Nell’incessante lotta tra Stato e Mafia, un'altra importante figura che si è posta dalla parte dello Stato e della giustizia è Mauro Rostagno, sociologo e giornalista ucciso dalla mafia
Mauro Rostagno, morto in difesa di valori quali verità e giustizia, ebbe il coraggio di denunciare le attività mafiose che si svolgevano sul territorio trapanese. Mentre i trapanesi, quelli che in Sicilia erano nati e cresciuti, tacevano e si sottomettevano ad un ordine di cose forse comodo, forse percepito come inevitabile, egli, siciliano di adozione, alzò la voce e denunciò: “La mafia è negazione di una parola un po' borghese... la dignità dell'uomo! Io voglio avere la possibilità di guardare una persona negli occhi e dirgli di sì o di no con la stessa intensità. E la mafia questo non te lo permette” (tratto da intervista rilasciata a Claudio Fava, pubblicata nella rivista “King” nell'agosto del 1988). Non era un compito che gli spettava d'obbligo: conduceva una trasmissione su una televisione locale, dove avrebbe dovuto parlare delle attività del centro di riabilitazione, ma non si poté sottrarre alla forte tentazione insita nel suo animo di denunciare il male che vedeva svolgersi quotidianamente sotto i suoi occhi, e lo fece a caro prezzo.
La vita di Mauro Rostagno fu piena e per certi versi avventurosa. Nacque a Torino il 6 marzo 1942. I genitori, di umili origini, erano entrambi impiegati alla Fiat. Visse in un quartiere popolare e a 19 anni sposò una ragazza dalla quale ebbe la prima figlia ma da cui si separò molto presto. Dopo aver vissuto in Germania e in Inghilterra, tornò in Italia, dove conseguì il diploma di ragioneria. Il suo intento però era di fare il giornalista. Si recò nuovamente all'estero, in Francia, ma anche quest'avventura durò poco: venne espulso dal paese dopo aver partecipato ad una manifestazione giovanile.
Tornato nuovamente in Italia, il periodo delle contestazioni studentesche lo vide protagonista: iscritto alla facoltà di sociologia dell'Università di Trento, nel '68 partecipò attivamente alle manifestazioni di contestazione del sistema universitario. L'anno successivo fu tra i fondatori di Lotta continua (una formazione della sinistra extraparlamentare italiana, di stampo comunista-rivoluzionario). Nel '69 si laureò con il massimo dei voti. Si trasferì dunque a Palermo per tre anni, dove svolse l'incarico di assistente alla cattedra di sociologia all'Università di Palermo. In seguito, tornato a Milano e chiusa l'esperienza di Lotta continua, fondò il centro culturale Macondo, che fu poi chiuso per attività legate agli stupefacenti.
Decise allora che fosse arrivato il momento di espatriare e di cambiare la sua vita: si trasferì con la compagna Elisabetta Roveri e la figlia Maddalena in India, dove divenne seguace di Bhagwan Shree Rajneesh, meglio conosciuto come Osho, i cui seguaci erano chiamati gli “arancioni”. Ritornato in Italia e stabilitosi a Trapani, nel 1981 fondò la comunità Saman, centro di meditazione e di recupero per i tossicodipendenti. Iniziò a collaborare per l'emittente televisiva locale Radio Tele Cine insieme ad altri ragazzi del centro. La sua rubrica attirò l'attenzione dei mafiosi, da cui Mauro però non si lasciò intimidire, nonostante le tante minacce ricevute.
La sera del 26 settembre 1988 le luci erano stranamente spente a contrada Lenzi, a poche centinaia di metri dal centro Saman. Mauro Rostagno, insieme ad una ragazza del centro, si dirigeva in sede dopo aver lavorato alla televisione. Alla sua destinazione, però, non ci arrivò mai, in quanto viene assassinato in un agguato: molti colpi lo raggiunsero e fermarono il suo cammino dai molteplici volti di giornalista, contestatore, sociologo, uomo pieno di dignità.
