domenica, ottobre 02, 2011
Non solo rivendicazioni democratiche a Damasco. Per il patriarca di Antiochia dei Siri Ignace Youssif III Younan quel che è in atto in Siria «è la rivolta di una maggioranza sunnita che si sente oppressa da una minoranza alawita» ed i leader delle minoranze cristiane sono «delusi e frustrati» dalle reazioni delle cancellerie occidentali che «per opportunismo economico» tacciono con l’Arabia Saudita e «accusano di totalitarismo quello che è uno dei regimi più laici del Medio Oriente».

Terrasanta.net - Siriano di nascita, 66 anni, il patriarca, originario di Hassakeh, segue con preoccupazione gli sviluppi della rivolta: «Solo un terzo interlocutore neutrale accettato da entrambe le parti può far ripartire il dialogo fra governo e oppositori ed evitare una guerra civile» dice a Terrasanta.net.

Beatitudine, la repressione in Siria sfiora ormai quota 2.000 vittime. Ci sono ancora margini per delle riforme?
Penso che un tempo ragionevole si deve dare: tutti sono d’accordo - opposizioni e regime - sulla necessità di riforme, ma non a costo della violenza. E c’è stata violenza anche da parte dei manifestanti e non solo dell’esercito. Il problema principale di quello che sta avvenendo in Siria è che si tratta innanzitutto di una rivolta confessionale, che può sfociare in uno scontro interconfessionale come si è visto in Iraq. In Siria è in atto la rivolta di una maggioranza sunnita che si sente oppressa da una minoranza alawita: questo è il cuore del problema.

Sulla base di quali elementi la definisce una rivolta confessionale?
La gran parte dei manifestanti non chiede diritti di cittadinanza per tutti, ma i sunniti, che sono la maggioranza, in nome della democrazia stanno reclamando più diritti di quelli concessi agli alawiti. E qui sta la tragedia: nel confessionalismo, nella mancata separazione fra fede e politica, nel non riuscire a formulare delle richieste che siano valide per tutti i siriani a prescindere dalla comunità di appartenenza. Voi occidentali vi ostinate a non capire il vero problema del mondo arabo: finché i governanti, i Parlamenti non verranno obbligati a distinguere lo Stato dalla religione, non ci sarà pluralismo, democrazia vera, tutela delle minoranze in questa parte del mondo.

Sono inutili le sanzioni economiche, peraltro blande, comminate alla Siria?
Il problema è che in questa parte del mondo c’è il petrolio. E il petrolio è oro nero, in un momento nel quale l’economia globale sta andando a picco. Io credo che i Paesi arabi debbano essere aiutati a costruire dei regimi democratici basati sul rispetto dei diritti civili e sull’uguaglianza dei cittadini mediante innanzitutto la separazione tra politica e religione. Ma questo andrebbe fatto a partire dall’Arabia Saudita, vista l’enorme influenza religiosa che esercita sulla regione. Invece la grande tragedia è che chi può fare pressioni non le fa: perché chi fa affari con i sauditi non ha il coraggio di dirlo. Il risultato è che con queste sanzioni l’Occidente intende intimidire l’Iran per tenerlo sulla corda, poiché prima o poi potrebbe toccare anche a lui... Ma così facendo non otterranno che l’effetto contrario: tutto questo creerà un caos orribile che condurrà a una guerra civile che noi non vogliamo.

Perché parla di violenza da parte dei manifestanti?
Io parlo tutti i giorni con la mia gente in Siria, e una cosa è certa: molti di questi manifestanti sono gente buona e pacifica, ma ci sono anche gruppi violenti. I cittadini hanno paura. Vi siete chiesti come mai tutte le manifestazioni avvengano proprio di venerdì all’uscita delle moschee? C’è qualcosa che non va in questa tempistica. Ci sono alcuni che proclamano che a causa dei regimi totalitari non sono rimaste che le moschee dove «verità, diritti umani e giustizia sono stati risparmiati!». È evidente che c’è qualcuno che è istigato da chi predica nelle moschee. Anche i dati sulle vittime sono discordanti. Si parlava già tre mesi fa di 2.000 morti ed ora, dopo sei mesi, si stimano 1.800 morti, compresi 500 soldati uccisi.

Lei non crede a chi afferma che questi soldati sarebbero essi stessi vittime delle forze di sicurezza, giustiziati dai capi dell’esercito perché rifiutano di sparare sulla folla?
Questa è una delle versioni in circolazione: non è l’unica. I social network hanno unito le persone, ma hanno messo in circolazione anche tante notizie false, rilanciate in assenza di riscontri. Io non nego che ci sia bisogno di riforme, ma faccio presente che molta gente sta dalla parte del regime. Fino a pochi mesi fa il presidente Bashar al Assad andava da una città all’altra quasi senza scorta, di sicuro era ben accolto dalla popolazione. Ora è stato trascinato da questa rivolta ed è sottoposto a pressioni fortissime, ma non è con la violenza che si può spingere un capo di Stato a cadere ed un regime a dei cambiamenti.

Chi sta procurando le armi ai rivoltosi?
Il Medio Oriente è pieno di armi, non è certo difficile procurarsele. In Libia la rivolta non è partita prima che la lotta armata fosse stata organizzata, lo Yemen - com’è noto – è sommerso dalle armi. L’Iraq non è purtroppo diverso. Allora non c’è da stupirsi se anche in Siria si sappia come trovare armi.

Ma chi può aver interesse a rovesciare gli Assad?
Le ripeto che è in atto un conflitto confessionale. Non è un mistero quali nazioni e organizzazioni arabe appoggino i sunniti contro l’eventualità di un’egemonia sciita in alcune regioni del Medio Oriente.

Nel caso che le forze armate continuino a sparare a oltranza sui manifestanti, cosa può sbloccare questo macabro stallo?
Ritengo indispensabile l’intervento di osservatori internazionali che accompagnino il governo e i rivoltosi ad avviare una trattativa. Penso che l’unica via d’uscita possibile sia avere un terzo interlocutore neutrale accettato da entrambe le parti che collabori per arrivare a delle riforme vere, non di facciata. Come siriani e come rappresentanti della Chiesa ci sentiamo delusi e frustrati dall’Europa e dagli Stati Uniti, che anziché accompagnare il processo di democratizzazione hanno accusato di essere totalitario quello che è uno dei regimi più laici della regione, molto più dell’Egitto e certamente più dell’Arabia Saudita. Sì, è vero che in Siria c’è oppressione e ci sono stati molti morti, ma si deve anche cercare di capire quello che sta succedendo a livello regionale e come si possa arrivare a delle riforme evitando una guerra civile.

di Manuela Borraccino


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