Continua la protesta sul web contro il ddl intercettazioni, che il governo ha annunciato di portare alla Camera in settimana. E a notizie vere si alternano vere e proprie bufale, come quella relativa alla asserita approvazione del tanto criticato emendamento D’Alia sulla libertà di espressione su internet…
Torna ad essere diffuso sul web da parecchi blogger un autentico falso d’autore, che già qualche mese fa aveva suscitato polemiche e tratto in inganno persino Marco Travaglio (il quale era stato costretto, dopo aver dato la “patacca”, a rettificare e a scusarsi con i lettori). Si tratta del presunto comunicato del Coordinamento degli enti locali per la pace e i diritti umani (“presunto” perché lo stesso Coordinamento a suo tempo smentì di aver diffuso un simile comunicato) secondo il quale sarebbe stato approvato dal Senato l’emendamento al ddl sicurezza proposto dal senatore dell’ Udc Giampiero D’Alia. L’emendamento in questione attribuiva al Governo il potere di ordinare ai fornitori di connettività di rete il blocco, con appositi “strumenti di filtraggio” (da definire con successivo regolamento del Ministro dell’Interno), di quei contenuti costituenti attività di apologia di reato o istigazione a delinquere in corso di accertamento da parte dell’autorità giudiziaria. L’emendamento fu effettivamente presentato e suscitò notevoli polemiche, poiché avrebbe consentito all’esecutivo di incidere su un diritto fondamentale come la libertà di manifestazione del pensiero sulla base della presunta commissione dei reati di apologia e di istigazione a delinquere, prima che la stessa autorità giudiziaria si fosse pronunciata in via definitiva sugli stessi. Tuttavia, il contestato emendamento, contrariamente a quanto affermava il falso comunicato, non approdò mai in aula né fu tantomeno approvato da una delle Camere.
E’ singolare che adesso, per contestare il nuovo ddl sulle intercettazioni, blogger e internauti riesumino l’emendamento D’Alia, continuando a diffondere quel falso comunicato e lasciando credere che pochi giorni or sono il Senato abbia effettivamente approvato l’emendamento proposto nel febbraio del 2009 dal senatore dell’Udc, allo scopo di suscitare un moto di protesta e di indignazione presso i frequentatori del web. Altrettanto singolare è che un numero non indifferente di blog, oggi come pochi mesi fa, diffonda la (medesima) falsa notizia senza neppure sentire il bisogno di verificare le fonti. Solo superficialità o una deliberata azione di propaganda? Non lo si può dire con certezza: in ogni caso l’episodio apre inquietanti scenari, suscitando serie riflessioni sul funzionamento della comunicazione via web e sui pericoli insiti in un uso incontrollato dello strumento dell’informazione su internet.
Dobbiamo ammettere che il web ha aperto orizzonti prima sconosciuti, consentendo a molti cittadini di far sentire la loro voce e di portare le loro rivendicazioni e le loro proteste all’attenzione di un pubblico sempre più ampio e in non pochi casi all’attenzione della stessa classe politica. Insomma, si tratta sicuramente di uno strumento di grande democrazia, ma la mancanza di regole e di controlli conduce sovente ad abusi e all’evidenziarsi di fenomeni patologici, che onestà intellettuale esige siano messi nel dovuto risalto.
Un primo elemento patologico risiede, a parere di chi scrive, nel fatto che il pubblico servizio dell’informazione sul web sia assunto, in forza di una sostanziale auto-investitura, da soggetti (i blogger) spesso privi della necessaria formazione professionale e operanti per di più “in solitudine”, senza essere coadiuvati cioè da colleghi professionalmente più esperti e senza essere inseriti all’interno di redazioni di tipo giornalistico. Tutto ciò fa sì che le notizie siano diffuse senza alcuna verifica della fonte, con un sostanziale copia-incolla che porta inevitabilmente al propagarsi di informazioni false e tendenziose, come in una sorta di diabolica catena di sant’Antonio. In un simile contesto, manipolare l’informazione da parte di persone senza scrupoli, che il più delle volte rimangono nell’anonimato o utilizzano identità di facciata, diventa alquanto semplice.
E’ altresì preoccupante che il movimento dell’antipolitica, che sul web sta mettendo profonde radici, si serva di mezzucci come quello del falso comunicato sull’emendamento D’Alia per creare strumentalmente malcontento e indignazione presso la società civile. Un malcontento che talvolta assume colorazioni massimaliste e antidemocratiche. D’altronde, come la storia insegna, l’antipolitica è l’anticamera della dittatura: se, infatti, le istituzioni democratiche non sono ritenute in grado di risolvere i conflitti sociali e di perseguire l’interesse generale (in quanto accusate di fare gli interessi della “casta” al potere), allora si cercheranno inevitabilmente strumenti di legittimazione del potere alternativi rispetto al metodo democratico. Questo è più volte accaduto nel passato anche recente e non è detto che non possa accadere ancora!