Come già scritto, Mauro si mise dalla parte dello Stato, combattendo una battaglia nella quale però, come molti altri, dallo Stato fu lasciato solo. I suoi rappresentati (poliziotti, procuratori, ecc) infatti lo tradirono e non seppero far altro che far rimbalzare follemente e incessantemente la palla della responsabilità dall'uno all'altro. Germanà, capo della Squadra Mobile, fu l'unico a pronunciare le parole “matrice mafiosa” relative all'assassinio di Mauro. E per questo fu esautorato dal procuratore Coci, per il quale “la mafia a Trapani non esiste”. Vennero commessi molti errori durante le primissime indagini. Molte ipotesi furono prese in esame, tranne quella corretta. Si pensò che la pista giusta conducesse alla comunità di Saman e ad un giro di droga legato ad essa. Finirono in prigione alcuni ospiti della comunità, tra cui Roveri, la compagna di Mauro. Si pensò anche ad un possibile legame dell'omicidio con il traffico d'armi con la Somalia. Un'altra ipotesi vedeva l'assassinio legato alla morte del commissario Luigi Calabresi.
Quando, nel gennaio del 2007, il giudice Antonio Ingroia chiese l'archiviazione delle indagini relative alla pista mafiosa, le speranze di giungere alla verità sembravano essersi ormai infranti nei cuori dei familiari, degli amici e dei sostenitori di Mauro Rostagno. A fine dello stesso anno, però, circa 10.000 firme giunsero al Presidente della Repubblica, chiedendo tutti la stessa cosa: la riapertura delle indagini. Nel maggio del 2009, il boss mafioso Vincernzo Virga, ritenuto responsabile di molti omicidi tra cui quello di Mauro Rostagno, è stato inviato in carcere un mandato di custodia cautelare. Nonostante ci siano ancora molti punti da chiarire, un grande passo avanti è stato fatto nella strada, ardua e tutta in salita, che conduce alla verità.
Di Mauro, intanto, non ci dimenticheremo. L'associazione “Ciao Mauro” dal 2002 si impegna a perpetrare il ricordo di Mauro, con varie attività e iniziative. Il suo motto è “Non vogliamo trovare un posto in questa società, ma creare una società in cui valga la pena di creare un posto”, a testimonianza del fatto che il ricordo di Mauro è ancora vivo nei cuori di trapanesi e non. Come Mauro stesso diceva: “La mafia è sopravvivere, l'antimafia è vivere”. E lui scelse la vita.
Mauro Rostagno, morto in difesa di valori quali verità e giustizia, ebbe il coraggio di denunciare le attività mafiose che si svolgevano sul territorio trapanese. Mentre i trapanesi, quelli che in Sicilia erano nati e cresciuti, tacevano e si sottomettevano ad un ordine di cose forse comodo, forse percepito come inevitabile, egli, siciliano di adozione, alzò la voce e denunciò: “La mafia è negazione di una parola un po' borghese... la dignità dell'uomo! Io voglio avere la possibilità di guardare una persona negli occhi e dirgli di sì o di no con la stessa intensità. E la mafia questo non te lo permette” (tratto da intervista rilasciata a Claudio Fava, pubblicata nella rivista “King” nell'agosto del 1988). Non era un compito che gli spettava d'obbligo: conduceva una trasmissione su una televisione locale, dove avrebbe dovuto parlare delle attività del centro di riabilitazione, ma non si poté sottrarre alla forte tentazione insita nel suo animo di denunciare il male che vedeva svolgersi quotidianamente sotto i suoi occhi, e lo fece a caro prezzo.
La vita di Mauro Rostagno fu piena e per certi versi avventurosa. Nacque a Torino il 6 marzo 1942. I genitori, di umili origini, erano entrambi impiegati alla Fiat. Visse in un quartiere popolare e a 19 anni sposò una ragazza dalla quale ebbe la prima figlia ma da cui si separò molto presto. Dopo aver vissuto in Germania e in Inghilterra, tornò in Italia, dove conseguì il diploma di ragioneria. Il suo intento però era di fare il giornalista. Si recò nuovamente all'estero, in Francia, ma anche quest'avventura durò poco: venne espulso dal paese dopo aver partecipato ad una manifestazione giovanile.
Tornato nuovamente in Italia, il periodo delle contestazioni studentesche lo vide protagonista: iscritto alla facoltà di sociologia dell'Università di Trento, nel '68 partecipò attivamente alle manifestazioni di contestazione del sistema universitario. L'anno successivo fu tra i fondatori di Lotta continua (una formazione della sinistra extraparlamentare italiana, di stampo comunista-rivoluzionario). Nel '69 si laureò con il massimo dei voti. Si trasferì dunque a Palermo per tre anni, dove svolse l'incarico di assistente alla cattedra di sociologia all'Università di Palermo. In seguito, tornato a Milano e chiusa l'esperienza di Lotta continua, fondò il centro culturale Macondo, che fu poi chiuso per attività legate agli stupefacenti.
