Un untore si aggira in Europa: benessere mondiale in pericolo
PeaceReporter - L'Italia vista dalla Cina è irrilevante, quasi sempre, ma questa volta no. Se è vero che i grandi giochi passano di solito al di sopra del nostro Paese, come se a nord delle Alpi fluisse una corrente d'aria che mette in comunicazione Stati Uniti, Europa centro-settentrionale e Cina senza sfiorare chi sta oltre la barriera delle montagne, questa volta i danni che facciamo in casa nostra potrebbero scatenare una reazione a catena di portata globale.
A Pechino si preoccupano. Non comprano il nostro debito, perché non si fidano, ma fanno comunque incetta di bond europei, non si sa quali perché qui si entra nel segreto di Stato. Ci fossero gli Eurobond comprerebbero quelli, oggi potremmo forse azzardare che le banche cinesi stiano acquistando Bund tedeschi: per tenere in piedi Eurolandia, perché la Cina non può permettersi che crolli.
In questi giorni, il Dragone ha infatti i suoi guai. Il sistema bancario controllato dallo Stato si scopre improvvisamente inefficiente, continua a foraggiare le aziende pubbliche semi-improduttive e non concede prestiti ai piccoli imprenditori, l'autentica spina dorsale della modernità cinese.
È un meccanismo perverso. Io, banchiere di Stato, sono tenuto a concedere prestiti a te, manager di un'azienda di Stato, perché abbiamo lo stesso padrone; se poi il tuo baraccone va male, sarai tu a dover rispondere al potere politico, quindi fatti tuoi.
Se invece io, banchiere di Stato, presto soldi a te, imprenditore privato, sono io a essere responsabile di fronte al potere politico; se tu fallisci, mi chiederanno perché ti ho concesso un prestito, potrei essere accusato di corruzione e finire male.
L'enorme liquidità cinese finisce così spesso negli investimenti improduttivi e i piccoli imprenditori privati sono con l'acqua alla gola.
Il caso dello Zhejiang, dove ci si è messa anche la scelta politica di ridurre i prestiti per raffreddare l'inflazione e frenare la speculazione edilizia, è clamoroso; ma in tutta la Cina il sistema bancario funziona così.
Bisognerebbe riformarlo, si dovrebbe fare lo stesso con il sistema industriale e le imprese pubbliche; ma in tal caso i tempi sono lunghi, mentre gli imprenditori privati annaspano: la spina dorsale rischia di spezzarsi.
La via d'uscita rapida è l'export. Mentre gli ultimi dati ci dicono che perfino gli statunitensi hanno cominciato a risparmiare (quindi a comprare meno merci cinesi), il Dragone guarda con speranza all'Europa, primo partner commerciale di Pechino. Ed ecco che, al contrario di quello italiano, l'esempio tedesco appare virtuoso: nel pieno del marasma europeo, Berlino ha perfino ridotto la disoccupazione.
Da queste parti, così si dice, l'establishment guarda con preoccupazione al fatto che uno dei Paesi fondatori dell'Unione Europea sia tenuto in ostaggio da una cricca a libro paga di un presidente del consiglio ormai impresentabile. Non lo dicono, ma lo pensano. Dove finisce l'interesse nazionale, la visione di lungo periodo, si chiede il mondo politico-economico cinese, abituato a programmare sulla base di ere geologiche?
Lo sappiamo anche noi del resto, lo dice perfino il Financial Times: se il governo Berlusconi cadesse, torneremmo affidabili, lo spread si ridurrebbe e il nostro debito pubblico potrebbe di nuovo essere rimborsabile. Ossigeno.
I cinesi che contano non possono capire e temono che il virus italiano contagi l'Europa, l'economia che nel 2010 ha comprato merci e servizi del Dragone per 300 miliardi di euro (vendendogliene per 135 miliardi).
E quindi, l'Italia "irrilevante" diventa improvvisamente importante, come un untore che appesta il benessere mondiale.