La vicenda del falso sull’emendamento D’Alia mostra ancora un’ulteriore elemento di criticità, vale a dire la difficoltà che il web, da solo, incontra nel predisporre adeguati meccanismi di autocorrezione: il comunicato falsamente attribuito al Coordinamento degli enti locali per la pace e i diritti umani continua difatti ad essere diffuso a distanza di mesi, nonostante le denunce e le smentite, e continua ad esser preso seriamente e a creare confusione presso i lettori.
Tutto ciò conferma l’urgenza di un intervento legislativo organico volto a limitare simili effetti distorsivi, non essendo pensabile di applicare al web la teoria della “mano invisibile” che Adam Smith applica al mercato. Una regolazione serve, poiché il web, se lasciato a sé stesso, crea inevitabilmente delle contraddizioni. Le regole, d’altro canto, non possono essere considerate un limite alla libertà, ma piuttosto una garanzia per le libertà di tutti. E accanto alla libertà di ciascuno di esprimere il proprio pensiero, c’è anche la libertà dei cittadini di essere informati correttamente e di non veder pregiudicata la loro dignità e riservatezza. Il controverso comma 29 del ddl sulle intercettazioni, nell’estendere ai quotidiani e ai periodici on-line l’obbligo di pubblicare le rettifiche e le dichiarazioni degli interessati “entro quarantotto ore dalla richiesta” e “con le stesse caratteristiche grafiche, la stessa metodologia di accesso al sito e la stessa visibilità della notizia cui si riferiscono” (obbligo attualmente previsto dalla legge n. 47 del 1948 per la carta stampata), si muove invero nella direzione giusta, non incidendo minimamente sulla libertà di espressione sul web propriamente intesa, ma al contrario tutelando quei cittadini che dalla diffusione di notizie false, incomplete o manipolate possano sentirsi offesi nell’onore o nella reputazione. Non una norma-bavaglio (come è stata da taluno definita, specialmente dal mondo dei blogger, in una sorta di autodifesa corporativa), bensì una norma a tutela dei diritti di tutti e a garanzia della correttezza e della completezza dell’informazione. L’alternativa sarebbe, invero, quella di considerare il web come una “zona franca”, una sorta di far west in cui tutto è consentito: questa però non sarebbe libertà, ma anarchia!
Torna ad essere diffuso sul web da parecchi blogger un autentico falso d’autore, che già qualche mese fa aveva suscitato polemiche e tratto in inganno persino Marco Travaglio (il quale era stato costretto, dopo aver dato la “patacca”, a rettificare e a scusarsi con i lettori). Si tratta del presunto comunicato del Coordinamento degli enti locali per la pace e i diritti umani (“presunto” perché lo stesso Coordinamento a suo tempo smentì di aver diffuso un simile comunicato) secondo il quale sarebbe stato approvato dal Senato l’emendamento al ddl sicurezza proposto dal senatore dell’ Udc Giampiero D’Alia. L’emendamento in questione attribuiva al Governo il potere di ordinare ai fornitori di connettività di rete il blocco, con appositi “strumenti di filtraggio” (da definire con successivo regolamento del Ministro dell’Interno), di quei contenuti costituenti attività di apologia di reato o istigazione a delinquere in corso di accertamento da parte dell’autorità giudiziaria. L’emendamento fu effettivamente presentato e suscitò notevoli polemiche, poiché avrebbe consentito all’esecutivo di incidere su un diritto fondamentale come la libertà di manifestazione del pensiero sulla base della presunta commissione dei reati di apologia e di istigazione a delinquere, prima che la stessa autorità giudiziaria si fosse pronunciata in via definitiva sugli stessi. Tuttavia, il contestato emendamento, contrariamente a quanto affermava il falso comunicato, non approdò mai in aula né fu tantomeno approvato da una delle Camere.
E’ singolare che adesso, per contestare il nuovo ddl sulle intercettazioni, blogger e internauti riesumino l’emendamento D’Alia, continuando a diffondere quel falso comunicato e lasciando credere che pochi giorni or sono il Senato abbia effettivamente approvato l’emendamento proposto nel febbraio del 2009 dal senatore dell’Udc, allo scopo di suscitare un moto di protesta e di indignazione presso i frequentatori del web. Altrettanto singolare è che un numero non indifferente di blog, oggi come pochi mesi fa, diffonda la (medesima) falsa notizia senza neppure sentire il bisogno di verificare le fonti. Solo superficialità o una deliberata azione di propaganda? Non lo si può dire con certezza: in ogni caso l’episodio apre inquietanti scenari, suscitando serie riflessioni sul funzionamento della comunicazione via web e sui pericoli insiti in un uso incontrollato dello strumento dell’informazione su internet.
