Quando ci siamo costituiti come Gruppo di San Rossore l'abbiamo fatto perché non ci sembrava fossero chiare e avvertite in tutta la loro portata le cause della crisi dei parchi. Crisi, appunto, e non semplicemente difficoltà finanziarie e congiunturali -pur evidenti- destinate a sparire o comunque a ridimensionarsi superata la fase attuale.
GreenReport - Che le cose non vadano bene è fin troppo evidente e negarlo sarebbe più che sciocco impresa impossibile anche per il più disinvolto imbonitore. Ma perché siano in crisi è tutt'altro che chiaro altrimenti -tanto per fare un esempio di cui si sta discutendo anche in questi giorni- persino una legge come quella in discussione al Senato sulla 394- non potrebbe essere considerata da taluno comunque un fatto positivo e da altri del tutto ignorata, quasi fosse normale tagliare fuori le regioni e gli enti locali dalla gestione delle politiche di tutela marino-costiere santuario dei cetacei compreso.
E non allarma e fa riflettere che persino in sedi autorevoli regionali oltre che nazionali, si consideri il finanziamento dei parchi da parte dello stato e delle regioni eticamente scorretto. E' evidentemente eticamente corretto salvare dalla bancarotta finanziaria le banche ma non i parchi. Come non lo è mettere al riparo da politiche speculative i beni comuni che non sono solo l'acqua ma molte altre cose; meglio ovviamente qualche condono.
Non siamo, in sostanza, in presenza solo di una brutta nottata che prima o poi passerà, ma di un chiaro tentativo iniziato assai prima che la crisi esplodesse in tutta la sua attuale catastroficità, perché il mercato riprendesse in mano e tornasse a condizionare anche quel che era stato ricondotto più o meno efficacemente alla responsabilità del governo delle istituzioni e della collettività. Qui sta il nodo vero della situazione che la crisi in atto evidenzia e al tempo stesso drammatizza ulteriormente.
Va detto, infatti, che se si è potuti arrivare ad una caduta culturale prima ancora che politico-istituzionale che rischia ormai di far precipitare non soltanto i parchi, è perché non si è saputo arginare negli ultimi anni lo smantellamento di alcune delle leggi e delle politiche ambientali che hanno preceduto e poi seguito la legge 394, come quella sul suolo, sulle acque e così via. E anche quando non sono state più o meno seriamente manomesse, alcune delle leggi più importanti, a questo smantellamento hanno provveduto politiche che di quelle leggi si sono chiaramente infischiate -394 inclusa- a cominciare dai condoni e i vari piani casa.
Ma soprattutto è venuta meno nella maggior parte dei casi una qualsiasi politica nazionale dello stato, titolare esclusivo delle competenze in campo ambientale, che però dovrebbero essere messe a punto e gestite in leale collaborazione con le regioni che si tratti del paesaggio, del suolo, della natura e di tutti gli altri beni comuni. Ciò non è avvenuto al punto che come è stato detto in sedi autorevoli, non si è registrato mai come oggi un centralismo così invasivo e per molti versi paralizzante. Organi come la protezione civile, ad esempio, hanno assunto ruoli di una ‘agenzia dittatoriale pro tempore'. (C.Donolo). Sono di fatto sparite di scena così le autorità di bacino, e gli interventi anziché preventivi sono divenuti successivi alle molte tragedie dai terremoti alle alluvioni.
Una serie di sentenze della Corte anche recenti hanno ribadito -come sappiamo-questa competenza esclusiva della stato sulle regioni a cui è riservata tuttavia quella sussidiarietà che in carenza di riferimenti quadro sono condannate alla marginalità a cui più d'una si è peraltro anche colpevolmente rassegnata.
E se negli anni immediatamente successivi alla istituzione delle regioni, risultava comunque sufficientemente chiara la mappa dei poteri e dei soggetti istituzionali con le regioni, le province e i comuni e poi i bacini e i parchi, da qualche anno ormai anche questo assetto è divenuto precario e traballante. Si è cominciato a sbaraccare i consigli di quartiere e poi con le comunità montane, ele solite polemiche sui piccoli comuni e ora le province che dovrebbero essere abrogate e poste così in lista di attesa. E' naturale che queste sortite improvvisate e spesso cervellotiche mai riconducibili ad un contesto che dovrebbe configurare quel federalismo sempre più somigliante ad un disegno volto unicamente a scaricare su regioni ed enti locali i costi della crisi e non a dare finalmente attuazione a quel titolo V rimasto lettera morta da un decennio.
