La “contaminazione” positiva della sabbia dell’antimafia portata dal vento di scirocco
Liberainformazione - Da queste parti sono gesti normali. Vedere un gruppo di lavoratori che raccolgono le olive è la normalità in un dei territori dove la coltivazione prevalente è quella delle olive. Qui si produce la famosa “nocellara del Belice” un'oliva parecchio rinomata. Oliva da mensa ma anche in grado di produrre un olio raffinato per ogni genere di mensa. Un olio che è arrivato finanche sulla tavola della Casa Bianca a Washington.
Ma venerdì scorso vedere questa scena, la raccolta di olive in un terreno nelle campagne di Castelvetrano, in contrada Seggio, ha assunto un carattere di grande straordinarietà. Quegli operai che indossavano il giubbotto con scritto il nome della cooperativa Placido Rizzotto di Corleone con la loro presenza segnavano intanto la prima straordinarietà, l’altra era poi quella di trovarsi a lavorare in un terreno appartenuto ad uno degli imprenditori, Sanzone di Palermo, che facevano da corollario alla famiglia dei capi mafia Messina Denaro, Francesco, morto nel 1998, e Matteo, oggi cinquantenne, latitante dal 1993. L’uliveto è confiscato, per adesso lo gestisce l’associazione Libera, la mafia aveva fatto passare voce che quel terreno una volta confiscato sarebbe rimasto non produttivo non avrebbe garantito più occupazione ed invece le cose non stanno andando come Cosa nostra voleva: qui si raccolgono, per il secondo anno consecutivo, le olive, qui presto altri lavoratori verranno a lavorare.
Con gli operai c’è un gruppo di studenti. Sono venuti a parlare con loro, dialogano con Davide Pati che per conto di Libera nazionale si occupa di beni confiscati, c’è anche il vescovo di Mazara Domenico Mogavero, al collo porta una croce che è in perfetta sintonia con l’evento, è una croce dove ad intrecciarsi sono rami di ulivo, sono riprodotti anche i frutti di quell’albero, una realizzazione perfetta. Poco dopo gli stessi studenti assieme a tanti altri presso l’aula magna della scuola “Ruggero Settimo”, a Castelvetrano, incontreranno e discuteranno ancora con il vescovo Mogavero, col prefetto Marilisa Magna, col magistrato Dino Petralia, in un confronto moderato dall’inviato de “L’Avenire” Toni Mira.
E’ stata una giornata davvero particolare. Perché a fare terra bruciata attorno al boss latitante Matteo Messina Denaro non è più solo la magistratura. C’è una coscienza civile che va crescendo. Non sono grandi passi in avanti, ma ci sono questi passi. Li stanno facendo gli studenti di Castelvetrano, magari non sono adeguatamente aiutati dagli adulti, dalla politica, dalle istituzioni locali, dove c’è chi ha consapevolezza dell’impegno, ma ancora dove tanti pensano che l’antimafia sia una passerella, e poi le cose finiscono con l’andare alla solita maniera. Ma il vento di scirocco che da queste parti quando soffia, soffia in modo intenso, e porta quella “sabbia” del deserto che contamina, lascia il suo segno, adesso quando soffia da queste parti il vento del sud porta altre particelle di “sabbia”, quelle dell’antimafia, l’antimafia dell’impegno, non si può più far finta di non vedere. Venerdì in quella sala della scuola Ruggero Settimo ad un tiro di schioppo dalla palazzina rimessa a nuova dove abitano due delle sorelle del boss latitante Messina Denaro, si è stato tutti contaminati dalla voglia di fare, dal desiderio di sapere di quegli studenti. Il magistrato Dino Petralia, pm alla procura di Marsala, che proprio 24 ore prima ha firmato un provvedimento che prima non c’era e cioè l’ordine di carcerazione per il boss latitante Matteo Messina Denaro, provvedimento che ha raccolto in un solo foglio le condanne definitive a 5 ergastoli, centinaia di anni di carcere, ha scoperto che la magistratura non è più proprio sola, quantomeno dalla sua parte ha i giovani. Grande la capacità dell’associazione Libera che li ha saputi coinvolgere, con un lavoro che a Castelvetrano è stato condotto senza tanti riflettori attorno, senza palcoscenici, ma iniziative precise, mirate. All’inizio erano pochi i ragazzi a partecipare, poi il numero è cresciuto. Non sono tutti di quelli che siedono nelle istituzioni a partecipare, ma il tempo è segnato, giocoforza non potrà durare molto la finta di essere partecipi e presenti, bisognerà presto anche per loro andare oltre le apparenze e dire da che parte vogliono stare, e però i giovani sempre di più cominciano a dire che per stare nelle istituzioni non bisogna mai prestare il fianco alla mafia, direttamente o indirettamente.
