venerdì, novembre 25, 2011
Non si può imporre ai provider Internet di attuare meccanismi di filtraggio, qualunque essi siano, nemmeno di fronte a ordini emanati dalle autorità sulla base della constatazione di pirateria.

NBtimes - Questa la recente decisione (PDF) dell’Unione Europea, con la quale si chiude un contenzioso tra la SABAM (la SIAE belga) e il provider Scarlet, in lite ormai da anni. Secondo SABAM, il provider Scarlet era sede di traffici illeciti di materiale coperto da copyright. Essa ha perciò agito legalmente, finendo per chiedere l’applicazione di filtri atti a impedire l’accesso a siti ritenuti contenere materiale illegale. Ma, secondo la Corte Europea di Giustizia, un sistema di filtraggio così imponente risulta in contraddittorio con la Carta dei Diritti Fondamentali dei cittadini UE.
Non solo: ledendo diritti fondamentali come la libertà di espressione in Rete, un provvedimento del genere violerebbe anche la Direttiva Europea sul Commercio Elettronico e imporrebbe al provider dei costi di implementazione molto elevati, al punto da minacciare la sua stabilità economica.
Volendo adempiere si tratterebbe, infatti, di implementare network-wide (su tutta la rete del provider) la tecnologia di Audible Magic, con costi elevati e con il grosso rischio di falsi positivi: tale sistema non sembra sia in grado di distinguere tra traffico lecito e illecito.
Inutile dire che molti hanno sottolineato come la strada da intraprendere sia quella di una completa riforma del diritto d’autore in senso generale e a livello continentale. Del resto, se si osservano le reazioni del proponente, si può facilmente constatare che questo parte incentrando la propria contestazione sul Peer To Peer, come se fosse l’unico modo di attuare comportamenti illeciti in Rete e come se esso non potesse essere impiegato per scopi diversi dalla pirateria, perfettamente leciti.
Un sonoro ceffone, dunque, che ha immediatamente scatenato il commento degli autori sotto tutela di SABAM, i quali in un comunicato (PDF) esprimono la loro preoccupazione per il provvedimento. Utili sono invece i chiarimenti di European Digital Rights, che spiega in una piccola raccolta di FAQ come questa decisione possa essere ritenuta una vittoria per gli internauti e per le libertà di impiego della Rete.
Chiarisce anche, tuttavia, che il provvedimento emanato non significa una proibizione generale dell’attuazione di manovre di tutela, che non vuol dire aver dichiarato Internet una “zona franca” per gli effetti delle leggi e, infine, che non per questo i provider possono ritenersi sempre scagionati da qualunque responsabilità.
La sentenza, accolta con favore da Neelie Kroes, commissario UE per l’Agenda Digitale che proprio recentemente ha evidenziato le sensazioni provate dagli internauti – ma anche dalla gente comune – quando sente parlare di diritto d’autore e ha auspicato un radicale cambiamento sul tema, è destinata ad avere un impatto considerevole sul futuro della disciplina in materia.
Esistono anche diversi pareri che traggono conclusioni motu proprio, come quelli di Enzo Mazza e di Marco Polillo, rispettivamente presidente FIMI e presidente di Confindustria Cultura: secondo Mazza “la sentenza impedisce solo il filtraggio preventivo e quindi autorizza a bloccare specifiche attività illegali su Internet” e secondo Polillo “la sentenza conferma in maniera chiarissima che, ai fini del contrasto della pirateria online, l’Autorità Giudiziaria e gli Organi amministrativi di vigilanza, dopo aver accertato gli illeciti, possono ordinare provvedimenti di inibizione all’accesso attraverso il coinvolgimento degli intermediari”.
Conclusioni, peraltro, scontate: nessuno ha mai sostenuto – come chiarito anche da European Digital Rights - che Internet sia da considerarsi una no-law-zone, il che dimostra ancora una volta come tutti questi interventi messi a tacere dalla sentenza UE nascondano ben altri propositi, mirati a tutelare ben altri interessi lobbistici, per il cui ottenimento si tenta di salvare la faccia facendo assurgere i provider a sceriffi. Un meccanismo ormai talmente chiaro da essere ben noto non solo in Europa, ma anche altrove.
Ora, naturalmente, le prime conseguenze saranno le impugnazioni di tutti i provvedimenti di censura attivati in vari paesi europei, inclusa Italia. E le reazioni positive degli addetti ai lavori non mancano: Andrea Monti, presidente dell’Alcei, l’associazione per la libertà delle comunicazioni elettroniche interattive e componente dell’Advisory board di Privacy International, vede in questa sentenza “la fine di una barbarie giuridica” che pone la colpevolezza come elemento di partenza fino a prova contraria. Altrettanto soddisfatta AIIP, l’associazione italiana degli Internet Provider, il cui presidente Paolo Nuti ritiene che “il ricorso al filtraggio, come alternativa al sequestro, ha raggiunto in Italia livelli patologici”.
Viene da chiedersi se le autorità – le quali dovrebbero ricordare bene che non sono nate dotate di potere, ma gli è stato concesso dai cittadini attraverso il meccanismo della fiducia, almeno nei paesi democratici – si chiedono mai se il loro atteggiamento, in queste specifiche circostanze falso, protervo, saccente e supponente, pensano di poter conservare ancora a lungo tale concessione di fiducia.

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