In questo confuso scenario che favorisce posizioni e reazioni anche discutibili perché volte prevalentemente a giustificare il proprio ruolo o sopravvivenza, a farne le spese sono stati anche quei soggetti istituzionali non elettivi -ma non settoriali e aziendali- con compiti estremamente importanti di governo del territorio quali appunto i bacini e soprattutto i parchi, di cui c'è chi pensa vadano addirittura sciolti e in ogni caso ridimensionati nei loro compiti perché appunto non elettivi. Da qui sono venute spinte e sollecitazioni, anche in realtà dove i parchi sono cresciuti e consolidati, che finiscono per mettere sullo stesso piano e confusamente esigenze di semplificazione e riorganizzazione per ridurre anche i costi di gestione di attività regionali delegate e la gestione di attività non settoriali e non delegabili a chicchessia come i parchi perché si tratta di compiti non delegati e quindi propri ed esclusivi. Non si possono confondere i parchi come del resto i bacini con gli ATO, i consorzi di bonifica e così via.
Se per questi vale la ricerca di dimensioni gestionali varie e diverse a costi inferiori, per i parchi la dimensione è data specificamente dalle leggi istitutive e gestioni più sobrie vanno ricercate non in ipotesi aziendalistiche del tipo di quella assurda a cui talora qualcuno ha fatto cenno anche in Toscana di gestire con una sorta di azienda regionale i tre parchi regionali toscani o sottrarre ad essi aspetti specifici come le attività agricole per ricondurle a gestioni regionali separate. Sono tutti segni di confusione che hanno finora pesato negativamente sulle politiche regionali non soltanto delle aree protette perché concorrono a intorbidare le acque.
Quando il presidente della provincia di Roma Zingaretti ricorda che a certe riunioni su una ventina di persone soltanto tre o quattro di quelle che siedono al tavolo sono rappresentanti elettivi, coglie sicuramente un aspetto reale che richiede -e non soltanto per ragioni di bilancio- dei correttivi. Ma se a quel tavolo siedono i rappresentanti dei parchi della provincia di Roma, il piano provinciale di coordinamento della provincia non potrà che avvantaggiarsene. Vale anche per gli altri livelli istituzionali ma non altrettanto naturalmente se quei parchi sono commissariati come avviene sempre più spesso e non certo per ragioni di bilancio o di efficienza, ma solo per bassa cucina politica.
Se dunque oggi il panorama istituzionale appare molto affollato a maggior ragione dobbiamo stare attenti a prendere fischi per fiaschi e mettere cose e soggetti diversi nello stesso sacco. Rischio che corrono oggi in particolare i parchi e dappertutto. E sarebbe davvero in questo caso anche eticamente scorretto oltre che profondamente sbagliato non capire che il ruolo dei parchi come più in generale l'ambiente e i beni comuni non possono essere ridotti a mere operazioni di ragioneria.
Se davvero si vuole avviare quella gestione delle politiche ambientali di cui parla anche il titolo V ma a cui non pensano né il governo nè troppi altri, i parchi non solo servono ma vanno rilanciati e rafforzati senza ingombranti e paralizzanti commissari e manfrine politiche che li discreditano.
Le leggi ambientaliste più importanti e tra queste la 394 in particolare, sono e furono il risultato di un incontro tra istituzioni, associazioni ambientaliste e mondo dei saperi. O si ritorna a questa convergenza e intesa o non si andrà da nessuna parte. Anzi, si andrà sicuramente alla deriva.
Di questi temi torneremo a discutere come abbiamo cominciato a fare con il libro ‘ Per il rilancio dei parchi' il 7 novembre a Pisa in un incontro nazionale che sarà introdotto da Carlo Desideri. Li discuteremo di come uscire dalla attuale fase di crisi mettendo a punto anche impegni e iniziative rivolte innanzitutto -ma non solo- alle istituzioni. Sarà questo anche un modo di ricordare i 20 anni della legge quadro.
