lunedì, novembre 07, 2011
Il Kimberley Process revoca il ban sull'export delle pietre preziose estratte nelle miniere di Marange, un bacino che vale tre miliardi di dollari che già fa gola ai generali di Mugabe

PeaceReporter - Il tradimento si è consumato lunedì 31 ottobre, a Kinshasa, Repubblica Democratica del Congo. Qui erano riuniti i membri del Kimberley Process (Kp), lo schema messo in piedi dalle società di punta dell'industria diamantifera, da alcuni Paesi (quelli più coinvolti nei processi di estrazione, lavorazione, distribuzione e commercializzazione) e da Ong, per fermare la commercializzazione dei cosiddetti diamanti di sangue, quelli cioè la cui estrazione finanzia milizie impegnate in conflitti e, in senso lato, è alla base della violazione ripetuta dei diritti umani. L'ultima riunione del Kp ha dato via libera alla vendita dei diamanti raccolti nel Chiadzwa, Zimbabwe, in tre siti minerari che appartengono al complesso più comunemente noto come Marange.Sui diamanti raccolti nell'area pesava un ban, voluto e difeso da Unione Europea e Stati Uniti, per via del triste record di abusi commessi nelle miniere, confiscate illegalmente ad una società britannica nel 2006 dal governo dello Zimbabwe e poste sotto il controllo di esercito e polizia. Lavoro forzato, anche minorile, stupri, aggressioni e omicidi sommari nei siti di Marange sono la norma. Più di tutto, però, fecero notizia i circa 200 morti nella repressione del 2006, con cui i militari fecero piazza pulita di rivoltosi e cercatori di fortuna in proprio.

Dal 2009, il Kimberley Process si era avvitato in una discussione sull'oppotunità o meno di concedere l'autorizzazione all'esportazione dei diamanti del Chiadzwa. La plenaria, l'ottava, è cominciata con un tentativo di rivolta da parte delle ong che presentivano la svolta negativa: alla fine gli Stati Uniti si sono astenuti e gli altri hanno votato a favore. La rappresentante Usa, Victoria Nuland, l'ha spiegato senza giri di parole: è stato un compromesso necessario, altrimenti il Kimberley Process si sarebbe sfasciato. Ma in questo modo si è deciso di spuntare qualsiasi arma di pressione sul governo dello Zimbabwe, che in questi anni ha portato avanti solo operazioni maquillage nell'area del Chiadzwa. Le violenze e le violazioni dei diritti umani continuano come prima e i militari sono ancora padroni. Basta leggere il commento di organizzazioni come Global Witness o Partnership Africa Canada, gruppi che della lotta ai bloody diamonds hanno fatto una bandiera. Alla fine ha pesato il pressing di India, una potenza dell'industria della lavorazione dei diamanti, e la Cina, interessata allo sfruttamento delle miniere di Marange, sulle quali, fino a ieri, avevano diritti di ricerca ed estrazione due società, la Marange Resources, statale, e la Mbada Investments, della quale il governo di Harare possiede il 50 per cento. Ma presto, si aggiungerà una terza compagnia, la Anjin Zimbabwe, joint venture tra i due governi.

I dati discussi dal World Diamond Council, parte del Kp, alla plenaria, hanno fotografato il peso dello Zimbabwe nel mercato dei diamanti. Nel 2010, la produzione diamantifera del Paese africano si è attestata sul valore di 340 milioni di dollari, il doppio di quella della Repubblica Democratica del Congo (174 milioni di dollari), più del doppio dell'Angola (134 milioni), due tra i principali produttori continentali e mondiali. Le miniere di Marange costituiscono un bacino dall'enorme potenziale che consentirà allo Zimbabwe di scalare la classifica dei maggiori Paesi produttori. Si parla di un tesoro di quasi cinque milioni di pietre, per un valore di oltre tre miliardi di dollari. Fino ad oggi, i 60 mila ettari del Chadzwa sono stati, come tutte le miniere di diamanti del Paese, il polmone principale dell'imponente apparato repressivo che tiene in piedi il regime agonizzante di Robert Mugabe e dei suoi gerarchi. Da qui arrivavano i soldi per armare le squadracce responsabili, da una decina di anni, delle violenze contro oppositori, dissidenti e farmer bianchi. Nel 2012 il Paese andrà alle urne: il disco verde alla vendita di un tesoro del quale beneficerà sempre e soltanto l'inner circle presidenziale, non è stata una mossa proprio indovinata, se l'obiettivo è quello di favorire la transizione ad un sistema più democratico e rispettoso dei diritti umani. Anche se Mugabe è ormai fuori dai giochi, i suoi generali non rinunceranno all'enorme fetta di potere che si sono garantiti in questi anni. La lotta per la successione è già iniziata, prima sotterraneamente, per poi venire alla luce del sole con la misteriosa morte di uno dei king maker principali, l'ex generale Solomon Mujuru, il marito di Joyce, la vice di Mugabe. Pochi giorni fa è stato arrestato il suo braccio destro, Farai Rwodzi. I clan si combattono da tempo senza esclusioni di colpi: il controllo delle miniere di diamanti è al tempo stesso un fine e un mezzo con cui combattere la guerra. Per questo la decisione del Kp ha raggelato l'opposizione e soprattutto il premier Morgan Tsvangirai. Le milizie vicine al partito di governo, lo Zanu-Pf, sono sempre più fuori controllo e la situazione potrebbe peggiorare ancora. Tra una decina di giorni gli ispettori del Kimberley Process procederanno alle ultime ispezioni e poi cominceranno l'esportazioni. Verranno venduti anche i 900 mila carati estratti in questi due anni dalle miniere di Marange, diamanti davvero sporchi di sangue.

Alberto Tundo

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