venerdì, ottobre 07, 2011
Il presidente statunitense Barack Obama torna a parlare di economia in crisi e lo fa anche puntando il dito su Europa e Cina. La prima individuata come "il maggiore ostacolo" per la già fragile crescita americana, la seconda accusata di "non fare abbastanza" sul fronte della volatilità dei cambi. Negli Stati Uniti continua la protesta degli ‘indignados’. Il servizio di Giada Aquilino: ascolta

Radio Vaticana - La marcia degli 'indignados' si allarga e, da Wall Street a New York, arriva a Washington, a due passi dalla Casa Bianca. Tutto ciò nel giorno in cui il presidente Obama scende in campo riconoscendo le ragioni della protesta: "I think it expresses the frustrations of American people...", “Penso che esprima - ha detto il presidente Obama - le frustrazioni che il popolo americano prova” e i manifestanti, ha aggiunto, “danno voce” a tale frustrazione, per una crisi economica e occupazionale frutto dello stallo finanziario: ha quindi lanciato un appello ai contestatori: ''Il nostro obiettivo è quello di avere le banche e le istituzioni finanziarie in ordine''. Obama ha poi chiesto al Congresso di approvare velocemente il piano per la crescita e l’occupazione. “E' vero - ha ammesso - la crescita dell'economia Usa è più lenta del previsto”, ma le cause vanno ricercate anche nell'incertezza provocata sui mercati mondiali dalla crisi del debito sovrano in Europa e nel “gioco molto aggressivo” di Pechino che - ha concluso - “arreca svantaggi agli altri Paesi'' sul fronte degli scambi commerciali.
E gli “Indignados” statunitensi hanno annunciato nuove manifestazioni. Dell’importanza di questo movimento, Salvatore Sabatino ha parlato con la collega Anna Maria Mori, autrice del libro “Esclusi”, dedicato alla disoccupazione in Italia: ascolta
R. - La cosa importante è il risveglio delle coscienze dal basso, perché tutta questa - vorrei dire - “porcheria” che sta andando avanti da 25, 30 anni è passata nell’inconsapevolezza, nel silenzio, forse nella non conoscenza dei meccanismi. Quindi, è importante che ci siano dei giovani che abbiano capito che il cuore del problema è lì, è la Borsa, i meccanismi della Borsa, della finanza, che stanno distruggendo il lavoro di tutto l’Occidente e che rischiano di mettere alla fame milioni di persone.
D. - Quello che impressiona di più, evidentemente, è il pragmatismo, il non voler dare una connotazione politica a questo movimento…
R. - Non c’è dubbio, perché non è più un problema politico o partitico. Il cuore del problema è l’economia e l’economia ormai è dominata dalla finanza, quindi dalla Borsa. Io ero in Francia poco tempo fa e ho seguito attentamente una trasmissione di economia, in cui si raccontava come il prezzo del grano fosse determinato dalla Borsa. Il pane che mangiamo, se aumenta di prezzo non è perché c’è stata la siccità oppure qualcosa del genere,, ma è perchè la Borsa ha deciso di puntare in un modo piuttosto che in un altro sul grano. Non si può andare avanti in questo modo.
D. - Un fenomeno, quello degli “Indignados”, che è partito, lo ricordiamo, dalla Spagna. Si possono vedere delle differenze tra i due movimenti: quello europeo e quello americano?
R. - Secondo me, c’è un sentire comune: c’è la protesta contro chi sta negando il futuro alle nuove generazioni. (ap)

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