lunedì, ottobre 24, 2011
Raccontare la vita che si conduce all’interno di un monastero di clausura è sempre un’avventura emozionante: si toccano dimensioni abissali completamente sconosciute a chi vive nel frastuono delle nostre città frenetiche.

di Carlo Mafera

Luigi Accattoli, uno dei più grandi giornalisti cattolici contemporanei, ha tentato di strappare qualche momento e qualche considerazione al priore della Certosa di Serra san Bruno in occasione della visita di Papa Benedetto XVI. Da tale incontro è nato questo libretto, edito da Rubbettino, che alterna pensieri, emozioni e atmosfere mistiche. Ecco come esordisce: “Ho ascoltato parole insolite e coraggiose. Ho compreso che il padre Jacques è un cristiano pensante di rara tempra e fegato in questi tempi sfiduciati. Egli procede per antinomie: «Il cristianesimo è pieno di paradossi. Dio che castiga e perdona, Cristo che è Dio e uomo, la Chiesa che è peccatrice e santa. Io mi diverto quando incontro questi paradossi e trovo che il Signore ha avuto un’immaginazione incredibile a crearli e a ispirarne la percezione. Credo l’abbia fatto per avviarci a comprendere l’ampiezza della Verità». I suoi paradossi ampliavano il mio campo visivo mentre l’ascoltavo”.

Veramente interessante l’esperienza di Luigi Accattoli alle prese con la vita vissuta in monastero per tre giorni. La riporto con grande piacere per i lettori: “Un giornalista non può che muoversi a tentoni nella conoscenza della certosa. Mi ha fatto luce – come lanterna nella notte – il canto sobrio e ininterrotto dei suoi abitatori, quando si riuniscono in chiesa per il Mattutino, per la Messa conventuale e per il Vespro. Il Mattutino dura dalle due alle tre ore e inizia alle 00.30, cioè mezz’ora dopo la mezzanotte. Nelle certose per antica consuetudine si dorme una prima parte della notte poi ci si alza, si canta a Cristo per due o tre ore e si torna a dormire fino al mattino. Nei tre giorni in cui sono stato ospite della certosa ho visto e accompagnato la comunità nella sua liturgia, ho mangiato come loro da solo nella stanza della “foresteria interna” che mi era stata assegnata, prendendo i cibi dal “portapranzo” che un fratello converso – e cioè non sacerdote – posava alla giusta ora davanti alla porta. Ho intuito che anche quel mangiare cibi poveri ma buoni, in quella semplicità di gesti e in quel raccoglimento, faceva parte della lode al Signore. Dal portapranzo - che è una cassetta di legno con un’apertura scorrevole in verticale sul davanti - si cavano le pietanze contenute in gavette sovrapposte e combacianti, così disposte in modo da conservare ai cibi cucinati il giusto calore. In onore all’ospite mi era stata fornita una bottiglia di buon vino ma anche il mio pasto doveva restare solitario come quello dei monaci che, quotidianamente, mangiano da soli, ognuno nella propria cella. Come loro lavavo le posate nel lavandino”.

Un altro aspetto, che il grande giornalista vaticanista ha colto nell’intervista fatta a Padre Jacques Dupont è la grande accoglienza e la misericordia di Dio nei nostri confronti, imparagonabile con le nostre sedute psicanalitiche, e soprattutto la bellezza dell’incontro notturno con Lui, preferibilmente alla luce di una candela. Ecco cosa dice: “Ho interrogato il priore – esperto del Grande Silenzio (così suonava il titolo del film di Philip Gröning girato alla Grande Chartreuse, 2005) – sul silenzio di Dio: dovremmo rispondere a esso – mi ha detto – «buttandoci» senza calcoli nel Signore. Le righe più vive del volumetto sono quelle che trattano dell’accoglienza «senza giudizio» che sempre in lui possiamo incontrare: “L’uomo facilmente dimentica questo ‘tu’ accogliente e cerca nella seduta psicoanalitica un ascolto senza giudizio. Purtroppo non sa più – forse gli hanno fatto dimenticare – che nel Signore può sempre trovare quell’accoglienza senza giudizio. Questo desiderio di essere ascoltati senza essere giudicati l’avverto spesso nei giovani che arrivano qui. E hanno ragione, hanno proprio ragione! Il Dio cristiano non è un Dio di giudizio e di condanna, mi sento di poterlo dire con sicurezza e non perché così è detto nella dottrina, ma per la mia esperienza personale” (p. 60).

