“Le informazioni arrivano in mille modi: attraverso telefoni satellitari, social network, una semplice mail, i cellulari, i contatti diretti con chi lascia anche temporaneamente la Siria. Poi, verifichiamo la notizia e cerchiamo di diffonderla attraverso social network, piattaforme web create per seguire le rivolte, e tramite media internazionali più tradizionali come le emittenti satellitari”.
Radio Vaticana -Alla MISNA che lo raggiunge in Libano dove si è rifugiato poco dopo l’inizio delle proteste contro il governo, Shahin (è il nome con cui preferisce essere chiamato) racconta la sua vita da blogger impegnato contro il governo di Bashar Al Assad. Impegno che si traduce sia nella raccolta di informazioni su quanto sta avvenendo in Siria sia a sostegno del nuovo movimento di opposizione che sfida il regime con proteste per lo più pacifiche . “Sono fuggito perché dopo aver raccontato al mondo quanto stava avvenendo a Daraa lo scorso marzo – dice Shahin – ho visto morire uccisi amici che si erano opposti al regime e io stesso ho rischiato la vita. Da allora, per sei mesi, siamo stati praticamente abbandonati dalla comunità internazionale – prosegue Shahin – mentre le notizie di torture, assassini e repressione da parte delle forze di sicurezza siriane passavano quasi inosservate. Ciononostante le proteste non sono mai venute meno, abbiamo costretto Assad in un angolo, stiamo costruendo un’alternativa politica diversa dal regime ma anche dall’opposizione tradizionale”.
L’opposizione di cui parla Shahin è organizzata in comitati e sottocomitati locali che ‘rispondono’ a un coordinamento centralizzato. “In realtà non c’è una vera struttura gerarchica – prosegue l’interlocutore della MISNA – né finora abbiamo avuto la possibilità di incontrarci, ma abbiamo una leadership politica che sta crescendo e che per ovvi motivi non può, in questo momento, palesarsi senza correre il rischio di rappresaglie e omicidi mirati”.
Shahin sottolinea che la relativa tranquillità di cui hanno finora goduto Damasco e Aleppo (le due principali città siriane) è una calma apparente perché conseguenza del forte apparato di polizia che le controlla e in parte determinato dalla presenza di gruppi che hanno effettivamente tratto benefici dal regime e che vogliono difendere i loro interessi. “Ma anche lì – aggiunge – è solo questione di tempo, la gente aspetta che la situazione maturi, prima o poi si rivolteranno anche loro contro Bashar Al Assad”. Un margine di tempo utilizzato però dal governo siriano per rispondere alla sfida della piazza: “Stanno giocando con le carte che hanno in mano – conclude Shahin – ovvero con la carta della pressione economica, con quella della minaccia alla sicurezza e con quella delle divisioni settarie. Il popolo siriano ha però bene in mente le lezioni di Libano e Iraq, non cadrà nel tranello”.
[di Gianfranco Belgrano]
Radio Vaticana -Alla MISNA che lo raggiunge in Libano dove si è rifugiato poco dopo l’inizio delle proteste contro il governo, Shahin (è il nome con cui preferisce essere chiamato) racconta la sua vita da blogger impegnato contro il governo di Bashar Al Assad. Impegno che si traduce sia nella raccolta di informazioni su quanto sta avvenendo in Siria sia a sostegno del nuovo movimento di opposizione che sfida il regime con proteste per lo più pacifiche . “Sono fuggito perché dopo aver raccontato al mondo quanto stava avvenendo a Daraa lo scorso marzo – dice Shahin – ho visto morire uccisi amici che si erano opposti al regime e io stesso ho rischiato la vita. Da allora, per sei mesi, siamo stati praticamente abbandonati dalla comunità internazionale – prosegue Shahin – mentre le notizie di torture, assassini e repressione da parte delle forze di sicurezza siriane passavano quasi inosservate. Ciononostante le proteste non sono mai venute meno, abbiamo costretto Assad in un angolo, stiamo costruendo un’alternativa politica diversa dal regime ma anche dall’opposizione tradizionale”.
L’opposizione di cui parla Shahin è organizzata in comitati e sottocomitati locali che ‘rispondono’ a un coordinamento centralizzato. “In realtà non c’è una vera struttura gerarchica – prosegue l’interlocutore della MISNA – né finora abbiamo avuto la possibilità di incontrarci, ma abbiamo una leadership politica che sta crescendo e che per ovvi motivi non può, in questo momento, palesarsi senza correre il rischio di rappresaglie e omicidi mirati”.
Shahin sottolinea che la relativa tranquillità di cui hanno finora goduto Damasco e Aleppo (le due principali città siriane) è una calma apparente perché conseguenza del forte apparato di polizia che le controlla e in parte determinato dalla presenza di gruppi che hanno effettivamente tratto benefici dal regime e che vogliono difendere i loro interessi. “Ma anche lì – aggiunge – è solo questione di tempo, la gente aspetta che la situazione maturi, prima o poi si rivolteranno anche loro contro Bashar Al Assad”. Un margine di tempo utilizzato però dal governo siriano per rispondere alla sfida della piazza: “Stanno giocando con le carte che hanno in mano – conclude Shahin – ovvero con la carta della pressione economica, con quella della minaccia alla sicurezza e con quella delle divisioni settarie. Il popolo siriano ha però bene in mente le lezioni di Libano e Iraq, non cadrà nel tranello”.
[di Gianfranco Belgrano]
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