PeaceReporter - L'Italia vista dalla Cina è irrilevante, quasi sempre, ma questa volta no. Se è vero che i grandi giochi passano di solito al di sopra del nostro Paese, come se a nord delle Alpi fluisse una corrente d'aria che mette in comunicazione Stati Uniti, Europa centro-settentrionale e Cina senza sfiorare chi sta oltre la barriera delle montagne, questa volta i danni che facciamo in casa nostra potrebbero scatenare una reazione a catena di portata globale.
A Pechino si preoccupano. Non comprano il nostro debito, perché non si fidano, ma fanno comunque incetta di bond europei, non si sa quali perché qui si entra nel segreto di Stato. Ci fossero gli Eurobond comprerebbero quelli, oggi potremmo forse azzardare che le banche cinesi stiano acquistando Bund tedeschi: per tenere in piedi Eurolandia, perché la Cina non può permettersi che crolli.
In questi giorni, il Dragone ha infatti i suoi guai. Il sistema bancario controllato dallo Stato si scopre improvvisamente inefficiente, continua a foraggiare le aziende pubbliche semi-improduttive e non concede prestiti ai piccoli imprenditori, l'autentica spina dorsale della modernità cinese.
È un meccanismo perverso. Io, banchiere di Stato, sono tenuto a concedere prestiti a te, manager di un'azienda di Stato, perché abbiamo lo stesso padrone; se poi il tuo baraccone va male, sarai tu a dover rispondere al potere politico, quindi fatti tuoi.
Se invece io, banchiere di Stato, presto soldi a te, imprenditore privato, sono io a essere responsabile di fronte al potere politico; se tu fallisci, mi chiederanno perché ti ho concesso un prestito, potrei essere accusato di corruzione e finire male.
L'enorme liquidità cinese finisce così spesso negli investimenti improduttivi e i piccoli imprenditori privati sono con l'acqua alla gola.
Il caso dello Zhejiang, dove ci si è messa anche la scelta politica di ridurre i prestiti per raffreddare l'inflazione e frenare la speculazione edilizia, è clamoroso; ma in tutta la Cina il sistema bancario funziona così.
Bisognerebbe riformarlo, si dovrebbe fare lo stesso con il sistema industriale e le imprese pubbliche; ma in tal caso i tempi sono lunghi, mentre gli imprenditori privati annaspano: la spina dorsale rischia di spezzarsi.
La via d'uscita rapida è l'export. Mentre gli ultimi dati ci dicono che perfino gli statunitensi hanno cominciato a risparmiare (quindi a comprare meno merci cinesi), il Dragone guarda con speranza all'Europa, primo partner commerciale di Pechino. Ed ecco che, al contrario di quello italiano, l'esempio tedesco appare virtuoso: nel pieno del marasma europeo, Berlino ha perfino ridotto la disoccupazione.
Da queste parti, così si dice, l'establishment guarda con preoccupazione al fatto che uno dei Paesi fondatori dell'Unione Europea sia tenuto in ostaggio da una cricca a libro paga di un presidente del consiglio ormai impresentabile. Non lo dicono, ma lo pensano. Dove finisce l'interesse nazionale, la visione di lungo periodo, si chiede il mondo politico-economico cinese, abituato a programmare sulla base di ere geologiche?
Lo sappiamo anche noi del resto, lo dice perfino il Financial Times: se il governo Berlusconi cadesse, torneremmo affidabili, lo spread si ridurrebbe e il nostro debito pubblico potrebbe di nuovo essere rimborsabile. Ossigeno.
I cinesi che contano non possono capire e temono che il virus italiano contagi l'Europa, l'economia che nel 2010 ha comprato merci e servizi del Dragone per 300 miliardi di euro (vendendogliene per 135 miliardi).
E quindi, l'Italia "irrilevante" diventa improvvisamente importante, come un untore che appesta il benessere mondiale.
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