Castelvetrano non è la città di Matteo Messina Denaro, è la città dei tantissimi cittadini castelvetranesi onesti che vogliono vivere in libertà, protagonisti di una vera democrazia, senza condizionamenti e inquinamenti. Castelvetrano è la città dove verrà catturato semmai Matteo Messina Denaro che ci si immagina non uscirà in manette da grotte o dalle fogne, ma da qualche palazzo elegante, perché la sua cerchia di protezione, non è più un segreto, è fatta di soggetti che sono professionisti, colletti bianchi. Ma i ragazzi oramai sanno che il boss non può essere più “la testa dell’acqua”, il punto da dove ogni cosa ha inizio, né può essere “adorato”, Matteo Messina Denaro sanno i ragazzi che non è una persona importante, ma è solo un feroce criminale ed assassino.
Ecco Castelvetrano va cambiando in questo modo col vento di scirocco che soffia una sabbia nuova, diversa da quella di una volta, che contamina sempre, ma adesso all’inverso, non sporca, ma porta un nuovo impegno.
Sono disgustati i giovani quando apprendono che una volta davanti ai morti ammazzati si negava l’esistenza della mafia, sono disgustati i ragazzi quando oggi apprendono che per comodo c’è chi tra i politici va dicendo che la mafia è sconfitta. Dimostrano gli studenti di Castelvetrano di sapere bene che la mafia oggi è altra cosa, gestisce l’economia, e in tempi di crisi, la mafia che ha più capitali cerca di diventare una rinnovata “sirena”. Ecco come le domande poste al prefetto, al vescovo Mogavero, al pm Petralia, non sono solo domande che vogliono risposte, ma sono domande che celano precise certezze conoscitive e servono a capire fino a che punto le istituzioni civili e religiose sono oggi preparate ad affrontare la “nuova mafia”.
«Non può esistere – risponde il pm Petralia – un concetto di legalità che venga applicato solo quando si parla di mafia. La legalità deve essere semmai concetto diffuso, concetto omnibus, poi ci sono posti in cui la legalità va insegnata con più forza e questo certamente è successo a Castelvetrano dove i doveri di legalità appartengono ai genitori quanto agli insegnanti, insegnamento che deve diventare simbolo concreto di impegno. Questa non è la città di Matteo Messina Denaro, questa è una città che ha dato natali illustri a fior di magistrati, accademici, qui si sono formate e si formano menti eccelse, qui è patria di menti superiori volte al bene e volte al male. Oggi – conclude l’ex componente del Csm – la legalità deve essere verificata avendo dinanzi un nuovo obiettivo, vanno riscossi i frutti di questo insegnamento, come oggi nel terreno confiscato sono stati raccolti i frutti di un nuovo lavoro».
Giornata importante quella di venerdì perché è stata in quell’aula della scuola “Ruggero Settimo” la giornata che ha recato con se l’annuncio che presto nasceranno le cooperative trapanesi di Libera Terra così come sono cresciute in altre terre di Sicilia e d’Italia, nei fondi confiscati. «Qui nasceranno le cooperative sulle terre che furono calpestate da Rita Atria – ricorda Davide Pati – la giovane che volle consegnare a Paolo Borsellino le sue conoscenze apprese nella casa del genitore che era mafioso del paese, le terre confiscate verranno chiamate le terre di Rita Atria». Il prefetto Marilisa Magno sta accompagnando questo momento di nascita delle cooperative, assieme al prefetto Giuseppe Caruso che guida l’agenzia nazionale dei beni confiscati. «L’attacco ai patrimoni – spiega il prefetto ai ragazzi – resta e non potrebbe essere altrimenti obiettivo fondamentale dello Stato, colpire i patrimoni significa colpire interessi della criminalità organizzata, la mafia continua ad insinuarsi in tutti i settori della società, apparentemente c’è una pace sociale ma c’è ancora la mafia che è capace di impedire la crescita del bene pubblico,e quindi è grande l’impegno dello Stato che si attrezza affidando alle cooperative la gestione dei beni confiscati per favorire lo sviluppo occupazionale». «I beni confiscati diventano Cosa Nostra – ha aggiunto il prefetto – beni che sono Cosa Nostra perché sono di noi tutti, e questo è l’unico caso in cui Cosa Nostra va scritta a caratteri maiuscoli».
