Dopo due giorni in più di infuocati colloqui, gli sfiniti delegati della Cop17 Unfccc di Durban hanno approvato un accordo sui cambiamenti che per la prima volta chiede a tutti i maggiori inquinatori del pianeta, anche ai nuovi giganti economici Cina ed India, di lavorare davvero per rallentare il global warming ed il cambiamento climatico.
GreenReport - Dopo anni di tentativi falliti (e pensando che a Durbano tutti prevedevano un tracollo) l'accordo del Sudafrica sembra un passo in avanti ed il protocollo di Kyoto, nonostante si siano sfilati Paesi come Canada, Giappone e Russia, non è stato ucciso ed anzi è stato esteso per 5 anni dopo la scadenza del 2012. Un documento separato obbliga grandi paesi emergenti come la Cina e l'India, esclusi dagli obblighi di Kyoto, ad accettare in futuro obiettivi di riduzione delle emissioni legalmente vincolanti.
Dopo giorni di accesissimo dibattito, la presidente della Cop17 Maite Nkoana-Mashabane, criticata da molti per la debolezza con cui ha gestito la conferenza, ha esortato le delegazioni, che ormai erano ad una spaccatura vicina alla rissa politica, ad approvare quattro pacchetti, che hanno forza legale. Alla fine la ministro degli esteri sudafricana ha potuto dire: «Siamo venuti qui con un piano A ed abbiamo concluso questo meeting con un piano A per salvare un pianeta per il futuro dei nostri figli e dopo dei nostri nipoti. Abbiamo fatto la storia».
Il merito di questo accordo va soprattutto all'Unione europea ed al Brasile che hanno molto lavorato per isolare le posizioni contrapposte di Usa ed India cercando di spostare verso la roadmap Ue le economie emergenti, i Paesi poveri ed i gruppi dell'Africa e dei piccoli Stati insulari. Questa volta l'Ue, senza le zavorre del governo Berlusconi e del blocco dei Paesi dell'Est che si era coagulato intorno alle furbizie italiane, ha spinto per mettere davanti alle loro responsabilità i tre maggiori responsabili delle emissioni di gas serra: Cina, Usa ed India che resistevano.
Il ministro dell'ambiente indiano al termine della lettura del documento finale non eraper niente contento: «Abbiamo avuto discussioni molto intense, non siamo rimasti soddisfatti della riapertura del testo, ma nello spirito di flessibilità e di compromesso mostrato da tutti, abbiamo dimostrato la nostra flessibilità, abbiamo concordato sulle parole che sono state appena dette e siamo d'accordo per adottarle».
Non sono molto contenti, per motivi opposti, ambientalisti e piccoli Stati insulari, che hanno detto che l'accordo di Durban, che prevede che tutti i Paesi del mondo aderiscano ad un "legal regime" sui tagli di gas serra al più tardi entro il 2020, non è ancora abbastanza forte e che i tempi di attuazione ed i finanziamenti lasciano troppo spazio di manovra ai Paesi industrializzati e non garantiscono davvero la riduzione in tempi rapidi dei gas serra, necessaria per evitare la catastrofe climatica prevista dagli scienziati a questi ritmi di crescita delle emissioni. Selwin Hart, capo-negoziatore dei Piccoli Stati insulari dell'Aosis, preferisce vedere il bicchiere mezzo pieno: «Avrei voluto ottenere di più, ma almeno abbiamo qualcosa su cui lavorare. Non tutto è ancora perduto».
Ma il capo della delegazione brasiliana Luiz Alberto Figueiredo, difende l'accordo: «Sono sollevato che abbiamo quel che siamo venuti qui per ottenere. Abbiamo un risultato robusto, un ottimo testo di una nuova fase nella lotta internazionale contro il cambiamento climatico. E indica chiaramente l'azione».
Oltre alla prosecuzione del Protocollo di Kyoto l'accordo prevede l'istituzione di organismi che raccolgono, gestiscono e distribuiscono miliardi di dollari l'anno per i Paesi poveri. Il pacchetto di Durban contiene anche l'impegno per approvare regole per controllare e verificare la riduzione delle emissioni, la protezione delle foreste, il trasferimento di tecnologie pulite ai Paesi in via di sviluppo ed affronta decine di problemi tecnici. La piattaforma proposta a Durban offre comunque risposte a problemi che hanno tormentato i climate change talks dell'Onu per anni, ad iniziare dalla condivisione della responsabilità di controllare le emissioni di CO2 e di aiutare i Paesi più poveri e più vulnerabili ad affrontare e ad adattarsi ai cambiamenti climatici.