Gli ho pure chiesto se vi sia un vantaggio a pregare nella notte. La vita certosina è in parte organizzata sul presupposto di quel vantaggio. Il canto nel silenzio, la luce nella notte. La piccola luce di chi – e io con loro, per una volta – percorre i corridoi e il chiostro schiarendo il cammino con una torcia e poi accende un cero nella chiesa, o una minima luce tra i braccioli dello scranno, che rischiara la pagina del Salterio. O mira in lontananza la lampada del tabernacolo. I monaci di tutti i tempi hanno cercato il silenzio e la preghiera notturna. Ma che avventura è quella di condurre oggi una ricerca così lontana dallo spirito dell’epoca? Luigi Accattoli prosegue con la risposta del Priore Jacques Dupont: “La notte … è la placenta del contemplativo: «Mentre il prete ha un ministero diurno che lo porta a mostrarsi e a parlare, all’incontro con la gente; il monaco ha un ministero notturno che lo conduce a nascondersi e a tacere. Il suo ministero si compie nell’ombra e nel segreto. Egli è come una falda d’acqua sotterranea. Silenzio, deserto e notte. Ma la notte prepara il giorno. Il nostro è un ministero di gestazione” (p. 29).

Infine, un aspetto paradossale per un monaco: il suo essere esperto in ateismo. Perché? Ecco la ragione. “Il contemplativo conosce l’angoscia della notte oscura, sperimentata anche da Cristo sulla croce. Ma anche al di fuori di quella tragica esperienza, è ben chiaro che il Dio della Bibbia si è rivelato a noi come ‘sconosciuto’ e inaccessibile in questa vita (Es 33,20). Ed ecco che anche noi monaci cerchiamo Dio ma non lo troviamo mai, nel senso che non arriviamo mai a possederlo, perché egli è sempre ‘oltre’. Dunque per la sua familiarità con un Dio che è assente, il contemplativo è forse maggiormente in grado di comprendere l’atteggiamento di coloro che sono lontani dal mistero divino” (p. 37).

Da questa intervista nasce spontanea una considerazione finale: l’importanza dell’esperienza mistica nell’economia della salvezza e nel cammino della Chiesa per far raggiungere a tutti questa meta agognata. Solo nell’esperienza mistica e nella vera preghiera e nell’incontro con Dio si può realizzare concretamente la Chiesa, cioè l’Ecclesia (la comunità).
Per me sono importanti tre aspetti, a proposito della Chiesa odierna. Prima di tutto, la Chiesa dovrebbe diventare un luogo che comunica agli uomini un'esperienza spirituale: è l'immagine della Chiesa mistica. Senza questa esperienza non si può passare alle fasi successive. E’ come il “la” che il direttore dà alla sua orchestra. Poi , dovrebbe cercare lo spazio per trovare un tipo nuovo di comunità, cioè lo spazio per la comprensione tra gli uomini. Oggi sono in molti a sentirsi soli e sperduti nella massa anonima. Questi dovrebbero trovare nella Chiesa la propria casa. Infine, la Chiesa dovrebbe offrire la cultura esistenziale cristiana e un avviamento a una vita sana, il che comprende ovviamente anche sane abitudini di vita.

È presente 1 commento

Anonimo ha detto...

A molte persone consiglierei un soggiorno di questo tipo presso un qualunque monastero.
Lì e non altrove, in luoghi lontani o simili, è possibile ritrovare se stessi e le proprie radici che hanno fatto di ognuno quello che poi è diventato. Dialogando con se stesso e non con altri che non potrebbero capire.

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