La morte del missionario del Pime in contemporanea con l’annuncio dell’Anno della Fede, voluto da Benedetto XVI per riscoprire la fede cristiana e imparare a trasmetterla a tutto il mondo. La vita del sacerdote ucciso è segno del “bene che non fa rumore”, ma fa crescere frutti di fede e di amore. Un’alternativa ai black bloc.
Roma (AsiaNews) - Padre Fausto Tentorio è stato ucciso stamane, pochi minuti dopo aver celebrato la messa e prima di recarsi a Kidapawan (Mindano, Filippine), per incontrarsi con gli altri sacerdoti della diocesi, nella casa del vescovo. Il suo assassino, con la sicurezza di chi ha potenti protettori, si è avvicinato e gli ha sparato due colpi alla testa. Con calma si è allontanato sulla sua motocicletta, il viso protetto da un casco protettivo. La notizia della morte del missionario del Pime, arriva quasi in contemporanea con la pubblicazione della “Porta fidei”, la Lettera Apostolica di Benedetto XVI per l’indizione dell’Anno della Fede.
Nelle intenzioni del papa, questo Anno dovrebbe fare riscoprire la fede e spingere i cristiani a trasmetterla con gioia e credibilità. L’Anno della fede inizierà l’11 ottobre 2012, nel 50mo anniversario dell’apertura del Concilio Vaticano II, e terminerà nella solennità di Nostro Signore Gesù Cristo Re dell’Universo, il 24 novembre 2013.
Benedetto XVI vuole che tutti noi riscopriamo la fede secondo gli insegnamenti del Concilio e il Catechismo della Chiesa cattolica, per apprezzarne la verità, la bellezza e alimentare l’entusiasmo per trasmetterla al mondo.
Nella Lettera, parlando della “storia della fede”, si legge: “Per fede i martiri donarono la loro vita, per testimoniare la verità del Vangelo che li aveva trasformati e resi capaci di giungere fino al dono più grande dell’amore con il perdono dei propri persecutori” (n. 13).
Fa impressione constatare l’attualità di questo messaggio, proprio alla luce della morte di p. Fausto, lui che già nel 2003 era sfuggito a un agguato mortale e che però non aveva chiesto mai di essere trasferito altrove, per continuare la sua opera di evangelizzazione e sviluppo degli indigeni di Arakan Valley.
Proprio ieri, Benedetto XVI, parlando dell’indizione dell’Anno della Fede, aveva sottolineato che esso deve servire a maturare nella missione ad gentes e nella nuova evangelizzazione. E quest’oggi, il martirio di p. Tentorio, risveglia la gratitudine a Cristo per il dono che questo sacerdote ha fatto della sua vita.
“Per fede – dice ancora la “Porta fidei” - uomini e donne hanno consacrato la loro vita a Cristo, lasciando ogni cosa per vivere in semplicità evangelica l’obbedienza, la povertà e la castità, segni concreti dell’attesa del Signore che non tarda a venire. Per fede tanti cristiani hanno promosso un’azione a favore della giustizia per rendere concreta la parola del Signore, venuto ad annunciare la liberazione dall’oppressione e un anno di grazia per tutti (cfr Lc 4,18-19)” (n.13).
La vita di p. Fausto ha avuto lo stesso sapore di questo dono totale: lunghe visite pastorali in moto, in macchina o a cavallo per andare a trovare i gruppi tribali più sperduti; dormire su una stuoia per terra; mangiare le povere cose degli indigeni per edificare una Chiesa dove essere straniero o locale non crea emarginazione o differenze ingiuste; impegnarsi per l’educazione di bambini e adulti.
Due giorni fa, all’incontro sulla Nuova evangelizzazione, il papa ha ricordato che “nel mondo, anche se il male fa più rumore, continua ad esserci il terreno buono”. Questo terreno buono è quello dei martiri. Ma il martirio di p. Fausto è stato simile alla sua vita quotidiana, spesa nella diocesi di Kidapawan. E come dice il papa, il bene da lui fatto non faceva rumore: p. Tentorio era un uomo di poche parole e di lui ci rimangono pochi scritti. Ma rimane forte l’affetto che gli indigeni hanno avuto per lui, da vivo e da morto.