Gli Usa come sempre sono stati riluttanti, pensando più alle prossime elezioni presidenziali ed all'opposizione repubblicana ecoscettica al Congresso che al destino del pianeta. Naturalmente gli Usa continuano a non aderire al Protocollo di Kyoto, ma il loro capo-delegazione, l'inviato di Obama Todd Stern ha ammesso: «Questo è un pacchetto molto significativo. A nessuno di noi piace tutto quel che contiene. Credetemi, ce n'è in abbondanza perché gli Stati Uniti non siano entusiasti», ma ha aggiunto: «Alla fine, è andata abbastanza bene. E' il pezzo mancante che cercavamo in corrispondenza con il Protocollo di Kyoto. Abbiamo ottenuto il tipo di simmetria che ci era stata indicata sin dall'inizio dell'amministrazione Obama. Questo ha tutti gli elementi che stavamo cercando».
E' stata l'india a guidare il gruppo degli obiettori, Natarajan ha detto che voleva opzioni meno rigorose per i Paesi emergenti e che la proposta Ue mina il principio della responsabilità condivisa ma differenziata tanto cara anche alla Cina, visto che i Paesi in via di sviluppo hanno meno responsabilità dei Paesi industrializzati che hanno causato il global warming con 200 anni di inquinamento industriale. Il potente capo negoziatore cinese, Xie Zhenua, dopo aver appoggiato le azioni di disturbo indiane, era visibilmente arrabbiato: «L'equità della ripartizione degli oneri non può essere trasferita. I Pesi industrializzati non sono all'altezza delle loro promesse, mentre Cina e gli altri Paesi in via di sviluppo hanno lanciato ambiziosi programmi verdi. Stiamo facendo tutto ciò che dobbiamo fare. Stiamo facendo cose che voi non state facendo. Non siete qualificati per dire cose del genere».
Sabato il dibattito è proseguito dopo la mezzanotte, con i Paesi divisi in due, fino a quando la presidente della Cop17 Nkoana-Mashabane ha preso da parte delegati dell'Ue e dell'India chiedendo che trovassero entro 10 minuti un testo di compromesso. Di minuti ce ne sono voluti 50 ma Natarajan e il commissario europeo all'azione climatica, Connie Hedegaard hanno trovato la soluzione approvata, forse per sfinimento, dalle centinaia di delegati rimasti. L'Unione europea, che a questo punto rappresenta il principale blocco di Paesi che rientrano negli impegni del Protocollo di Kyoto, aveva annunciato che il prolungamento dei suoi obiettivi era subordinato al fatto che anche i Paesi emergenti accettassero tagli obbligatori. «La divisione del mondo in due parti disuguali del XX secolo non è più valida nel mondo di oggi», ha detto la delegazione Ue. La bozza di documento contestata invitava i Paesi del mondo a completare entro 4 anni i negoziati per «Un protocollo, un altro strumento giuridico, o un esito legale», per il post-Kyoto. Poi ci vorranno circa 5 anni per la ratifica. Ma l'Ue ha contestato l'aggiunta delle due parole "esito legale", perché questa formula avrebbe permesso ai Paesi di sottrarsi agli impegni. Il compromesso finale, raggiunto alle 3:30 del mattino, ha cambiato la cosa in «Un risultato concordato con forza legale».
La Hedegaard è soddisfatta: «Pensavamo di avere la giusta strategia, pensiamo che abbia funzionato. La cosa importante è che ora tutte le grandi economie, tutte le parti devono impegnarsi in futuro in modo legale ed è quello per cui siamo venuti qui». Il ministro per l'energia e il clima britannico, Chris Huhne, che si è dato molto da fare a Durban, ha sottolineato: «Questo è un grande successo per la diplomazia europea. Siamo riusciti a portare i grandi emettitori come Usa, India e Cina in una roadmap che garantirà un accordo globale». Il capo-delegazione dell'Africa Group. Tosi Mpanu-Mpanu è meno entusiasta: «E' una via di mezzo, ci incontriamo a metà strada. Naturalmente non siamo completamente soddisfatti del risultato, manca di equilibrio, ma crediamo che stiamo iniziando ad andare nella giusta direzione».
