mercoledì, novembre 02, 2011
"In questo momento, se in ogni paese arabo si potessero svolgere elezioni libere e democratiche vincerebbero i partiti di ispirazione islamica come è successo in Tunisia e come probabilmente avverrà in Egitto, ma questo non deve generare paure e timori”.

Agenzia Misna - Raggiunto dalla Misna, l’arcivescovo di Tunisi, monsignor Maroun Elias Lahham, è categorico, essenziale, asciutto. “Ennahda – prosegue – ha vinto perché per anni ha rappresentato l’unica vera opposizione al regime di Ben Ali, perché per questo motivo è stata perseguitata, e anche perché si è fatta portatrice di valori sentiti da tutti”. Una ricetta semplice che è stata accompagnata da una buona campagna elettorale, da un’organizzazione sperimentata e che ha potuto contare su alcuni fattori esterni: “La sconfitta dei partiti laici e del Pdp, in particolare, che ha pagato alcune ‘scomode’ amicizie con esponenti del vecchio regime. Paradossalmente poi molti laici hanno scelto Ennahda perché questa ha toccato le corde giuste anche per quell’elettorato che non si rivede completamente nelle linee del partito. D’altra parte, nessuno, compresi i vertici di Ennahda, si aspettava un’affermazione del genere, una vittoria di oltre il 40% dei voti, quando tutti i pronostici davano il 20-30% al massimo. Un altro fattore che ha reso più evidente la sconfitta dei laici è stato determinato dalla dispersione del voto in tanti partitini che ora hanno uno-due seggi”.

Il voto tunisino è carico di simboli: è stato il primo paese a ribellarsi al suo regime decennale, a una dittatura mascherata di democrazia o comunque accettata dall’occidente. Ed è stato il primo paese della cosiddetta Primavera araba a imboccare un processo di transizione. “Penso che anche in Egitto i partiti islamici si imporranno alle elezioni – ribadisce l’arcivescovo di Tunisi – e se un giorno si dovesse votare in Libia, anche lì avremmo probabilmente lo stesso scenario. Il punto non è comunque che l’islam governi, ma quale tipo di islam. Quello tunisino non è quello sudanese, non è quello iraniano, non è nemmeno quello egiziano. Probabilmente in Egitto la situazione sarebbe diversa, ma c’è qualcosa di nuovo che qualunque partito o coalizione vada a governare adesso deve tenere in conto: la piazza ha dimostrato di sapersi ribellare alle dittature e chi non rispetterà i meccanismi della democrazia rischia di fare la stessa fine. Ed è anche a questa sfida che è chiamata la Tunisia, sebbene il voto in Egitto a livello regionale può sicuramente essere considerato più importante”.

L’Europa, conclude monsignor Lahham, “deve avere un approccio nuovo e diverso con le realtà che stanno prendendo corpo nella sponda sud del Mediterraneo: “Come ha avuto essa stessa partiti di ispirazione cristiana, non deve porre condizioni che pregiudichino la presenza al governo di partiti di ispirazione islamica. L’islam può essere democratico ed Ennahda è chiamata dimostrarlo”.

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