Gli incidenti di sabato a Roma e la condanna del mondo politico. Il commento per Lpl dell'On. Ermete Realacci
Condanna unanime e trasversale dei politici alla guerriglia urbana che sabato, nel giorno degli "indignados" italiani, ha devastato Roma. Il commento per Lpl dell'On. Ermete Realacci (Pd).
Le domande che vengono poste dal movimento degli indignati sono di fondo giuste e legittime. Voler cambiare un sistema economico che si è dimostrato incapace di affrontare i bisogni della gran parte della popolazione, criticare lo strapotere di un sistema finanziario che ormai conta più della politica, combattere le disuguaglianze sociali che si fanno sempre più aspre e lacerano la società. Tutte queste ragioni portate in piazza dai manifestanti pacifici, a Roma sono state annullate da una rappresentanza violenta che affonda le sue radici in estremismi di varia natura. Dagli ultras, alle fronde di gruppi dell’estrema sinistra, ai back blok stranieri. E’ compito di chiunque abbia a cuore il futuro deprecare ogni forma di violenza e provare a dare risposte a chi chiede un mondo più giusto. Dobbiamo difenderci dagli effetti della crisi garantendo la tenuta dei conti pubblici e impedendo che qualcuno rimanga indietro. E questo comporta una grande attenzione alle aree deboli, ai lavoratori che perdono il posto di lavoro, al credito alle piccole e medie imprese, alle famiglie a reddito più basso. La coesione sociale, nella crisi, non è qualcosa che viene dopo ma una componente essenziale della risposta: una società strappata fa molta più fatica a rimettersi in cammino. Penso che questo si ritrovi – molto più che in qualche saggio economico – nelle belle pagine dedicate alla crisi economica dell’enciclica “Caritas in veritate”. Dove si parla di una prospettiva di un’economia più a misura d’uomo, attenta alle comunità e ai territori, e per questo più sostenibile e competitiva.
Le domande che vengono poste dal movimento degli indignati sono di fondo giuste e legittime. Voler cambiare un sistema economico che si è dimostrato incapace di affrontare i bisogni della gran parte della popolazione, criticare lo strapotere di un sistema finanziario che ormai conta più della politica, combattere le disuguaglianze sociali che si fanno sempre più aspre e lacerano la società. Tutte queste ragioni portate in piazza dai manifestanti pacifici, a Roma sono state annullate da una rappresentanza violenta che affonda le sue radici in estremismi di varia natura. Dagli ultras, alle fronde di gruppi dell’estrema sinistra, ai back blok stranieri. E’ compito di chiunque abbia a cuore il futuro deprecare ogni forma di violenza e provare a dare risposte a chi chiede un mondo più giusto. Dobbiamo difenderci dagli effetti della crisi garantendo la tenuta dei conti pubblici e impedendo che qualcuno rimanga indietro. E questo comporta una grande attenzione alle aree deboli, ai lavoratori che perdono il posto di lavoro, al credito alle piccole e medie imprese, alle famiglie a reddito più basso. La coesione sociale, nella crisi, non è qualcosa che viene dopo ma una componente essenziale della risposta: una società strappata fa molta più fatica a rimettersi in cammino. Penso che questo si ritrovi – molto più che in qualche saggio economico – nelle belle pagine dedicate alla crisi economica dell’enciclica “Caritas in veritate”. Dove si parla di una prospettiva di un’economia più a misura d’uomo, attenta alle comunità e ai territori, e per questo più sostenibile e competitiva.
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