La segretaria esecutiva dell'Unfccc, Christiana Figueres, ha chiuso la Cop17 dicendo: «Saluto i Paesi che hanno fatto questo accordo. Hanno tutti messo da parte alcuni obiettivi loro cari per soddisfare uno scopo comune, una soluzione a lungo termine al cambiamento climatico».
GreenReport - Dopo anni di tentativi falliti (e pensando che a Durbano tutti prevedevano un tracollo) l'accordo del Sudafrica sembra un passo in avanti ed il protocollo di Kyoto, nonostante si siano sfilati Paesi come Canada, Giappone e Russia, non è stato ucciso ed anzi è stato esteso per 5 anni dopo la scadenza del 2012. Un documento separato obbliga grandi paesi emergenti come la Cina e l'India, esclusi dagli obblighi di Kyoto, ad accettare in futuro obiettivi di riduzione delle emissioni legalmente vincolanti.
Dopo giorni di accesissimo dibattito, la presidente della Cop17 Maite Nkoana-Mashabane, criticata da molti per la debolezza con cui ha gestito la conferenza, ha esortato le delegazioni, che ormai erano ad una spaccatura vicina alla rissa politica, ad approvare quattro pacchetti, che hanno forza legale. Alla fine la ministro degli esteri sudafricana ha potuto dire: «Siamo venuti qui con un piano A ed abbiamo concluso questo meeting con un piano A per salvare un pianeta per il futuro dei nostri figli e dopo dei nostri nipoti. Abbiamo fatto la storia».
Il merito di questo accordo va soprattutto all'Unione europea ed al Brasile che hanno molto lavorato per isolare le posizioni contrapposte di Usa ed India cercando di spostare verso la roadmap Ue le economie emergenti, i Paesi poveri ed i gruppi dell'Africa e dei piccoli Stati insulari. Questa volta l'Ue, senza le zavorre del governo Berlusconi e del blocco dei Paesi dell'Est che si era coagulato intorno alle furbizie italiane, ha spinto per mettere davanti alle loro responsabilità i tre maggiori responsabili delle emissioni di gas serra: Cina, Usa ed India che resistevano.
Il ministro dell'ambiente indiano al termine della lettura del documento finale non eraper niente contento: «Abbiamo avuto discussioni molto intense, non siamo rimasti soddisfatti della riapertura del testo, ma nello spirito di flessibilità e di compromesso mostrato da tutti, abbiamo dimostrato la nostra flessibilità, abbiamo concordato sulle parole che sono state appena dette e siamo d'accordo per adottarle».
Non sono molto contenti, per motivi opposti, ambientalisti e piccoli Stati insulari, che hanno detto che l'accordo di Durban, che prevede che tutti i Paesi del mondo aderiscano ad un "legal regime" sui tagli di gas serra al più tardi entro il 2020, non è ancora abbastanza forte e che i tempi di attuazione ed i finanziamenti lasciano troppo spazio di manovra ai Paesi industrializzati e non garantiscono davvero la riduzione in tempi rapidi dei gas serra, necessaria per evitare la catastrofe climatica prevista dagli scienziati a questi ritmi di crescita delle emissioni. Selwin Hart, capo-negoziatore dei Piccoli Stati insulari dell'Aosis, preferisce vedere il bicchiere mezzo pieno: «Avrei voluto ottenere di più, ma almeno abbiamo qualcosa su cui lavorare. Non tutto è ancora perduto».
Ma il capo della delegazione brasiliana Luiz Alberto Figueiredo, difende l'accordo: «Sono sollevato che abbiamo quel che siamo venuti qui per ottenere. Abbiamo un risultato robusto, un ottimo testo di una nuova fase nella lotta internazionale contro il cambiamento climatico. E indica chiaramente l'azione».
Oltre alla prosecuzione del Protocollo di Kyoto l'accordo prevede l'istituzione di organismi che raccolgono, gestiscono e distribuiscono miliardi di dollari l'anno per i Paesi poveri. Il pacchetto di Durban contiene anche l'impegno per approvare regole per controllare e verificare la riduzione delle emissioni, la protezione delle foreste, il trasferimento di tecnologie pulite ai Paesi in via di sviluppo ed affronta decine di problemi tecnici. La piattaforma proposta a Durban offre comunque risposte a problemi che hanno tormentato i climate change talks dell'Onu per anni, ad iniziare dalla condivisione della responsabilità di controllare le emissioni di CO2 e di aiutare i Paesi più poveri e più vulnerabili ad affrontare e ad adattarsi ai cambiamenti climatici.