«La legalità ci appartiene la legalità fa vivere» afferma il vescovo Domenico Mogavero che a Castelvetrano è venuto a ricordare l’impegno per una società migliore e senza la mafia fatto da don Pino Puglisi che pagò il presso di questo suo lavoro con la vita, «un lavoro fatto con un valore aggiunto che era quello di portare in mano il Vangelo».
«Le voci isolate rimarranno tali nella lotta alla mafia, quello che serve, invece, è un impegno corale di tutti, al di la delle parole, con la concretezza delle azioni e dei fatti» ha proseguito Mogavero. «I messaggi concreti arrivano proprio da azioni come queste in questa terra che oggi torna alla società civile si raccolgono i frutti profumati di legalità, con un impegno sia del mondo civile che di quello ecclesiastico. E questa è la migliore risposta nei confronti di chi, nei giorni addietro, ha gettato discredito nei confronti di associazioni ecclesiastiche che avrebbero avuto affidamenti di comodo, che accumulano senza alcuni esito produttivo».
Il riferimento è al sindaco di Salemi Vittorio Sgarbi che ha capovolto a suo favore la decisione dell’agenzia nazionale dei beni confiscati che gli ha sottratto l’assegnazione di un fondo di 70 ettari confiscato al boss mafioso narcotrafficante Salvatore Miceli dopo che per anni il Comune di Salemi non è riuscito, o non è voluto riuscire, nell’affidamento in gestione del terreno. Anzi c’è una intercettazione in cui Sgarbi rispondendo al volere del burattinaio di Salemi, l’ex deputato Pino Giammarinaro, afferma che il terreno “a quelli di Don Ciotti non deve andare”, quando c’era Libera assieme a Slow Food che erano disponibili ad assumerlo in gestione. Oggi che l’agenzia nazionale ha revocato l’assegnazione, Sgarbi si è permesso di dire che quel terreno può essere assegnato a tutti ma non agli enti ecclesiastici che a suo dire hanno saputo sfruttare e basta.
«Non ci sono persone inattaccabili, tutti siamo esposti – risponde Mogavero ad un altro studente -. È la forza morale di ognuno di noi, poi, che ci consente di scegliere tra il bene e il male. La legalità, certamente, fa vivere». E a proposito di Matteo Messina Denaro: «Lui è un nostro diocesano, si costituisca, saprà come fare».
Liberainformazione - Da queste parti sono gesti normali. Vedere un gruppo di lavoratori che raccolgono le olive è la normalità in un dei territori dove la coltivazione prevalente è quella delle olive. Qui si produce la famosa “nocellara del Belice” un'oliva parecchio rinomata. Oliva da mensa ma anche in grado di produrre un olio raffinato per ogni genere di mensa. Un olio che è arrivato finanche sulla tavola della Casa Bianca a Washington.
Ma venerdì scorso vedere questa scena, la raccolta di olive in un terreno nelle campagne di Castelvetrano, in contrada Seggio, ha assunto un carattere di grande straordinarietà. Quegli operai che indossavano il giubbotto con scritto il nome della cooperativa Placido Rizzotto di Corleone con la loro presenza segnavano intanto la prima straordinarietà, l’altra era poi quella di trovarsi a lavorare in un terreno appartenuto ad uno degli imprenditori, Sanzone di Palermo, che facevano da corollario alla famiglia dei capi mafia Messina Denaro, Francesco, morto nel 1998, e Matteo, oggi cinquantenne, latitante dal 1993. L’uliveto è confiscato, per adesso lo gestisce l’associazione Libera, la mafia aveva fatto passare voce che quel terreno una volta confiscato sarebbe rimasto non produttivo non avrebbe garantito più occupazione ed invece le cose non stanno andando come Cosa nostra voleva: qui si raccolgono, per il secondo anno consecutivo, le olive, qui presto altri lavoratori verranno a lavorare.
Con gli operai c’è un gruppo di studenti. Sono venuti a parlare con loro, dialogano con Davide Pati che per conto di Libera nazionale si occupa di beni confiscati, c’è anche il vescovo di Mazara Domenico Mogavero, al collo porta una croce che è in perfetta sintonia con l’evento, è una croce dove ad intrecciarsi sono rami di ulivo, sono riprodotti anche i frutti di quell’albero, una realizzazione perfetta. Poco dopo gli stessi studenti assieme a tanti altri presso l’aula magna della scuola “Ruggero Settimo”, a Castelvetrano, incontreranno e discuteranno ancora con il vescovo Mogavero, col prefetto Marilisa Magna, col magistrato Dino Petralia, in un confronto moderato dall’inviato de “L’Avenire” Toni Mira.
