martedì, novembre 29, 2011
Oggi Greenpeace Giappone lancia la classifica del pesce radioattivo. Una guida al consumo che stima le precauzioni adottate dai maggiori rivenditori di pesce del Giappone per garantire ai consumatori maggiore sicurezza alimentare.

GreenPeace - Sicurezza che, i livelli di contaminazione radioattiva ammessi dal Governo Giapponese e pari a 500 bequerel/kg, non garantiscono appieno. Gli abitanti dell'arcipelago del Giappone storicamente dipendono dal mare per le proteine: oltre l'80% delle proteine animali della dieta nipponica deriva oggi dal mare e anche per questo il Giappone è il maggior mercato ittico del pianeta. Tale stile di vita espone la popolazione locale a una delle conseguenze meno note, e più difficili da valutare, del disastro di Fukushima: grandi quantitativi di sostanze radioattive sono finite in mare, ma è difficile tracciarne il destino ed è impossibile "recuperarle". Si tratta di un lascito pluridecennale alle generazioni future: il Cesio 137 ha un tempo di dimezzamento di trent'anni e, normalmente, si assume che la contaminazione si "azzeri" dopo dieci cicli di dimezzamento. Parliamo di tre secoli.

Dopo i casi recenti di contaminazione del riso, un altro degli alimenti simbolo del Giappone, Greenpeace lancia oggi questa particolare classifica. Due gli strumenti per realizzarla: un laboratorio di analisi e un questionario, inviato ai rivenditori per valutarne le politiche di acquisto, le procedure di sicurezza e il grado di trasparenza ai consumatori. Oltre a ciò Greenpeace ha chiesto alle aziende cosa avevano fatto per costringere il Governo a un miglior monitoraggio del pescato, pubblicando i dati rilevati.

I nomi della classifica (Ito Yokado, Daiei, Uny (Apita), Seiyu…) a noi non dicono molto, ma basti dire che in testa c'è AEON, il maggior rivenditore di pesce del Giappone e, probabilmente, del mondo, che già dall'inizio del mese su pressione di Greenpeace ha adottato una politica a "radiazione zero". Dimostrando ancora una volta che, se vogliono, le imprese possono lavorare per garantire la sicurezza dei consumatori.

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