Gli Usa come sempre sono stati riluttanti, pensando più alle prossime elezioni presidenziali ed all'opposizione repubblicana ecoscettica al Congresso che al destino del pianeta. Naturalmente gli Usa continuano a non aderire al Protocollo di Kyoto, ma il loro capo-delegazione, l'inviato di Obama Todd Stern ha ammesso: «Questo è un pacchetto molto significativo. A nessuno di noi piace tutto quel che contiene. Credetemi, ce n'è in abbondanza perché gli Stati Uniti non siano entusiasti», ma ha aggiunto: «Alla fine, è andata abbastanza bene. E' il pezzo mancante che cercavamo in corrispondenza con il Protocollo di Kyoto. Abbiamo ottenuto il tipo di simmetria che ci era stata indicata sin dall'inizio dell'amministrazione Obama. Questo ha tutti gli elementi che stavamo cercando».
E' stata l'india a guidare il gruppo degli obiettori, Natarajan ha detto che voleva opzioni meno rigorose per i Paesi emergenti e che la proposta Ue mina il principio della responsabilità condivisa ma differenziata tanto cara anche alla Cina, visto che i Paesi in via di sviluppo hanno meno responsabilità dei Paesi industrializzati che hanno causato il global warming con 200 anni di inquinamento industriale. Il potente capo negoziatore cinese, Xie Zhenua, dopo aver appoggiato le azioni di disturbo indiane, era visibilmente arrabbiato: «L'equità della ripartizione degli oneri non può essere trasferita. I Pesi industrializzati non sono all'altezza delle loro promesse, mentre Cina e gli altri Paesi in via di sviluppo hanno lanciato ambiziosi programmi verdi. Stiamo facendo tutto ciò che dobbiamo fare. Stiamo facendo cose che voi non state facendo. Non siete qualificati per dire cose del genere».
Sabato il dibattito è proseguito dopo la mezzanotte, con i Paesi divisi in due, fino a quando la presidente della Cop17 Nkoana-Mashabane ha preso da parte delegati dell'Ue e dell'India chiedendo che trovassero entro 10 minuti un testo di compromesso. Di minuti ce ne sono voluti 50 ma Natarajan e il commissario europeo all'azione climatica, Connie Hedegaard hanno trovato la soluzione approvata, forse per sfinimento, dalle centinaia di delegati rimasti. L'Unione europea, che a questo punto rappresenta il principale blocco di Paesi che rientrano negli impegni del Protocollo di Kyoto, aveva annunciato che il prolungamento dei suoi obiettivi era subordinato al fatto che anche i Paesi emergenti accettassero tagli obbligatori. «La divisione del mondo in due parti disuguali del XX secolo non è più valida nel mondo di oggi», ha detto la delegazione Ue. La bozza di documento contestata invitava i Paesi del mondo a completare entro 4 anni i negoziati per «Un protocollo, un altro strumento giuridico, o un esito legale», per il post-Kyoto. Poi ci vorranno circa 5 anni per la ratifica. Ma l'Ue ha contestato l'aggiunta delle due parole "esito legale", perché questa formula avrebbe permesso ai Paesi di sottrarsi agli impegni. Il compromesso finale, raggiunto alle 3:30 del mattino, ha cambiato la cosa in «Un risultato concordato con forza legale».
La Hedegaard è soddisfatta: «Pensavamo di avere la giusta strategia, pensiamo che abbia funzionato. La cosa importante è che ora tutte le grandi economie, tutte le parti devono impegnarsi in futuro in modo legale ed è quello per cui siamo venuti qui». Il ministro per l'energia e il clima britannico, Chris Huhne, che si è dato molto da fare a Durban, ha sottolineato: «Questo è un grande successo per la diplomazia europea. Siamo riusciti a portare i grandi emettitori come Usa, India e Cina in una roadmap che garantirà un accordo globale». Il capo-delegazione dell'Africa Group. Tosi Mpanu-Mpanu è meno entusiasta: «E' una via di mezzo, ci incontriamo a metà strada. Naturalmente non siamo completamente soddisfatti del risultato, manca di equilibrio, ma crediamo che stiamo iniziando ad andare nella giusta direzione».
La segretaria esecutiva dell'Unfccc, Christiana Figueres, ha chiuso la Cop17 dicendo: «Saluto i Paesi che hanno fatto questo accordo. Hanno tutti messo da parte alcuni obiettivi loro cari per soddisfare uno scopo comune, una soluzione a lungo termine al cambiamento climatico».
di Umberto Mazzantini
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