In questo terribile anno giunto quasi alla fine, i morsi dolorosi della recessione mondiale in atto si sono avvertiti in tutta la loro possanza particolarmente in Grecia ed in Italia. Noi, un paese annoverato fra i più deboli e a rischio dell’eurozona, ci accorgiamo, giorno dopo giorno, settimana dopo settimana, del lento e a quanto pare irreversibile declino della nostra economia.
di Silvio Foini
In zone un tempo prosperose e opulente quali erano il varesotto e il comasco la moria continua di piccole aziende e delle partite iva sta mettendo in ginocchio il territorio. Famiglie che godevano da anni i frutti onesti del proprio lavoro e della propria imprenditorialità si trovano improvvisamente a dover tenere le mani in mano. Non arrivano più le commesse di cui si faticava a tenere il ritmo produttivo. Tutto si è malinconicamente fermato. Ogni spinta propulsiva interrotta. Persino in un settore trainante quale quello dell’edilizia il lavoro sembra svanito nel nulla. Cantieri un tempo risuonanti dell’opera umana e dei mezzi offrono di sé una spettrale immagine: recinzioni esterne chiuse con catene e lucchetti, erba cresciuta fra il cemento sparso a terra e qualche gatto che ha scelto queste vetuste rovine come solitarie dimore, gru arrugginite e betoniere inerti ormai nemmeno più in grado di funzionare. Capitali svaniti nel soffio della bufera, sogni di abitazioni mai acquistate poiché non ci sono più i soldi, finestre che guardano nel vuoto come orbite di teschi. Una desolante tristezza di abbandono e di morte.
A fare le spese di questa situazione che ormai sfiora l’incubo, l’indotto: artigiani quali vetrai, idraulici, elettricisti, marmisti, falegnami e altri che come randagi vanno cercando giornalmente qualcosa da fare. Non vogliono soccombere, con le loro indiscusse competenze alla bestia che sta divorando famelica ogni attività. Non lo credano possibile.
Frotte di extracomunitari un tempo impiegati nel settore edile vagano da un bar all’altro dei paesi in cerca di un conforto. Gli affitti cari, gli affetti lontani lasciati per una vita migliore, l’impossibilità di un lavoro qualunque, anche sottopagato, rendono cupe le loro esistenze. Che fare allora? Confidare in aiuti sempre meno disponibili? Tornare a migrare? Ma dove? L’Europa non ha più opportunità da offrire nemmeno ai propri indigeni.
Assistiamo impotenti all’indignazione che sta montando e non si sa dove ci condurrà. O la società muta o torneremo al Medioevo. La strada la intravvediamo già. Sarà sufficiente attendere ancora un poco: chi ci dovrebbe governare non sa governare nemmeno se stesso!
di Silvio Foini
In zone un tempo prosperose e opulente quali erano il varesotto e il comasco la moria continua di piccole aziende e delle partite iva sta mettendo in ginocchio il territorio. Famiglie che godevano da anni i frutti onesti del proprio lavoro e della propria imprenditorialità si trovano improvvisamente a dover tenere le mani in mano. Non arrivano più le commesse di cui si faticava a tenere il ritmo produttivo. Tutto si è malinconicamente fermato. Ogni spinta propulsiva interrotta. Persino in un settore trainante quale quello dell’edilizia il lavoro sembra svanito nel nulla. Cantieri un tempo risuonanti dell’opera umana e dei mezzi offrono di sé una spettrale immagine: recinzioni esterne chiuse con catene e lucchetti, erba cresciuta fra il cemento sparso a terra e qualche gatto che ha scelto queste vetuste rovine come solitarie dimore, gru arrugginite e betoniere inerti ormai nemmeno più in grado di funzionare. Capitali svaniti nel soffio della bufera, sogni di abitazioni mai acquistate poiché non ci sono più i soldi, finestre che guardano nel vuoto come orbite di teschi. Una desolante tristezza di abbandono e di morte.
A fare le spese di questa situazione che ormai sfiora l’incubo, l’indotto: artigiani quali vetrai, idraulici, elettricisti, marmisti, falegnami e altri che come randagi vanno cercando giornalmente qualcosa da fare. Non vogliono soccombere, con le loro indiscusse competenze alla bestia che sta divorando famelica ogni attività. Non lo credano possibile.
Frotte di extracomunitari un tempo impiegati nel settore edile vagano da un bar all’altro dei paesi in cerca di un conforto. Gli affitti cari, gli affetti lontani lasciati per una vita migliore, l’impossibilità di un lavoro qualunque, anche sottopagato, rendono cupe le loro esistenze. Che fare allora? Confidare in aiuti sempre meno disponibili? Tornare a migrare? Ma dove? L’Europa non ha più opportunità da offrire nemmeno ai propri indigeni.
Assistiamo impotenti all’indignazione che sta montando e non si sa dove ci condurrà. O la società muta o torneremo al Medioevo. La strada la intravvediamo già. Sarà sufficiente attendere ancora un poco: chi ci dovrebbe governare non sa governare nemmeno se stesso!
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