«Il lavoro è la questione centrale che in dieci anni abbiamo monitorato - dice la Caritas Ambrosiana - La crisi ha accentuato il problema ma ha messo in luce anche un altro aspetto del disagio: non è più sufficiente avere un’occupazione per potersi considerare al riparo dalla povertà», ha detto don Roberto Davanzo, direttore di Caritas
«I working poors, di cui i sociologi parlano da qualche anno - ha fatto osservare don Davanzo - sono ormai una quota, fortunatamente ancora minoritaria ma in preoccupante ascesa, degli utenti dei centri di ascolto Caritas. Sono uomini, non più solo donne, italiani e non più solo stranieri, che con il coraggio della disperazione superano la vergogna sociale di bussare alle porte del parroco per chiedere non più il lavoro, che sanno di non poter ottenere, ma i “lavoretti”, le prestazioni occasionali, il pagamento delle bollette del gas e della luce e dei libri di scuola dei figli. Da queste storie emerge una rassegnazione e una mancanza di prospettive che toglie il respiro. Ridare ossigeno a queste persone è la sfida dei prossimi anni in cui la politica, innanzitutto, deve assumersi la responsabilità di farvi fronte, intervenendo sul mercato del lavoro, ma anche modificando i sistemi di protezione sociale oggi incapaci di dare una risposta ad ampie fasce della popolazione».
Un reddito di autonomia per una sussidiarietà attivante - Dall’analisi dei dati contenuti nei Rapporti sulle povertà degli ultimi 10 anni emerge che i servizi Caritas e i centri di ascolto hanno non solo svolto una funzione sostituiva dei servizi per l’impiego pubblici, ma sono diventati “il collettore di una domanda sempre più marcata per le politiche esplicite di contrasto alla povertà”. Per dare una risposta a questo bisogno servirebbe, dunque, un ripensamento dell’impostazione corrente del welfare.
A questo proposito la Delegazione Caritas della Regione Lombardia (che riunisce le
Caritas delle dieci diocesi lombarde) ha proposto l’attivazione sperimentale in Lombardia del reddito di autonomia. Secondo questa proposta i beneficiari riceverebbero un sostegno economico ma a fronte della sottoscrizione di un patto vincolante che prevede ad esempio l’iscrizione ai centri per l’impiego, la partecipazione a corsi di riqualificazione professionale, l’obbligo di frequenza scolastica per i figli. La misura dovrebbe sostituire misure già esistenti. La copertura finanziaria sarebbe quindi garantita da una razionalizzazione della spesa sociale.
«L’analisi dei dati del 10° Rapporto sulle povertà impone la necessità di dare delle riposte più incisive. Quella del reddito minimo è una delle ipotesi che abbiamo voluto indicare», ha commentato don Davanzo.
«I working poors, di cui i sociologi parlano da qualche anno - ha fatto osservare don Davanzo - sono ormai una quota, fortunatamente ancora minoritaria ma in preoccupante ascesa, degli utenti dei centri di ascolto Caritas. Sono uomini, non più solo donne, italiani e non più solo stranieri, che con il coraggio della disperazione superano la vergogna sociale di bussare alle porte del parroco per chiedere non più il lavoro, che sanno di non poter ottenere, ma i “lavoretti”, le prestazioni occasionali, il pagamento delle bollette del gas e della luce e dei libri di scuola dei figli. Da queste storie emerge una rassegnazione e una mancanza di prospettive che toglie il respiro. Ridare ossigeno a queste persone è la sfida dei prossimi anni in cui la politica, innanzitutto, deve assumersi la responsabilità di farvi fronte, intervenendo sul mercato del lavoro, ma anche modificando i sistemi di protezione sociale oggi incapaci di dare una risposta ad ampie fasce della popolazione».
Un reddito di autonomia per una sussidiarietà attivante - Dall’analisi dei dati contenuti nei Rapporti sulle povertà degli ultimi 10 anni emerge che i servizi Caritas e i centri di ascolto hanno non solo svolto una funzione sostituiva dei servizi per l’impiego pubblici, ma sono diventati “il collettore di una domanda sempre più marcata per le politiche esplicite di contrasto alla povertà”. Per dare una risposta a questo bisogno servirebbe, dunque, un ripensamento dell’impostazione corrente del welfare.
A questo proposito la Delegazione Caritas della Regione Lombardia (che riunisce le
Caritas delle dieci diocesi lombarde) ha proposto l’attivazione sperimentale in Lombardia del reddito di autonomia. Secondo questa proposta i beneficiari riceverebbero un sostegno economico ma a fronte della sottoscrizione di un patto vincolante che prevede ad esempio l’iscrizione ai centri per l’impiego, la partecipazione a corsi di riqualificazione professionale, l’obbligo di frequenza scolastica per i figli. La misura dovrebbe sostituire misure già esistenti. La copertura finanziaria sarebbe quindi garantita da una razionalizzazione della spesa sociale.
«L’analisi dei dati del 10° Rapporto sulle povertà impone la necessità di dare delle riposte più incisive. Quella del reddito minimo è una delle ipotesi che abbiamo voluto indicare», ha commentato don Davanzo.
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È presente 1 commento
La situazione è preoccupante, confidiamo nella buona politica (che verrà ?) altrimenti altro che terrorismo....rivoluzione per il pane!
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