martedì, settembre 20, 2011
A metà luglio, passati esattamente due mesi dal referendum sull’acqua, la Corte di Cassazione ha proclamato la vittoria dei Sì.

Volontariatoggi - I due quesiti sull’acqua sono quelli che hanno registrato il più alto numero di votanti, (27.689.455 il primo, 27.690.714 il secondo) e il maggior numero di Sì (25.931.531 il primo, 26.127.814 il secondo). Il Comitato Referendario 2 Sì per l’Acqua Bene Comune ha chiesto che “a fronte di una così chiara espressione della volontà popolare, venga al più presto discussa e approvata in Parlamento la proposta di legge di iniziativa popolare depositata alla Camera dei Deputati già nel 2007, proposta che va nella direzione di un governo pubblico e partecipativo del servizio idrico così come lo intende la maggioranza degli italiani“. Il Comitato ha fatto appello anche a tutti gli Ambiti Territoriali Ottimali e tutti gli enti locali affinché “ottemperino immediatamente a quanto abrogato dai quesiti referendari, predisponendo gli atti necessari a togliere l’adeguata remunerazione del capitale dalla tariffa e ad avviare percorsi di ripubblicizzazione del servizio idrico integrato”.

La solita capacità dei media di fare rumore e subito dopo far cadere nell’oblio questioni importanti della vita civile ha messo in secondo piano i temi del referendum, mentre la manovra economica appena varata dal governo, anche se esclude direttamente il servizio idrico integrato, apre ulteriormente alla privatizzazione (chiamata libera concorrenza) dei servizi pubblici di rilevanza economica, giustificando l’eventuale scelta di attribuirli in esclusiva, anche “in house”.

Questo nonostante che il primo dei quesiti del referendum riguardasse le modalità di affidamento e gestione di tutti i servizi pubblici locali di rilevanza economica, non solo di quello idrico. Nel frattempo l’incertezza sul futuro pare alta. Se alcuni esponenti politici rimangono comunque cauti rispetto allo schiacciante esito del referendum, altri, come il Ministro del Welfare Maurizio Sacconi affermano apertamente la volontà di rimetterlo in discussione.

Incertezza si vive anche fra le aziende che gestiscono il servizio idrico, le quali spingono per una visione “conservativa” della situazione, affermando, come accaduto nel corso del Festival di Federutility che si è svolto a Genova nei giorni scorsi, di essere in linea con il referendum stesso.

I movimenti hanno contestato questo festival ritendendo che “le società che fanno parte di Federutility gestiscono il Servizio idrico in Italia (e all’estero), oltre ad altri servizi come i rifiuti e l’energia; sono -hanno scritto- Società per Azioni di cui molte quotate in Borsa che nulla hanno a che vedere con la gestione pubblica dell’acqua essendo quelle che speculano e fanno profitti sull’acqua“.

A dire il vero Federutility, per bocca del suo presidente Roberto Bazzano (che è anche presidente di Iren, la multiutility mista che raccoglie molte società nel centro e nel nord Italia), si era apertamente e pubblicamente pronunciata contro i referendum. A preoccupare è ancora, e soprattutto, il nodo degli investimenti, come racconta questo articolo del giornalista Luca Martinelli sul sito di Altreconomia.

Secondo le anticipazioni dei dati dello studio che annualmente la fondazione Utilitatis realizza sulla situazione generale del servizio idrico (il Blue Book), il fabbisogno di investimenti è arrivato a 66,2 miliardi da spendere nei prossimi 30 anni soprattutto per fognature e depurazione, la maggior parte dei quali nel nord-ovest del paese. Federutility sostiene che di questi “solo il 10,5% sarebbe coperto da finanziamenti pubblici e, a fronte di questo quadro, l’Italia ha le tariffe tra le più basse d’Europa: una famiglia italiana spende in media 194,8 euro all’anno, contro i 1003,5 euro di una famiglia danese e i circa 570 euro di Austria, Gran Bretagna e Francia“.

“Mediamente -sostiene il vicepresidente Mauro D’Ascenzi- le famiglie italiane spendono 23,6 euro al mese per il ciclo idrico, in bolletta ci sono acquedotto, fognatura, depurazione”.

Se appare ancora poco chiaro come le aziende che gestiscono il servizio negli oltre 100 ambiti territoriali ottimali italiani si comporteranno dopo l’abrogazione, tramite il secondo quesito, della norma che imponeva la remunerazione al 7% del capitale investito, i comitati locali e i cittadini che hanno chiesto lo stop alla remunerazione della tariffa sono per ora rimasti senza una risposta chiara. È una delle tante questioni urgenti del nostro Paese e molto dipenderà dalla capacità che la classe politica in Parlamento e al governo avrà di interpretare l’esito del referendum e proporre nuove regole. Ma, ed è cronaca di questi anni e non solo di questi giorni, pare che abbia altre cose a cui pensare.

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