Dobbiamo ammettere che il web ha aperto orizzonti prima sconosciuti, consentendo a molti cittadini di far sentire la loro voce e di portare le loro rivendicazioni e le loro proteste all’attenzione di un pubblico sempre più ampio e in non pochi casi all’attenzione della stessa classe politica. Insomma, si tratta sicuramente di uno strumento di grande democrazia, ma la mancanza di regole e di controlli conduce sovente ad abusi e all’evidenziarsi di fenomeni patologici, che onestà intellettuale esige siano messi nel dovuto risalto.
Un primo elemento patologico risiede, a parere di chi scrive, nel fatto che il pubblico servizio dell’informazione sul web sia assunto, in forza di una sostanziale auto-investitura, da soggetti (i blogger) spesso privi della necessaria formazione professionale e operanti per di più “in solitudine”, senza essere coadiuvati cioè da colleghi professionalmente più esperti e senza essere inseriti all’interno di redazioni di tipo giornalistico. Tutto ciò fa sì che le notizie siano diffuse senza alcuna verifica della fonte, con un sostanziale copia-incolla che porta inevitabilmente al propagarsi di informazioni false e tendenziose, come in una sorta di diabolica catena di sant’Antonio. In un simile contesto, manipolare l’informazione da parte di persone senza scrupoli, che il più delle volte rimangono nell’anonimato o utilizzano identità di facciata, diventa alquanto semplice.
E’ altresì preoccupante che il movimento dell’antipolitica, che sul web sta mettendo profonde radici, si serva di mezzucci come quello del falso comunicato sull’emendamento D’Alia per creare strumentalmente malcontento e indignazione presso la società civile. Un malcontento che talvolta assume colorazioni massimaliste e antidemocratiche. D’altronde, come la storia insegna, l’antipolitica è l’anticamera della dittatura: se, infatti, le istituzioni democratiche non sono ritenute in grado di risolvere i conflitti sociali e di perseguire l’interesse generale (in quanto accusate di fare gli interessi della “casta” al potere), allora si cercheranno inevitabilmente strumenti di legittimazione del potere alternativi rispetto al metodo democratico. Questo è più volte accaduto nel passato anche recente e non è detto che non possa accadere ancora!
La vicenda del falso sull’emendamento D’Alia mostra ancora un’ulteriore elemento di criticità, vale a dire la difficoltà che il web, da solo, incontra nel predisporre adeguati meccanismi di autocorrezione: il comunicato falsamente attribuito al Coordinamento degli enti locali per la pace e i diritti umani continua difatti ad essere diffuso a distanza di mesi, nonostante le denunce e le smentite, e continua ad esser preso seriamente e a creare confusione presso i lettori.
Tutto ciò conferma l’urgenza di un intervento legislativo organico volto a limitare simili effetti distorsivi, non essendo pensabile di applicare al web la teoria della “mano invisibile” che Adam Smith applica al mercato. Una regolazione serve, poiché il web, se lasciato a sé stesso, crea inevitabilmente delle contraddizioni. Le regole, d’altro canto, non possono essere considerate un limite alla libertà, ma piuttosto una garanzia per le libertà di tutti. E accanto alla libertà di ciascuno di esprimere il proprio pensiero, c’è anche la libertà dei cittadini di essere informati correttamente e di non veder pregiudicata la loro dignità e riservatezza. Il controverso comma 29 del ddl sulle intercettazioni, nell’estendere ai quotidiani e ai periodici on-line l’obbligo di pubblicare le rettifiche e le dichiarazioni degli interessati “entro quarantotto ore dalla richiesta” e “con le stesse caratteristiche grafiche, la stessa metodologia di accesso al sito e la stessa visibilità della notizia cui si riferiscono” (obbligo attualmente previsto dalla legge n. 47 del 1948 per la carta stampata), si muove invero nella direzione giusta, non incidendo minimamente sulla libertà di espressione sul web propriamente intesa, ma al contrario tutelando quei cittadini che dalla diffusione di notizie false, incomplete o manipolate possano sentirsi offesi nell’onore o nella reputazione. Non una norma-bavaglio (come è stata da taluno definita, specialmente dal mondo dei blogger, in una sorta di autodifesa corporativa), bensì una norma a tutela dei diritti di tutti e a garanzia della correttezza e della completezza dell’informazione. L’alternativa sarebbe, invero, quella di considerare il web come una “zona franca”, una sorta di far west in cui tutto è consentito: questa però non sarebbe libertà, ma anarchia!
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