E’ stata una giornata davvero particolare. Perché a fare terra bruciata attorno al boss latitante Matteo Messina Denaro non è più solo la magistratura. C’è una coscienza civile che va crescendo. Non sono grandi passi in avanti, ma ci sono questi passi. Li stanno facendo gli studenti di Castelvetrano, magari non sono adeguatamente aiutati dagli adulti, dalla politica, dalle istituzioni locali, dove c’è chi ha consapevolezza dell’impegno, ma ancora dove tanti pensano che l’antimafia sia una passerella, e poi le cose finiscono con l’andare alla solita maniera. Ma il vento di scirocco che da queste parti quando soffia, soffia in modo intenso, e porta quella “sabbia” del deserto che contamina, lascia il suo segno, adesso quando soffia da queste parti il vento del sud porta altre particelle di “sabbia”, quelle dell’antimafia, l’antimafia dell’impegno, non si può più far finta di non vedere. Venerdì in quella sala della scuola Ruggero Settimo ad un tiro di schioppo dalla palazzina rimessa a nuova dove abitano due delle sorelle del boss latitante Messina Denaro, si è stato tutti contaminati dalla voglia di fare, dal desiderio di sapere di quegli studenti. Il magistrato Dino Petralia, pm alla procura di Marsala, che proprio 24 ore prima ha firmato un provvedimento che prima non c’era e cioè l’ordine di carcerazione per il boss latitante Matteo Messina Denaro, provvedimento che ha raccolto in un solo foglio le condanne definitive a 5 ergastoli, centinaia di anni di carcere, ha scoperto che la magistratura non è più proprio sola, quantomeno dalla sua parte ha i giovani. Grande la capacità dell’associazione Libera che li ha saputi coinvolgere, con un lavoro che a Castelvetrano è stato condotto senza tanti riflettori attorno, senza palcoscenici, ma iniziative precise, mirate. All’inizio erano pochi i ragazzi a partecipare, poi il numero è cresciuto. Non sono tutti di quelli che siedono nelle istituzioni a partecipare, ma il tempo è segnato, giocoforza non potrà durare molto la finta di essere partecipi e presenti, bisognerà presto anche per loro andare oltre le apparenze e dire da che parte vogliono stare, e però i giovani sempre di più cominciano a dire che per stare nelle istituzioni non bisogna mai prestare il fianco alla mafia, direttamente o indirettamente.
Castelvetrano non è la città di Matteo Messina Denaro, è la città dei tantissimi cittadini castelvetranesi onesti che vogliono vivere in libertà, protagonisti di una vera democrazia, senza condizionamenti e inquinamenti. Castelvetrano è la città dove verrà catturato semmai Matteo Messina Denaro che ci si immagina non uscirà in manette da grotte o dalle fogne, ma da qualche palazzo elegante, perché la sua cerchia di protezione, non è più un segreto, è fatta di soggetti che sono professionisti, colletti bianchi. Ma i ragazzi oramai sanno che il boss non può essere più “la testa dell’acqua”, il punto da dove ogni cosa ha inizio, né può essere “adorato”, Matteo Messina Denaro sanno i ragazzi che non è una persona importante, ma è solo un feroce criminale ed assassino.
Ecco Castelvetrano va cambiando in questo modo col vento di scirocco che soffia una sabbia nuova, diversa da quella di una volta, che contamina sempre, ma adesso all’inverso, non sporca, ma porta un nuovo impegno.
Sono disgustati i giovani quando apprendono che una volta davanti ai morti ammazzati si negava l’esistenza della mafia, sono disgustati i ragazzi quando oggi apprendono che per comodo c’è chi tra i politici va dicendo che la mafia è sconfitta. Dimostrano gli studenti di Castelvetrano di sapere bene che la mafia oggi è altra cosa, gestisce l’economia, e in tempi di crisi, la mafia che ha più capitali cerca di diventare una rinnovata “sirena”. Ecco come le domande poste al prefetto, al vescovo Mogavero, al pm Petralia, non sono solo domande che vogliono risposte, ma sono domande che celano precise certezze conoscitive e servono a capire fino a che punto le istituzioni civili e religiose sono oggi preparate ad affrontare la “nuova mafia”.