Giorni fa, 500 persone, i famosi black bloc, hanno messo a ferro e fuoco la città di Roma, distruggendo e incendiando. Oggi Roma e il mondo scopre che vi sono persone che per anni hanno costruito rapporti di fede e di speranza fino ai confini del mondo.
Roma (AsiaNews) - Padre Fausto Tentorio è stato ucciso stamane, pochi minuti dopo aver celebrato la messa e prima di recarsi a Kidapawan (Mindano, Filippine), per incontrarsi con gli altri sacerdoti della diocesi, nella casa del vescovo. Il suo assassino, con la sicurezza di chi ha potenti protettori, si è avvicinato e gli ha sparato due colpi alla testa. Con calma si è allontanato sulla sua motocicletta, il viso protetto da un casco protettivo. La notizia della morte del missionario del Pime, arriva quasi in contemporanea con la pubblicazione della “Porta fidei”, la Lettera Apostolica di Benedetto XVI per l’indizione dell’Anno della Fede.
Nelle intenzioni del papa, questo Anno dovrebbe fare riscoprire la fede e spingere i cristiani a trasmetterla con gioia e credibilità. L’Anno della fede inizierà l’11 ottobre 2012, nel 50mo anniversario dell’apertura del Concilio Vaticano II, e terminerà nella solennità di Nostro Signore Gesù Cristo Re dell’Universo, il 24 novembre 2013.
Benedetto XVI vuole che tutti noi riscopriamo la fede secondo gli insegnamenti del Concilio e il Catechismo della Chiesa cattolica, per apprezzarne la verità, la bellezza e alimentare l’entusiasmo per trasmetterla al mondo.
Nella Lettera, parlando della “storia della fede”, si legge: “Per fede i martiri donarono la loro vita, per testimoniare la verità del Vangelo che li aveva trasformati e resi capaci di giungere fino al dono più grande dell’amore con il perdono dei propri persecutori” (n. 13).
Fa impressione constatare l’attualità di questo messaggio, proprio alla luce della morte di p. Fausto, lui che già nel 2003 era sfuggito a un agguato mortale e che però non aveva chiesto mai di essere trasferito altrove, per continuare la sua opera di evangelizzazione e sviluppo degli indigeni di Arakan Valley.
Proprio ieri, Benedetto XVI, parlando dell’indizione dell’Anno della Fede, aveva sottolineato che esso deve servire a maturare nella missione ad gentes e nella nuova evangelizzazione. E quest’oggi, il martirio di p. Tentorio, risveglia la gratitudine a Cristo per il dono che questo sacerdote ha fatto della sua vita.
“Per fede – dice ancora la “Porta fidei” - uomini e donne hanno consacrato la loro vita a Cristo, lasciando ogni cosa per vivere in semplicità evangelica l’obbedienza, la povertà e la castità, segni concreti dell’attesa del Signore che non tarda a venire. Per fede tanti cristiani hanno promosso un’azione a favore della giustizia per rendere concreta la parola del Signore, venuto ad annunciare la liberazione dall’oppressione e un anno di grazia per tutti (cfr Lc 4,18-19)” (n.13).
La vita di p. Fausto ha avuto lo stesso sapore di questo dono totale: lunghe visite pastorali in moto, in macchina o a cavallo per andare a trovare i gruppi tribali più sperduti; dormire su una stuoia per terra; mangiare le povere cose degli indigeni per edificare una Chiesa dove essere straniero o locale non crea emarginazione o differenze ingiuste; impegnarsi per l’educazione di bambini e adulti.
Due giorni fa, all’incontro sulla Nuova evangelizzazione, il papa ha ricordato che “nel mondo, anche se il male fa più rumore, continua ad esserci il terreno buono”. Questo terreno buono è quello dei martiri. Ma il martirio di p. Fausto è stato simile alla sua vita quotidiana, spesa nella diocesi di Kidapawan. E come dice il papa, il bene da lui fatto non faceva rumore: p. Tentorio era un uomo di poche parole e di lui ci rimangono pochi scritti. Ma rimane forte l’affetto che gli indigeni hanno avuto per lui, da vivo e da morto.
Giorni fa, 500 persone, i famosi black bloc, hanno messo a ferro e fuoco la città di Roma, distruggendo e incendiando. Oggi Roma e il mondo scopre che vi sono persone che per anni hanno costruito rapporti di fede e di speranza fino ai confini del mondo.
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