E’ cominciata a Sirte e Bani Walid la campagna di bonifica di ordigni inesplosi e munizioni lasciate sul terreno dopo i combattimenti tra gli uomini del Consiglio nazionale di transizione (Cnt) e quelli rimasti fedeli fino all’ultimo al colonnello Muammar Gheddafi, ucciso proprio a Sirte, sua città natale. Lo riferiscono alla MISNA fonti del Comitato internazionale della Croce Rossa contattate a Bengasi .
Agenzia Misna - Le operazioni di bonifica sono state precedute da una campagna di sensibilizzazione per spiegare alla popolazione civile i rischi e le minacce rappresentate da ordigni ancora potenzialmente attivi. In un recente rapporto, Amnesty International ha sottolineato le responsabilità di molti paesi, in particolare occidentali, che negli ultimi anni hanno fornito ingenti quantità di armi alla Libia. Armi che sono state utilizzate durante il conflitto e che hanno anche alimentato un traffico verso la frontiera meridionale dove operano diversi gruppi armati.
Il rapporto sottolinea che nel corso dei combattimenti, sono state usate bombe a grappolo di produzione spagnola, mine anticarro brasiliane, mine cinesi, armi italiane francesi, belghe e ceche oltre che di altri paesi.
“Armi che continuano a uccidere anche dopo decenni dal loro trasferimento in Libia” ha detto alla MISNA Emilio Emmolo, ricercatore dell’Archivio disarmo di Roma. “Il problema degli ordigni inesplosi non è nella contingenza del conflitto – aggiunge Emmolo – perché si tratta di armi, le mine e le bombe a grappolo in particolare, che aggravano la situazione nelle fasi successive”. La disponibilità di armi a ex combattenti e popolazione civile, secondo il ricercatore, “sarà sicuramente uno dei fattori di attenzione per il percorso da intraprendere in Libia da ora in poi”.
Agenzia Misna - Le operazioni di bonifica sono state precedute da una campagna di sensibilizzazione per spiegare alla popolazione civile i rischi e le minacce rappresentate da ordigni ancora potenzialmente attivi. In un recente rapporto, Amnesty International ha sottolineato le responsabilità di molti paesi, in particolare occidentali, che negli ultimi anni hanno fornito ingenti quantità di armi alla Libia. Armi che sono state utilizzate durante il conflitto e che hanno anche alimentato un traffico verso la frontiera meridionale dove operano diversi gruppi armati.
Il rapporto sottolinea che nel corso dei combattimenti, sono state usate bombe a grappolo di produzione spagnola, mine anticarro brasiliane, mine cinesi, armi italiane francesi, belghe e ceche oltre che di altri paesi.
“Armi che continuano a uccidere anche dopo decenni dal loro trasferimento in Libia” ha detto alla MISNA Emilio Emmolo, ricercatore dell’Archivio disarmo di Roma. “Il problema degli ordigni inesplosi non è nella contingenza del conflitto – aggiunge Emmolo – perché si tratta di armi, le mine e le bombe a grappolo in particolare, che aggravano la situazione nelle fasi successive”. La disponibilità di armi a ex combattenti e popolazione civile, secondo il ricercatore, “sarà sicuramente uno dei fattori di attenzione per il percorso da intraprendere in Libia da ora in poi”.
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