A Venezia l'ultimo film di Olmi "Il villaggio di cartone":la parabola di un edificio sacro che diventa casa per diseredati
Nel tardo pomeriggio di oggi è in programma alla Mostra del Cinema di Venezia la proiezione dell’ultimo film dell’ottantenne Ermanno Olmi, che rinnova la sua sfida al cinema con "Il villaggio di cartone".
Radio Vaticana - Il film nasce dalla lucidità e onestà di pensiero del grande regista bergamasco, aiutato questa volta, nella scrittura, dalle considerazioni del cardinale Gianfranco Ravasi e dello scrittore Claudio Magris. Il servizio di Luca Pellegrini: ascolta
Deve ricordare, il vecchio prete inginocchiato davanti all’altare: sono istanti faticosi, dolorosi. Deve ricordare il Cristo appeso sopra di lui, i banchi vuoti dietro di lui. La sua chiesa, per ragioni che non sappiamo, è presa d’assedio: le ruspe incombono, gli operai entrano violentando il sacro, violentando la casa di Dio. Rimane uno spazio vuoto e una sconsolata solitudine, quella che assale spesso l’anima, insieme al dubbio, quando anche gli ultimi punti di riferimento visibili spariscono. Ermanno Olmi con “Centochiodi” aveva già spogliato la cultura dai libri, la dottrina dalla complessità delle formule, andando all’essenza del messaggio cristiano. Ora, a ottant’anni compiuti, questo suo procedere nella nudità delle forme e nell’essenzialità del pensiero, si fa radicale, assillato anche lui dall’incombente minaccia che grava sulla umanità: ritrovarsi a suonare a vuoto – scrive San Paolo – come un rame o un cembalo inutili, quando una vita o una missione sono gravate dell’ultima, fatale spoliazione, quella della carità. E l’incombente pericolo oggi è quello di non capire i rischi che corriamo, sopraffatti dalle parole e dalle ipocrisie: c’è una povertà, al di là del mare, quella degli ultimi dell’Africa, quella degli immigrati che invadono nella notte la sua chiesa, per trovare protezione e rifugio, costruendo tra i banchi il loro villaggio di cartone. Olmi spoglia l’edificio anche della liturgia – la sua destinazione principale – correndo un rischio personale ma coerente, e spoglia anche il cinema di qualsiasi ultimo barlume di piacere narrativo: mette in scena, come una nuda e sacra rappresentazione, il confronto dialettico tra persone, tra gruppi, tra idee. Tra il rigore del Sacrestano, Rutger Hauer, che si fa ottuso Caino pur di salvare le apparenze e il vecchio ordine, e gli occhi del vecchio prete, Michael Lonsdale: sul letto di una morte aspettata e temuta, ricorda gli occhi di una ragazza. Provato nel fisico, provato nello spirito, si affida ancora a Cristo, cercandone il volto sulla Croce, chiedendosi oggi quel volto dov’è, mentre giù, nella sua chiesa, i clandestini ricominciano un esodo e gli uomini della legge si preparano all’ultimo, definitivo assalto.
Radio Vaticana - Il film nasce dalla lucidità e onestà di pensiero del grande regista bergamasco, aiutato questa volta, nella scrittura, dalle considerazioni del cardinale Gianfranco Ravasi e dello scrittore Claudio Magris. Il servizio di Luca Pellegrini: ascolta
Deve ricordare, il vecchio prete inginocchiato davanti all’altare: sono istanti faticosi, dolorosi. Deve ricordare il Cristo appeso sopra di lui, i banchi vuoti dietro di lui. La sua chiesa, per ragioni che non sappiamo, è presa d’assedio: le ruspe incombono, gli operai entrano violentando il sacro, violentando la casa di Dio. Rimane uno spazio vuoto e una sconsolata solitudine, quella che assale spesso l’anima, insieme al dubbio, quando anche gli ultimi punti di riferimento visibili spariscono. Ermanno Olmi con “Centochiodi” aveva già spogliato la cultura dai libri, la dottrina dalla complessità delle formule, andando all’essenza del messaggio cristiano. Ora, a ottant’anni compiuti, questo suo procedere nella nudità delle forme e nell’essenzialità del pensiero, si fa radicale, assillato anche lui dall’incombente minaccia che grava sulla umanità: ritrovarsi a suonare a vuoto – scrive San Paolo – come un rame o un cembalo inutili, quando una vita o una missione sono gravate dell’ultima, fatale spoliazione, quella della carità. E l’incombente pericolo oggi è quello di non capire i rischi che corriamo, sopraffatti dalle parole e dalle ipocrisie: c’è una povertà, al di là del mare, quella degli ultimi dell’Africa, quella degli immigrati che invadono nella notte la sua chiesa, per trovare protezione e rifugio, costruendo tra i banchi il loro villaggio di cartone. Olmi spoglia l’edificio anche della liturgia – la sua destinazione principale – correndo un rischio personale ma coerente, e spoglia anche il cinema di qualsiasi ultimo barlume di piacere narrativo: mette in scena, come una nuda e sacra rappresentazione, il confronto dialettico tra persone, tra gruppi, tra idee. Tra il rigore del Sacrestano, Rutger Hauer, che si fa ottuso Caino pur di salvare le apparenze e il vecchio ordine, e gli occhi del vecchio prete, Michael Lonsdale: sul letto di una morte aspettata e temuta, ricorda gli occhi di una ragazza. Provato nel fisico, provato nello spirito, si affida ancora a Cristo, cercandone il volto sulla Croce, chiedendosi oggi quel volto dov’è, mentre giù, nella sua chiesa, i clandestini ricominciano un esodo e gli uomini della legge si preparano all’ultimo, definitivo assalto.
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