Promossa dall'Acri, l'associazione delle Fondazioni bancarie e Casse di risparmio, anche quest'anno ha preso vita la giornata mondiale del risparmio, nel romano Palazzo della Cancelleria.
Greenreport - Arrivati all'87° edizione, la sorpresa annunciata è che il risparmio degli italiani non è più così in buona salute. Ad ufficializzarlo è direttamente Mario Draghi. Le sue parole riassumono lo stato delle cose spiegando come «dall'inizio dello scorso decennio la propensione al risparmio è scesa di circa 4 punti percentuali, attestandosi nel 2010 al 12% del reddito, un valore di quasi 2 punti inferiore al dato dell'area dell'euro. La flessione è stata più accentuata nei nuclei appartenenti alle classi meno abbienti che, a fronte della stagnazione del reddito disponibile, hanno più difficoltà a comprimere i consumi di beni e servizi essenziali. Secondo l'ultimo sondaggio sugli italiani e il risparmio promosso dall'Acri, solo il 13% delle persone intervistate spera oggi di riuscire a risparmiare di più nel prossimo anno, il valore più basso mai registrato nella rilevazione».
Con ancora freschissimo in mente il ricordo di un Tremonti che sbandiera la solidità e l'abbondanza del risparmio privato italiano, ormai non c'è più soltanto da chiedersi se ci sia o meno il desiderio di metterlo in gioco come una sorta di garanzia a fronte del buco dell'altra faccia del debito, quello pubblico, ma il quesito più pressante sembra quello relativo alla durata del countdown che ci separa dal prosciugamento del salvadanaio degli italiani, storicamente un popolo di risparmiatori.
«Gli italiani risparmiano sempre meno e la ricchezza accumulata, se non alimentata, rischia di essere intaccata in tempi brevi», continua ancora Draghi. Secondo la ricerca Acri-Ipsos, appena il 35% degli italiani si dice ancora capace di risparmiare; e se si è curiosi di sapere qual è la fetta di popolazione che può permettersi solo i risparmi più esigui (quando può), la risposta è fin troppo facile da fiutare, ed inquadra i giovani dello Stivale.
«Il peggioramento delle condizioni retributive all'ingresso nel mercato del lavoro, non compensato da una più rapida progressione salariale nel corso della carriera lavorativa, ha contribuito a contrarre la propensione al risparmio dei nuclei con capofamiglia giovane. Tra i giovani è aumentata la quota di famiglie con risparmio nullo o negativo: è salita al 32% nel 2008 tra i nuclei con capofamiglia di età inferiore a 35 anni, dal 26% nel 2000. Anche l'accresciuta instabilità dei redditi condiziona le opportunità e le scelte di risparmio dei più giovani».
Un altro punto di forza del Paese - il risparmio accumulato - che ci sta dunque letteralmente scivolando dalle mani, un euro dopo l'altro. Il vecchio vizio turbocapitalista di erodere il capitale rappresentato dalle risorse naturali, intaccando la sostenibilità della sfera economica all'interno del sistema chiuso rappresentato dall'ecosistema, si sublima in Italia anche con il raschiare progressivo del risparmio, una volta azzerato il reddito disponibile: e non per attuare investimenti volti ad uno sviluppo sostenibile, ma per il semplice tirare avanti.
All'interno di questo schema preoccupante, dove lo scontro intergenerazionale rischia di arrivare presto all'arma bianca, dei giovani dileggiati e disarmati davanti ad un futuro che appare solamente ostile vengono contrapposti ai loro padri e nonni, ai quali viene chiesto di ritrattare i diritti conquistati. Nel mentre, inutile aspettarsi l'individuazione di una via "altra" dall'Esecutivo: la letterina recapitata all'Europa, oltre a mancare di concretezza, neanche lascia molto di che sorridere.
L'innalzamento dell'età pensionabile è portata avanti senza un criterio equo e preciso, che meriterebbe invece una riflessione condivisa per essere stabilito, ma solo per arraffare fondi atti a coprire le falle nei libri contabili dello Stato. La mossa di facilitare i licenziamenti per i lavoratori assunti a tempo indeterminato, che il Governo vorrebbe far andare in porto per maggio prossimo, si commenta da sola: neanche prevede strumenti di assistenza che allevino le esigenze che uno stato di disoccupazione comporta, accelerando al contempo la ricerca di un nuovo impiego - come accade in altri Paesi europei. Così com'è stata disegnato, tale proposito non potrà altro che esacerbare quello stato di insicurezza cronica che aleggia nella nostra società come un pericoloso spettro.
In mancanza di soluzioni immediate, ed immersi in una realtà sempre più complessa, l'Italia deve riscoprire una volontà di programmazione a lungo termine, incompatibile con l'esigenze di chi siede a capo del Paese in questo momento. A corto d'idee, la voglia di tutti di rimettersi in gioco e di organizzare un percorso di sviluppo più inclusivo e condiviso rimane un elemento indispensabile per risalire la china. Con interventi sconclusionati, frammentari e sprovvisti di una visione di ampio raggio (di qualunque stampo), gli spasmi dell'Italia non potranno che favorirle la fine di chi si affanna e si agita senza scopo all'interno di una massa di sabbie mobili: quella di morire affondando.
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