giovedì, ottobre 06, 2011
“Sono innegabili i progressi realizzati nell’ambito dei diritti umani, soprattutto per le donne. Ma siamo molto preoccupati per il futuro, a causa della nuova ondata di insicurezza, del rafforzamento degli insorti e dal timore di vedere i talebani tornare forse un giorno nei corridoi del potere”.

Agenzia Misna - Sono le parole rilasciate alla MISNA Samira Hamidi, direttrice dell’Afghan women network, rete di organizzazioni femminili con sede a Kabul. Nel decimo anniversario dell’inizio dell’offensiva statunitense si tracciano i bilanci delle conquiste, delle sfide e anche delle delusioni tra il popolo dell’Afghanistan, un paese strategico nel cuore dell’Asia.“Dieci anni fa si sperava che l’intervento internazionale avrebbe cacciato definitivamente i talebani e che il paese avrebbe potuto avviarsi verso una transizione che ridesse il controllo dell’Afghanistan agli afghani: oggi ci troviamo di fronte a un fallimento di questa strategia” commenta Hamidi.

“Oggi sul terreno le cose si stanno evolvendo molto velocemente ma il governo, i nostri servizi di sicurezza, non stanno seguendo il passo. Di fatto, non siamo pronti. Tuttavia, non riteniamo che una presenza prolungata delle truppe straniere sia la soluzione ai nostri problemi. Vogliamo riprendere le cose in mano” dice l’esponente della società civile afghana. “Forse – continua – la comunità internazionale doveva ascoltare di più la voce afghana, che suggeriva di guardare oltre ai confini del nostro paese, ad esempio verso il Pakistan. Quando lo diceva la società civile afghana, nessuno ascoltava. Oggi il Pakistan è sotto i riflettori”.

L’opinione pubblica afghana è divisa sulla percezione delle truppe straniere, in particolare statunitensi. “Alcuni sottolineano come l’invasione dell’Afghanistan sia stata motivata soprattutto dagli interessi americani, per la loro sicurezza, più che per la sicurezza della popolazione afghana i cui diritti venivano violati costantemente dal regime radicale talebano. Altri invece le collegano a un miglioramento delle libertà, alla lotta contro i talebani, su cui permangono ancora molti interrogativi. Chi siano, chi li finanzIa, da dove provengono, restano delle domande alle quali il popolo afghano non ha ancora avuto risposta.

L’annuncio dell’avvio di negoziati con i talebani alcuni mesi fa non è stato accolto positivamente dalla popolazione civile afghana, che si è sentita esclusa. A sottolinearlo alla MISNA è anche la giornalista Horia Mosadiq, ricercatrice presso Amnesty International. “I negoziati con i talebani, con il sostegno della comunità internazionale, hanno suscitato molte preoccupazioni, soprattutto perché si sono svolti a porte chiuse, senza un minimo di trasparenza”. Nel fine settimana, dopo l’attentato che ha ucciso il presidente dell’Alto consiglio per la pace Burhannudin Rabbani, il presidente Hamid Karzai ha annunciato la sospensione delle trattative con i talebani.

Secondo l’esponente di Amnesty la presenza delle truppe statunitensi nel paese potrebbe evitare che il paese sprofondi in una guerra civile. Secondo lei, inoltre, non esiste un movimento globale nazionale antiamericano, nonostante denunce e critiche relative alle numerose vittime civili causate dal fuoco nemico e dal ricorso ad arresti arbitrari.

Guardando al futuro, Horia Mosadiq vuole sottolineare i progressi raggiunti nell’ultimo decennio: “Un totale di sette milioni di bambini scolarizzati, di cui 2,5 milioni di bambine. Ben 69 donne in Parlamento, ovvero il 28% dell’Assemblea, e una buona presenza di donne nell’intero processo decisionale; più donne che lavorano, un netto miglioramento della libertà d’espressione, con la nascita di numerosi canali televisivi e giornali privati”.

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