L’esperienza del giudice Rosario Livatino è un’esperienza toccante e profonda che non possiamo permetterci di dimenticare. Dobbiamo anzi riflettere sulle azioni di un uomo che ha dato tutto se stesso alla causa della giustizia e della verità, sorretto da una profonda fede in Dio e negli uomini.
Il giudice Livatino, morto per mano mafiosa il 21 settembre 1990, ha testimoniato con la sua stessa vita uno dei più importanti precetti che Gesù ci ha lasciato: “Ama il prossimo tuo come te stesso”. Ed è per questo che, nonostante le innumerevoli minacce anonime che quotidianamente riceveva, decise di sopportare nella solitudine il dolore e la paura: oltre a rifiutare la scorta in quanto la sua coscienza non poteva “permettersi” di mettere in pericolo dei padri di famiglia per tutelare la sua vita, rifiutò anche di crearsi una propria famiglia, cosciente degli enormi rischi che un’applicazione rigorosa della legge, come quella che lui operava, porta con sé.
Uomo di profonda moralità e fermezza di spirito, non si fece mai assoggettare da uomini potenti che ne avrebbero voluto porre a freno l’intenso spirito di iniziativa e l’anelito di giustizia profondamente radicato nel suo cuore; Livatino continuò imperterrito in quella che vedeva come la missione che Dio gli aveva affidato, e di cui era geloso custode: adoprarsi affinché la giustizia trovasse compimento e affinché la mafia potesse essere combattuta e infine estirpata.
Fu così che perse la vita ventuno anni fa, e continua a essere ricordato nei cuori di chi ebbe la fortuna di conoscerlo e di poter quindi testimoniare le sue innumerevoli qualità di uomo e di magistrato. L’Associazione Amici del giudice Rosario Livatino, che è stata fondata nel 1995 a Canicattì, si occupa di preservare il ricordo del giudice e di promuovere varie iniziative culturali, oltre alla causa di beatificazione e canonizzazione. Il Santo Padre Giovanni Paolo II lo aveva, infatti, definito “martire della giustizia e indirettamente della fede”. Questo profondo connubio tra fede e giustizia che il giudice Livatino riuscì a realizzare nella sua vita (e che Bartolo Salone spiega molto chiaramente nel suo articolo “Fede e diritto: la testimonianza del giudice Livatino”) è testimoniato dal ricordo che gli amici avevano della sua scrivania: era sì completamente ricoperta delle carte del lavoro, ma al centro non mancava mai il vangelo e una croce
Il “giudice ragazzino”, come fu definito dall’allora presidente della Repubblica Cossiga, è oggi in attesa di essere nominato beato. Si è svolta, infatti, due giorni fa nella chiesa San Domenico di Canicattì la prima seduta pubblica del processo diocesano di beatificazione e canonizzazione di Rosario Livatino. La procedura prevede che Livatino deve aver operato per intercessione almeno una guarigione da male incurabile. E la guarigione sembra essere avvenuta. La signora Elena Valdetara Canale, infatti, afferma di essere guarita da una leucemia proprio per mano di Rosario Livatino. Il giudice le era, infatti, comparso in sogno nel 1993, l’anno il cui la signora Elena scoprì di essere malata. Il ragazzo che sognò, e che la signora non riconobbe, le disse in sogno queste parole: “La forza di guarigione è dentro di te, quando la troverai riuscirai a guarire e aiuterai gli altri bambini”. La signora, infatti, è madre di quattro bambini, di cui due adottati. Tre anni dopo aver avuto questo sogno e giunta alla fase terminale della sua malattia, scoprì da una foto apparsa su un giornale che si trattava proprio del giudice Livatino: cominciò allora un percorso che l’avrebbe condotta alla completa guarigione. Spetta ora al Prefetto della Congregazione vaticana il compito di valutare le analisi svolte dalle commissioni teologiche e scientifiche che si occupano del caso.
Quello che è certo è che Livatino ha lasciato un segno indelebile nel grande libro dell’umanità, che nessuno potrà mai cancellare. La sua vita e il suo esempio dovrebbero essere fonte di ispirazione per le nuove generazioni, che hanno smarrito molti punti di riferimento e hanno bisogno di esempi di così grande levature morale.
