Una riflessione attuale attorno ad un monumento della guerra fredda
dal nostro corrispondente a Londra Renato Zilio
A due passi dalla nostra parrocchia italiana a Londra in Brixton Road, si innalza in tutta la sua maestosità su un prato verdissimo il museo della guerra: Imperial War Museum. Lo si chiama qui familiarmente con la sola sigla: IWM. Ha l’aspetto di una cattedrale dall’esterno, quasi fosse un tempio per il dio Marte. All’interno, vi attende un viaggio appassionante tra la prima e la seconda guerra mondiale, le guerre inglesi nel mondo e la Shoah. Racconti e scenografia di eccezione. All’esterno, invece, andandovene, vi colpirà in mezzo al prato un pezzo di muro di Berlino. Un’enorme scritta, tipo murales, vi si stampa subito negli occhi: “Change your life”.
Con un museo della guerra come vicino di casa il pensiero corre spesso alla guerra dell’emigrazione combattuta qui dai nostri italiani. Una guerra pacifica, ma che esigeva tutte le forze del coraggio e della tenacia. D’altronde una guerra non ancora finita, con la massa di giovani diplomati che vi arrivano ancora, combattendo con la loro vita in prima linea. Gli italiani, tuttavia, venuti qui da quaranta o cinquant’anni si sentono di far parte ormai di questo popolo, di aver contribuito al successo di questa nazione e di essere impregnati di questa cultura. Non potrei neppure chiamarli migranti... rischierei di offenderli! Change your life. Il loro combattimento è diventato una vita nuova, integrata, una dignità e un avvenire per i figli. Anche se le radici, è vero, non si dimenticano.
Passando davanti a questo muro si pensa anche alla nostra terra. Questo invito sembra diventare un appello vitale. A superare il nostro tradizionale spirito polemico, di contraddizione o di contrapposizione. All’estero - dove la natura delle cose e delle persone si compara - vi diranno che un cliente o un gruppo italiano sarà sempre il più difficile da accontentare, avrà sempre qualcosa da ridire... Change your life prende il respiro ampio del saper costruire qualcosa in comune, superando i particolarismi che ci attanagliano. Tutti insieme, emigranti compresi - cioè gli italiani di domani - dovremmo saper costruire a più mani un avvenire comune.
Bisogna superare il nostro medioevo, il nostro spirito feudale. Lo abbiamo trasportato dentro di noi segretamente, pur adattandoci a tempi nuovi o a situazione mutate. D’altronde, la notra cultura non ha mai conosciuto grandi rivoluzioni come in altri angoli d’Europa: quella industriale in terra inglese, quella ideale in Francia o quella religiosa in Svizzera o Germania. Abbiamo continuato a coltivare il senso della corporazione, del privilegio, del condono, del particolare, del nostro fazzoletto di terra, dell'ognuno-per-sè. Oltre alla relazione verticale del signore feudale sulla sua terra o sugli altri. Tutto questo lo risentono subito i nostri emigranti di ritorno al paese, vivendo in società differenti spesso più funzionali e moderne. Perfino l’ultima stagione politica che sembrava ispirata a traghettare nella modernità la nostra patria la riduceva – da vari punti di vista, ma soprattutto dei valori - a una locomotiva su un binario morto. Gli interessi hanno sostituito i valori. Sembrava ancora di risentire Giuseppe Tomasi di Lampedusa: “Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi”.
Change your life. Un appello a vivere, avanzare, costruire insieme. Dove la sinergia e l’inclusione siano la regola d’oro e l’esclusione un virus mortale. Insieme: è il volto più vero e più bello del Dio cristiano, che - a differenza della verticalità di Allah, un signore feudale nel mondo religioso musulmano - è comunione, comunità, essere-insieme. Un valore di eccellenza in una terra-mosaico come la nostra.