* gruppo san Rossore
GreenReport - Che le cose non vadano bene è fin troppo evidente e negarlo sarebbe più che sciocco impresa impossibile anche per il più disinvolto imbonitore. Ma perché siano in crisi è tutt'altro che chiaro altrimenti -tanto per fare un esempio di cui si sta discutendo anche in questi giorni- persino una legge come quella in discussione al Senato sulla 394- non potrebbe essere considerata da taluno comunque un fatto positivo e da altri del tutto ignorata, quasi fosse normale tagliare fuori le regioni e gli enti locali dalla gestione delle politiche di tutela marino-costiere santuario dei cetacei compreso.
E non allarma e fa riflettere che persino in sedi autorevoli regionali oltre che nazionali, si consideri il finanziamento dei parchi da parte dello stato e delle regioni eticamente scorretto. E' evidentemente eticamente corretto salvare dalla bancarotta finanziaria le banche ma non i parchi. Come non lo è mettere al riparo da politiche speculative i beni comuni che non sono solo l'acqua ma molte altre cose; meglio ovviamente qualche condono.
Non siamo, in sostanza, in presenza solo di una brutta nottata che prima o poi passerà, ma di un chiaro tentativo iniziato assai prima che la crisi esplodesse in tutta la sua attuale catastroficità, perché il mercato riprendesse in mano e tornasse a condizionare anche quel che era stato ricondotto più o meno efficacemente alla responsabilità del governo delle istituzioni e della collettività. Qui sta il nodo vero della situazione che la crisi in atto evidenzia e al tempo stesso drammatizza ulteriormente.
Va detto, infatti, che se si è potuti arrivare ad una caduta culturale prima ancora che politico-istituzionale che rischia ormai di far precipitare non soltanto i parchi, è perché non si è saputo arginare negli ultimi anni lo smantellamento di alcune delle leggi e delle politiche ambientali che hanno preceduto e poi seguito la legge 394, come quella sul suolo, sulle acque e così via. E anche quando non sono state più o meno seriamente manomesse, alcune delle leggi più importanti, a questo smantellamento hanno provveduto politiche che di quelle leggi si sono chiaramente infischiate -394 inclusa- a cominciare dai condoni e i vari piani casa.
Ma soprattutto è venuta meno nella maggior parte dei casi una qualsiasi politica nazionale dello stato, titolare esclusivo delle competenze in campo ambientale, che però dovrebbero essere messe a punto e gestite in leale collaborazione con le regioni che si tratti del paesaggio, del suolo, della natura e di tutti gli altri beni comuni. Ciò non è avvenuto al punto che come è stato detto in sedi autorevoli, non si è registrato mai come oggi un centralismo così invasivo e per molti versi paralizzante. Organi come la protezione civile, ad esempio, hanno assunto ruoli di una ‘agenzia dittatoriale pro tempore'. (C.Donolo). Sono di fatto sparite di scena così le autorità di bacino, e gli interventi anziché preventivi sono divenuti successivi alle molte tragedie dai terremoti alle alluvioni.
Una serie di sentenze della Corte anche recenti hanno ribadito -come sappiamo-questa competenza esclusiva della stato sulle regioni a cui è riservata tuttavia quella sussidiarietà che in carenza di riferimenti quadro sono condannate alla marginalità a cui più d'una si è peraltro anche colpevolmente rassegnata.
E se negli anni immediatamente successivi alla istituzione delle regioni, risultava comunque sufficientemente chiara la mappa dei poteri e dei soggetti istituzionali con le regioni, le province e i comuni e poi i bacini e i parchi, da qualche anno ormai anche questo assetto è divenuto precario e traballante. Si è cominciato a sbaraccare i consigli di quartiere e poi con le comunità montane, ele solite polemiche sui piccoli comuni e ora le province che dovrebbero essere abrogate e poste così in lista di attesa. E' naturale che queste sortite improvvisate e spesso cervellotiche mai riconducibili ad un contesto che dovrebbe configurare quel federalismo sempre più somigliante ad un disegno volto unicamente a scaricare su regioni ed enti locali i costi della crisi e non a dare finalmente attuazione a quel titolo V rimasto lettera morta da un decennio.