«Non può esistere – risponde il pm Petralia – un concetto di legalità che venga applicato solo quando si parla di mafia. La legalità deve essere semmai concetto diffuso, concetto omnibus, poi ci sono posti in cui la legalità va insegnata con più forza e questo certamente è successo a Castelvetrano dove i doveri di legalità appartengono ai genitori quanto agli insegnanti, insegnamento che deve diventare simbolo concreto di impegno. Questa non è la città di Matteo Messina Denaro, questa è una città che ha dato natali illustri a fior di magistrati, accademici, qui si sono formate e si formano menti eccelse, qui è patria di menti superiori volte al bene e volte al male. Oggi – conclude l’ex componente del Csm – la legalità deve essere verificata avendo dinanzi un nuovo obiettivo, vanno riscossi i frutti di questo insegnamento, come oggi nel terreno confiscato sono stati raccolti i frutti di un nuovo lavoro».
Giornata importante quella di venerdì perché è stata in quell’aula della scuola “Ruggero Settimo” la giornata che ha recato con se l’annuncio che presto nasceranno le cooperative trapanesi di Libera Terra così come sono cresciute in altre terre di Sicilia e d’Italia, nei fondi confiscati. «Qui nasceranno le cooperative sulle terre che furono calpestate da Rita Atria – ricorda Davide Pati – la giovane che volle consegnare a Paolo Borsellino le sue conoscenze apprese nella casa del genitore che era mafioso del paese, le terre confiscate verranno chiamate le terre di Rita Atria». Il prefetto Marilisa Magno sta accompagnando questo momento di nascita delle cooperative, assieme al prefetto Giuseppe Caruso che guida l’agenzia nazionale dei beni confiscati. «L’attacco ai patrimoni – spiega il prefetto ai ragazzi – resta e non potrebbe essere altrimenti obiettivo fondamentale dello Stato, colpire i patrimoni significa colpire interessi della criminalità organizzata, la mafia continua ad insinuarsi in tutti i settori della società, apparentemente c’è una pace sociale ma c’è ancora la mafia che è capace di impedire la crescita del bene pubblico,e quindi è grande l’impegno dello Stato che si attrezza affidando alle cooperative la gestione dei beni confiscati per favorire lo sviluppo occupazionale». «I beni confiscati diventano Cosa Nostra – ha aggiunto il prefetto – beni che sono Cosa Nostra perché sono di noi tutti, e questo è l’unico caso in cui Cosa Nostra va scritta a caratteri maiuscoli».
«La legalità ci appartiene la legalità fa vivere» afferma il vescovo Domenico Mogavero che a Castelvetrano è venuto a ricordare l’impegno per una società migliore e senza la mafia fatto da don Pino Puglisi che pagò il presso di questo suo lavoro con la vita, «un lavoro fatto con un valore aggiunto che era quello di portare in mano il Vangelo».
«Le voci isolate rimarranno tali nella lotta alla mafia, quello che serve, invece, è un impegno corale di tutti, al di la delle parole, con la concretezza delle azioni e dei fatti» ha proseguito Mogavero. «I messaggi concreti arrivano proprio da azioni come queste in questa terra che oggi torna alla società civile si raccolgono i frutti profumati di legalità, con un impegno sia del mondo civile che di quello ecclesiastico. E questa è la migliore risposta nei confronti di chi, nei giorni addietro, ha gettato discredito nei confronti di associazioni ecclesiastiche che avrebbero avuto affidamenti di comodo, che accumulano senza alcuni esito produttivo».
Il riferimento è al sindaco di Salemi Vittorio Sgarbi che ha capovolto a suo favore la decisione dell’agenzia nazionale dei beni confiscati che gli ha sottratto l’assegnazione di un fondo di 70 ettari confiscato al boss mafioso narcotrafficante Salvatore Miceli dopo che per anni il Comune di Salemi non è riuscito, o non è voluto riuscire, nell’affidamento in gestione del terreno. Anzi c’è una intercettazione in cui Sgarbi rispondendo al volere del burattinaio di Salemi, l’ex deputato Pino Giammarinaro, afferma che il terreno “a quelli di Don Ciotti non deve andare”, quando c’era Libera assieme a Slow Food che erano disponibili ad assumerlo in gestione. Oggi che l’agenzia nazionale ha revocato l’assegnazione, Sgarbi si è permesso di dire che quel terreno può essere assegnato a tutti ma non agli enti ecclesiastici che a suo dire hanno saputo sfruttare e basta.
«Non ci sono persone inattaccabili, tutti siamo esposti – risponde Mogavero ad un altro studente -. È la forza morale di ognuno di noi, poi, che ci consente di scegliere tra il bene e il male. La legalità, certamente, fa vivere». E a proposito di Matteo Messina Denaro: «Lui è un nostro diocesano, si costituisca, saprà come fare».
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