Decise allora che fosse arrivato il momento di espatriare e di cambiare la sua vita: si trasferì con la compagna Elisabetta Roveri e la figlia Maddalena in India, dove divenne seguace di Bhagwan Shree Rajneesh, meglio conosciuto come Osho, i cui seguaci erano chiamati gli “arancioni”. Ritornato in Italia e stabilitosi a Trapani, nel 1981 fondò la comunità Saman, centro di meditazione e di recupero per i tossicodipendenti. Iniziò a collaborare per l'emittente televisiva locale Radio Tele Cine insieme ad altri ragazzi del centro. La sua rubrica attirò l'attenzione dei mafiosi, da cui Mauro però non si lasciò intimidire, nonostante le tante minacce ricevute.
La sera del 26 settembre 1988 le luci erano stranamente spente a contrada Lenzi, a poche centinaia di metri dal centro Saman. Mauro Rostagno, insieme ad una ragazza del centro, si dirigeva in sede dopo aver lavorato alla televisione. Alla sua destinazione, però, non ci arrivò mai, in quanto viene assassinato in un agguato: molti colpi lo raggiunsero e fermarono il suo cammino dai molteplici volti di giornalista, contestatore, sociologo, uomo pieno di dignità.
Come già scritto, Mauro si mise dalla parte dello Stato, combattendo una battaglia nella quale però, come molti altri, dallo Stato fu lasciato solo. I suoi rappresentati (poliziotti, procuratori, ecc) infatti lo tradirono e non seppero far altro che far rimbalzare follemente e incessantemente la palla della responsabilità dall'uno all'altro. Germanà, capo della Squadra Mobile, fu l'unico a pronunciare le parole “matrice mafiosa” relative all'assassinio di Mauro. E per questo fu esautorato dal procuratore Coci, per il quale “la mafia a Trapani non esiste”. Vennero commessi molti errori durante le primissime indagini. Molte ipotesi furono prese in esame, tranne quella corretta. Si pensò che la pista giusta conducesse alla comunità di Saman e ad un giro di droga legato ad essa. Finirono in prigione alcuni ospiti della comunità, tra cui Roveri, la compagna di Mauro. Si pensò anche ad un possibile legame dell'omicidio con il traffico d'armi con la Somalia. Un'altra ipotesi vedeva l'assassinio legato alla morte del commissario Luigi Calabresi.
Quando, nel gennaio del 2007, il giudice Antonio Ingroia chiese l'archiviazione delle indagini relative alla pista mafiosa, le speranze di giungere alla verità sembravano essersi ormai infranti nei cuori dei familiari, degli amici e dei sostenitori di Mauro Rostagno. A fine dello stesso anno, però, circa 10.000 firme giunsero al Presidente della Repubblica, chiedendo tutti la stessa cosa: la riapertura delle indagini. Nel maggio del 2009, il boss mafioso Vincernzo Virga, ritenuto responsabile di molti omicidi tra cui quello di Mauro Rostagno, è stato inviato in carcere un mandato di custodia cautelare. Nonostante ci siano ancora molti punti da chiarire, un grande passo avanti è stato fatto nella strada, ardua e tutta in salita, che conduce alla verità.
Di Mauro, intanto, non ci dimenticheremo. L'associazione “Ciao Mauro” dal 2002 si impegna a perpetrare il ricordo di Mauro, con varie attività e iniziative. Il suo motto è “Non vogliamo trovare un posto in questa società, ma creare una società in cui valga la pena di creare un posto”, a testimonianza del fatto che il ricordo di Mauro è ancora vivo nei cuori di trapanesi e non. Come Mauro stesso diceva: “La mafia è sopravvivere, l'antimafia è vivere”. E lui scelse la vita.
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Sono presenti 3 commenti
L'articolo mette bene in evidenza la vicenda umana di Mauro Rostagno, ma esistono tuttora parecchi punti oscuri ancora da chiarire. Annoverarlo tra i martiri della mafia allo stato non è possibile...
Se volete seguire il processo ai due mafiosi:http://www.facebook.com/groups/169068116473254/
Antonio Ingroia è l'attuale pm al processo in corso a Trapani, quello che propose l'archiviazione del caso è probabilmente Garofalo, quello che nel 1996 si inventò la pista interna.
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