In questo confuso scenario che favorisce posizioni e reazioni anche discutibili perché volte prevalentemente a giustificare il proprio ruolo o sopravvivenza, a farne le spese sono stati anche quei soggetti istituzionali non elettivi -ma non settoriali e aziendali- con compiti estremamente importanti di governo del territorio quali appunto i bacini e soprattutto i parchi, di cui c'è chi pensa vadano addirittura sciolti e in ogni caso ridimensionati nei loro compiti perché appunto non elettivi. Da qui sono venute spinte e sollecitazioni, anche in realtà dove i parchi sono cresciuti e consolidati, che finiscono per mettere sullo stesso piano e confusamente esigenze di semplificazione e riorganizzazione per ridurre anche i costi di gestione di attività regionali delegate e la gestione di attività non settoriali e non delegabili a chicchessia come i parchi perché si tratta di compiti non delegati e quindi propri ed esclusivi. Non si possono confondere i parchi come del resto i bacini con gli ATO, i consorzi di bonifica e così via.
Se per questi vale la ricerca di dimensioni gestionali varie e diverse a costi inferiori, per i parchi la dimensione è data specificamente dalle leggi istitutive e gestioni più sobrie vanno ricercate non in ipotesi aziendalistiche del tipo di quella assurda a cui talora qualcuno ha fatto cenno anche in Toscana di gestire con una sorta di azienda regionale i tre parchi regionali toscani o sottrarre ad essi aspetti specifici come le attività agricole per ricondurle a gestioni regionali separate. Sono tutti segni di confusione che hanno finora pesato negativamente sulle politiche regionali non soltanto delle aree protette perché concorrono a intorbidare le acque.
Quando il presidente della provincia di Roma Zingaretti ricorda che a certe riunioni su una ventina di persone soltanto tre o quattro di quelle che siedono al tavolo sono rappresentanti elettivi, coglie sicuramente un aspetto reale che richiede -e non soltanto per ragioni di bilancio- dei correttivi. Ma se a quel tavolo siedono i rappresentanti dei parchi della provincia di Roma, il piano provinciale di coordinamento della provincia non potrà che avvantaggiarsene. Vale anche per gli altri livelli istituzionali ma non altrettanto naturalmente se quei parchi sono commissariati come avviene sempre più spesso e non certo per ragioni di bilancio o di efficienza, ma solo per bassa cucina politica.
Se dunque oggi il panorama istituzionale appare molto affollato a maggior ragione dobbiamo stare attenti a prendere fischi per fiaschi e mettere cose e soggetti diversi nello stesso sacco. Rischio che corrono oggi in particolare i parchi e dappertutto. E sarebbe davvero in questo caso anche eticamente scorretto oltre che profondamente sbagliato non capire che il ruolo dei parchi come più in generale l'ambiente e i beni comuni non possono essere ridotti a mere operazioni di ragioneria.
Se davvero si vuole avviare quella gestione delle politiche ambientali di cui parla anche il titolo V ma a cui non pensano né il governo nè troppi altri, i parchi non solo servono ma vanno rilanciati e rafforzati senza ingombranti e paralizzanti commissari e manfrine politiche che li discreditano.
Le leggi ambientaliste più importanti e tra queste la 394 in particolare, sono e furono il risultato di un incontro tra istituzioni, associazioni ambientaliste e mondo dei saperi. O si ritorna a questa convergenza e intesa o non si andrà da nessuna parte. Anzi, si andrà sicuramente alla deriva.
Di questi temi torneremo a discutere come abbiamo cominciato a fare con il libro ‘ Per il rilancio dei parchi' il 7 novembre a Pisa in un incontro nazionale che sarà introdotto da Carlo Desideri. Li discuteremo di come uscire dalla attuale fase di crisi mettendo a punto anche impegni e iniziative rivolte innanzitutto -ma non solo- alle istituzioni. Sarà questo anche un modo di ricordare i 20 anni della legge quadro.
* gruppo san Rossore
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