Sarà necessario, in fondo, porsi una semplice domanda. Essa si presenta in ogni gruppo, in ogni famiglia, là dove il valore della comunione sta al di sopra di ogni interesse particolare. A che cosa devo rinunciare, perchè la nostra unità abbia l’ultima parola?
dal nostro corrispondente a Londra Renato Zilio
A due passi dalla nostra parrocchia italiana a Londra in Brixton Road, si innalza in tutta la sua maestosità su un prato verdissimo il museo della guerra: Imperial War Museum. Lo si chiama qui familiarmente con la sola sigla: IWM. Ha l’aspetto di una cattedrale dall’esterno, quasi fosse un tempio per il dio Marte. All’interno, vi attende un viaggio appassionante tra la prima e la seconda guerra mondiale, le guerre inglesi nel mondo e la Shoah. Racconti e scenografia di eccezione. All’esterno, invece, andandovene, vi colpirà in mezzo al prato un pezzo di muro di Berlino. Un’enorme scritta, tipo murales, vi si stampa subito negli occhi: “Change your life”.
Con un museo della guerra come vicino di casa il pensiero corre spesso alla guerra dell’emigrazione combattuta qui dai nostri italiani. Una guerra pacifica, ma che esigeva tutte le forze del coraggio e della tenacia. D’altronde una guerra non ancora finita, con la massa di giovani diplomati che vi arrivano ancora, combattendo con la loro vita in prima linea. Gli italiani, tuttavia, venuti qui da quaranta o cinquant’anni si sentono di far parte ormai di questo popolo, di aver contribuito al successo di questa nazione e di essere impregnati di questa cultura. Non potrei neppure chiamarli migranti... rischierei di offenderli! Change your life. Il loro combattimento è diventato una vita nuova, integrata, una dignità e un avvenire per i figli. Anche se le radici, è vero, non si dimenticano.
Passando davanti a questo muro si pensa anche alla nostra terra. Questo invito sembra diventare un appello vitale. A superare il nostro tradizionale spirito polemico, di contraddizione o di contrapposizione. All’estero - dove la natura delle cose e delle persone si compara - vi diranno che un cliente o un gruppo italiano sarà sempre il più difficile da accontentare, avrà sempre qualcosa da ridire... Change your life prende il respiro ampio del saper costruire qualcosa in comune, superando i particolarismi che ci attanagliano. Tutti insieme, emigranti compresi - cioè gli italiani di domani - dovremmo saper costruire a più mani un avvenire comune.
Bisogna superare il nostro medioevo, il nostro spirito feudale. Lo abbiamo trasportato dentro di noi segretamente, pur adattandoci a tempi nuovi o a situazione mutate. D’altronde, la notra cultura non ha mai conosciuto grandi rivoluzioni come in altri angoli d’Europa: quella industriale in terra inglese, quella ideale in Francia o quella religiosa in Svizzera o Germania. Abbiamo continuato a coltivare il senso della corporazione, del privilegio, del condono, del particolare, del nostro fazzoletto di terra, dell'ognuno-per-sè. Oltre alla relazione verticale del signore feudale sulla sua terra o sugli altri. Tutto questo lo risentono subito i nostri emigranti di ritorno al paese, vivendo in società differenti spesso più funzionali e moderne. Perfino l’ultima stagione politica che sembrava ispirata a traghettare nella modernità la nostra patria la riduceva – da vari punti di vista, ma soprattutto dei valori - a una locomotiva su un binario morto. Gli interessi hanno sostituito i valori. Sembrava ancora di risentire Giuseppe Tomasi di Lampedusa: “Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi”.
Change your life. Un appello a vivere, avanzare, costruire insieme. Dove la sinergia e l’inclusione siano la regola d’oro e l’esclusione un virus mortale. Insieme: è il volto più vero e più bello del Dio cristiano, che - a differenza della verticalità di Allah, un signore feudale nel mondo religioso musulmano - è comunione, comunità, essere-insieme. Un valore di eccellenza in una terra-mosaico come la nostra.
Sarà necessario, in fondo, porsi una semplice domanda. Essa si presenta in ogni gruppo, in ogni famiglia, là dove il valore della comunione sta al di sopra di ogni interesse particolare. A che cosa devo rinunciare, perchè la nostra unità abbia l’ultima parola?
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È presente 1 commento
Prima volta che ricevo il Vostro settimanale.
Ho trovato gli articoli molto interessanti su
temi di attualita`.
L`impaginazione molto moderna>
Ringrazio per aver inviato
Cordiali saluti, from Mrs. D`Achille
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