Il giudice Livatino, morto per mano mafiosa il 21 settembre 1990, ha testimoniato con la sua stessa vita uno dei più importanti precetti che Gesù ci ha lasciato: “Ama il prossimo tuo come te stesso”. Ed è per questo che, nonostante le innumerevoli minacce anonime che quotidianamente riceveva, decise di sopportare nella solitudine il dolore e la paura: oltre a rifiutare la scorta in quanto la sua coscienza non poteva “permettersi” di mettere in pericolo dei padri di famiglia per tutelare la sua vita, rifiutò anche di crearsi una propria famiglia, cosciente degli enormi rischi che un’applicazione rigorosa della legge, come quella che lui operava, porta con sé.
Uomo di profonda moralità e fermezza di spirito, non si fece mai assoggettare da uomini potenti che ne avrebbero voluto porre a freno l’intenso spirito di iniziativa e l’anelito di giustizia profondamente radicato nel suo cuore; Livatino continuò imperterrito in quella che vedeva come la missione che Dio gli aveva affidato, e di cui era geloso custode: adoprarsi affinché la giustizia trovasse compimento e affinché la mafia potesse essere combattuta e infine estirpata.
Fu così che perse la vita ventuno anni fa, e continua a essere ricordato nei cuori di chi ebbe la fortuna di conoscerlo e di poter quindi testimoniare le sue innumerevoli qualità di uomo e di magistrato. L’Associazione Amici del giudice Rosario Livatino, che è stata fondata nel 1995 a Canicattì, si occupa di preservare il ricordo del giudice e di promuovere varie iniziative culturali, oltre alla causa di beatificazione e canonizzazione. Il Santo Padre Giovanni Paolo II lo aveva, infatti, definito “martire della giustizia e indirettamente della fede”. Questo profondo connubio tra fede e giustizia che il giudice Livatino riuscì a realizzare nella sua vita (e che Bartolo Salone spiega molto chiaramente nel suo articolo “Fede e diritto: la testimonianza del giudice Livatino”) è testimoniato dal ricordo che gli amici avevano della sua scrivania: era sì completamente ricoperta delle carte del lavoro, ma al centro non mancava mai il vangelo e una croce
Il “giudice ragazzino”, come fu definito dall’allora presidente della Repubblica Cossiga, è oggi in attesa di essere nominato beato. Si è svolta, infatti, due giorni fa nella chiesa San Domenico di Canicattì la prima seduta pubblica del processo diocesano di beatificazione e canonizzazione di Rosario Livatino. La procedura prevede che Livatino deve aver operato per intercessione almeno una guarigione da male incurabile. E la guarigione sembra essere avvenuta. La signora Elena Valdetara Canale, infatti, afferma di essere guarita da una leucemia proprio per mano di Rosario Livatino. Il giudice le era, infatti, comparso in sogno nel 1993, l’anno il cui la signora Elena scoprì di essere malata. Il ragazzo che sognò, e che la signora non riconobbe, le disse in sogno queste parole: “La forza di guarigione è dentro di te, quando la troverai riuscirai a guarire e aiuterai gli altri bambini”. La signora, infatti, è madre di quattro bambini, di cui due adottati. Tre anni dopo aver avuto questo sogno e giunta alla fase terminale della sua malattia, scoprì da una foto apparsa su un giornale che si trattava proprio del giudice Livatino: cominciò allora un percorso che l’avrebbe condotta alla completa guarigione. Spetta ora al Prefetto della Congregazione vaticana il compito di valutare le analisi svolte dalle commissioni teologiche e scientifiche che si occupano del caso.
Quello che è certo è che Livatino ha lasciato un segno indelebile nel grande libro dell’umanità, che nessuno potrà mai cancellare. La sua vita e il suo esempio dovrebbero essere fonte di ispirazione per le nuove generazioni, che hanno smarrito molti punti di riferimento e hanno bisogno di esempi di così grande levature morale.
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