Sono 3800, quasi tutti di paesi dell’Africa sub sahariana, richiedenti asilo o già con lo status di rifugiato e, soprattutto, tutti senza una patria in cui far ritorno.
Agenzia Misna - A Choucha, pezzo di Tunisia al confine con la Libia, il campo profughi allestito dallo scorso marzo per chi fuggiva dalla guerra tra Gheddafi e insorti, non ci sono più libici, le facce parlano di altri paesi e di altre guerre. “Sono rimasti i più sfortunati – dice alla MISNA Rocco Nuri, addetto alle relazioni esterne in Tunisia per l’Alto commissariato dell’Onu per i rifugiati – e, ad eccezione di 300 iracheni, gli altri 3500 sono per lo più originari del Corno d’Africa. Non possono tornare in Libia, dove hanno perso tutto e dove non c’è sufficiente sicurezza per loro, non possono tornare nei paesi di origine, aspettano di essere accolti da qualche parte nel mondo”.
Per questi ultimi tra gli ultimi (78% uomini, poi donne e 500 minori) è stato attivato un programma di inserimento e sono state inviate richieste a 11 paesi perché li accolgano. Finora la risposta più convinta è arrivata dalla Norvegia.
Testimonianze raccolte da Amnesty International danno un’idea delle sofferenze vissute da questa gente, in molti casi scacciata dalla Libia per il colore della pelle, perché nei momenti più acuti del conflitto chi era nero poteva essere considerato un sostenitore di Gheddafi.
Un rapporto pubblicato da un’altra organizzazione non governativa, l’americana Human rights watch (Hrw), ha rivelato la sorte toccata agli abitanti di Tawergha, città non distante da Misurata, conquistata ad agosto dagli uomini del Consiglio nazionale di transizione. La città, riferisce Hrw, che prima della guerra contava 30.000 abitanti circa – in gran parte di pelle scura per motivi legati alla storia stessa della città e al fatto di essere stata in passato un centro collegato alla tratta degli schiavi – è stata abbandonata, molti abitanti uccisi, una parte della città saccheggiata e distrutta per il presunto sostegno dato a Gheddafi.
Agenzia Misna - A Choucha, pezzo di Tunisia al confine con la Libia, il campo profughi allestito dallo scorso marzo per chi fuggiva dalla guerra tra Gheddafi e insorti, non ci sono più libici, le facce parlano di altri paesi e di altre guerre. “Sono rimasti i più sfortunati – dice alla MISNA Rocco Nuri, addetto alle relazioni esterne in Tunisia per l’Alto commissariato dell’Onu per i rifugiati – e, ad eccezione di 300 iracheni, gli altri 3500 sono per lo più originari del Corno d’Africa. Non possono tornare in Libia, dove hanno perso tutto e dove non c’è sufficiente sicurezza per loro, non possono tornare nei paesi di origine, aspettano di essere accolti da qualche parte nel mondo”.
Per questi ultimi tra gli ultimi (78% uomini, poi donne e 500 minori) è stato attivato un programma di inserimento e sono state inviate richieste a 11 paesi perché li accolgano. Finora la risposta più convinta è arrivata dalla Norvegia.
Testimonianze raccolte da Amnesty International danno un’idea delle sofferenze vissute da questa gente, in molti casi scacciata dalla Libia per il colore della pelle, perché nei momenti più acuti del conflitto chi era nero poteva essere considerato un sostenitore di Gheddafi.
Un rapporto pubblicato da un’altra organizzazione non governativa, l’americana Human rights watch (Hrw), ha rivelato la sorte toccata agli abitanti di Tawergha, città non distante da Misurata, conquistata ad agosto dagli uomini del Consiglio nazionale di transizione. La città, riferisce Hrw, che prima della guerra contava 30.000 abitanti circa – in gran parte di pelle scura per motivi legati alla storia stessa della città e al fatto di essere stata in passato un centro collegato alla tratta degli schiavi – è stata abbandonata, molti abitanti uccisi, una parte della città saccheggiata e distrutta per il presunto sostegno dato a Gheddafi.
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