sottovalutato e dimenticato.

Una classe politica seria avrebbe dovuto chiedere agli italiani di fare quello che un buon padre di famiglia avrebbe fatto. Usare parte dei risparmi accumulati per ridurre drasticamente il debito prima che la progressione arrivasse ad un punto insopportabile, cioè quello in cui i risparmi vengono bruciati solo per pagare gli interessi. Esattamente il punto attuale. Invece, negli ultimi decenni gli elettori hanno dato fiducia ad una classe politica che anziché sanare il debito ha promesso (solo promesso!) di abbassare le tasse. Silvio Berlusconi in varie occasioni ha detto che il suo programma non si poteva attuare per colpa del debito ereditato dal passato. Ma non lo sapeva che c’era questo debito quando ha deciso di scendere in campo? E non lo sapevano i cittadini che l’hanno votato? In realtà lo sapevamo tutti, ma di solito le persone si preoccupano molto del proprio debito personale e pochissimo del debito collettivo.

Si pensa sempre che il debito collettivo lo pagheranno gli altri. Idea falsa e vera allo stesso tempo: falsa perché in realtà lo stiamo pagando ogni anno attraverso gli interessi, vera perché pagando solo gli interessi il debito lo pagheranno altri, che si chiamano nostri figli e nostri nipoti. Ecco la nostra irresponsabile eredità. Consapevoli di tutto ciò il massimo dell’orizzonte che riusciamo ad intravedere è il deficit a pareggio, forse nel 2013, forse nel 2014 o forse mai. In questi ultimi mesi, come ampiamente era stato previsto, i tassi di interesse sui titoli di stato italiani sono saliti di molto. Chi compra adesso i BTP italiani riceverà per interessi circa il 4% in più di chi compra i Bund tedeschi. Chi è abituato ad investire nei titoli di stato italiani è contento. Chi governerà l’Italia nei prossimi anni, lo sarà molto meno, perché si ritroverà da pagare interessi molto più alti di quelli che vengono pagati oggi.

Per questa ragione il pareggio del bilancio di un anno, anche se riuscissimo a raggiungerlo, potrebbe rivelarsi un risultato effimero. Ancora una volta potremmo facilmente essere risucchiati nella spirale del debito a causa dell’aumento dei tassi di interesse. Per far quadrare i conti tutti gli anni ci dicono che bisogna far ripartire l’economia. Si ipotizzano percentuali di crescita del PIL che puntualmente devono essere poi ridimensionate. Allora arrivano i tagli o l’aumento delle imposte. È un giochetto ridicolo, al quale assistiamo ogni anno. Viene fatto perché poi si può dare la colpa dei tagli e delle tasse alla crisi. Di incapacità previsionale non si parla mai. Le stime prudenziali, cioè che tengano conto di eventuali difficoltà, non esistono. Anni fa, quando si è diffusa la voce che il ministro Padoa Schioppa era riuscito ad accantonare 8 miliardi di euro imprevisti, si è parlato di “tesoretto” e si è cominciato a litigare su come spenderli. Con 8 miliardi di euro si potevano pagare gli interessi di un mese. Il debito pubblico era già superiore a 1.600 miliardi. Di come pagarlo non si discuteva, né si litigava. Si taceva. Per questo adesso il debito ha superato 1.900 miliardi.

Ora, mentre la Grecia rischia il fallimento, l’Europa e i mercati internazionali ci hanno fornito uno specchio e anche l’Italia si è accorta di avere una pessima faccia. Finalmente la discussione sul che fare si è aperta. Alla domanda “chi deve pagare?”, molte voce si sono alzate per rispondere che debbono farlo anzitutto i più ricchi, che comunque sono riusciti ad accumulare più risorse. Quindi, si ipotizza un’imposta patrimoniale una tantum. Ne dovremmo logicamente dedurre che finora questi ricchi hanno pagato troppo poco. Infatti l’aliquota Irpef più alta negli ultimi 30 anni – per scelte sia del centrodestra che del centrosinistra - è scesa dal 62 al 43%. La patrimoniale dovrebbe essere accompagnata da un rialzo dell’aliquota più alta, altrimenti tra pochi anni si dovrà chiedere un’altra patrimoniale.

In altra parole, la necessità di introdurre una tassa patrimoniale è la dimostrazione palese che finora si è adottata una politica fiscale squilibrata, che ha chiesto troppo poco ai più ricchi. La patrimoniale è una toppa ad una vestito bucato. Non basta tappare il buco. Bisogna ritessere il vestito, cioè rivedere radicalmente il sistema tributario. Alcide De Gasperi diceva che «il politico pensa alle prossime elezioni, lo statista alle prossime generazioni». Restiamo in attesa di un vero statista capace di riequilibrare il sistema fiscale e di cittadini più consapevoli che la politica economica non è un mercato di televendite in cui scegliere chi offre lo sconto più alto. Dietro le mirabolanti promesse di meno tasse per tutti c’è sempre stato il trucco e oggi si vede più che mai. E le illusioni si pagano salate.

di Rocco Artifoni


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