Vivere in una prigione pachistana è una vera punizione: le torture sono all’ordine del giorno e le condizioni di vita terribili.
Ogni lavandino è utilizzato da più di cento persone e le celle sono strette e sovraffollate. Alcuni detenuti muoiono per dei semplici colpi di calore o per insufficienza cardiaca: settantadue nel solo 2010. E per i cristiani, già svantaggiati e oppressi in libertà, la situazione è davvero insostenibile. Grazie al frate domenicano Iftikhar Moon e ai suoi confratelli, anche questo Natale i detenuti di Faisalabad trascorreranno un momento di gioia. Semplici stelle e ghirlande di carta colorata doneranno luce alle grigie mura, restituendo per qualche giorno l’atmosfera natalizia. E in una piccola stanza sarà celebrata la Santa Messa, officiata lo scorso anno dal vescovo della città, monsignor Joseph Coutts. Dopo la funzione saranno distribuiti dei piccoli regali - per lo più cibo, coperte e medicine – e i secondini musulmani riceveranno in dono biscotti e limonata.
«Purtroppo non tutti gli agenti sono brave persone - racconta ad Aiuto alla Chiesa che Soffre padre Iftikhar, responsabile della pastorale carceraria – e tra i sorveglianti c’è chi pretende soldi per consentire le visite ai detenuti cristiani». Chi non può permettersi di «corrompere» i secondini è costretto a passare la prigionia senza vedere i propri cari, osservando i compagni di cella musulmani ricevere l’affetto dei familiari. «E pensare che la maggior parte di loro è in carcere proprio perché non ha i mezzi per pagare l’ammenda stabilita dal giudice».
ACS sostiene l’opera del frate domenicano che visita regolarmente tutti i detenuti della prigione centrale di Faisalabad. La struttura ospita circa 5mila persone - tra cui un centinaio di cristiani - arrestate in maggioranza per crimini legati alla droga o al traffico illegale di alcolici. Vi sono anche dei condannati a morte, generalmente costretti a condividere in sei o in sette un’angusta cella. «Appena entro il secondino chiude immediatamente la porta di ferro dietro di me» dice padre Iftikhar che negli anni ha incontrato numerosi assassini. «Mi ricordo un killer professionista. Non sapeva neanche lui quanti uomini aveva ucciso, ma davanti a me si è pentito e ha chiesto perdono a Dio». Ovviamente non tutti si ravvedono e ad ACS il religioso esprime preoccupazione per la presenza di bande criminali intramurarie. Altri detenuti, invece, portano avanti gli ‘affari’ ordinando via telefono perfino degli omicidi.
Con l’arresto del capo famiglia, moglie e figli non hanno spesso di che vivere. Una problematica ben presente ad Aiuto alla Chiesa che Soffre che nel luglio scorso ha stanziato 20mila euro per le famiglie dei cristiani pachistani accusati ingiustamente di blasfemia e vittime d’intimidazioni, rapimenti, conversioni e matrimoni forzati. La Fondazione di diritto pontificio sostiene inoltre la Commissione Nazionale di Giustizia e Pace, che fornisce assistenza legale gratuita ai detenuti, e la pastorale carceraria.
Recentemente - in seguito ad un tentativo di evasione - la prigione di Faisalabad ha rafforzato le misure di sicurezza, consentendo le visite di padre Iftikhar solo durante le festività. «Ho provato a convincere il direttore – si rammarica il religioso – ma senza alcun risultato. Ma, almeno a Natale, riusciremo a portare Gesù Bambino ai fedeli in carcere».
“Aiuto alla Chiesa che Soffre” (ACS), Fondazione di diritto pontificio fondata nel 1947 da padre Werenfried van Straaten, si contraddistingue come l’unica organizzazione che realizza progetti per sostenere la pastorale della Chiesa laddove essa è perseguitata o priva di mezzi per adempiere la sua missione. Nel 2010 ha raccolto oltre 65 milioni di dollari nei 17 Paesi dove è presente con Sedi Nazionali e ha realizzato oltre 5.500 progetti in 153 nazioni.
Ogni lavandino è utilizzato da più di cento persone e le celle sono strette e sovraffollate. Alcuni detenuti muoiono per dei semplici colpi di calore o per insufficienza cardiaca: settantadue nel solo 2010. E per i cristiani, già svantaggiati e oppressi in libertà, la situazione è davvero insostenibile. Grazie al frate domenicano Iftikhar Moon e ai suoi confratelli, anche questo Natale i detenuti di Faisalabad trascorreranno un momento di gioia. Semplici stelle e ghirlande di carta colorata doneranno luce alle grigie mura, restituendo per qualche giorno l’atmosfera natalizia. E in una piccola stanza sarà celebrata la Santa Messa, officiata lo scorso anno dal vescovo della città, monsignor Joseph Coutts. Dopo la funzione saranno distribuiti dei piccoli regali - per lo più cibo, coperte e medicine – e i secondini musulmani riceveranno in dono biscotti e limonata.
«Purtroppo non tutti gli agenti sono brave persone - racconta ad Aiuto alla Chiesa che Soffre padre Iftikhar, responsabile della pastorale carceraria – e tra i sorveglianti c’è chi pretende soldi per consentire le visite ai detenuti cristiani». Chi non può permettersi di «corrompere» i secondini è costretto a passare la prigionia senza vedere i propri cari, osservando i compagni di cella musulmani ricevere l’affetto dei familiari. «E pensare che la maggior parte di loro è in carcere proprio perché non ha i mezzi per pagare l’ammenda stabilita dal giudice».
ACS sostiene l’opera del frate domenicano che visita regolarmente tutti i detenuti della prigione centrale di Faisalabad. La struttura ospita circa 5mila persone - tra cui un centinaio di cristiani - arrestate in maggioranza per crimini legati alla droga o al traffico illegale di alcolici. Vi sono anche dei condannati a morte, generalmente costretti a condividere in sei o in sette un’angusta cella. «Appena entro il secondino chiude immediatamente la porta di ferro dietro di me» dice padre Iftikhar che negli anni ha incontrato numerosi assassini. «Mi ricordo un killer professionista. Non sapeva neanche lui quanti uomini aveva ucciso, ma davanti a me si è pentito e ha chiesto perdono a Dio». Ovviamente non tutti si ravvedono e ad ACS il religioso esprime preoccupazione per la presenza di bande criminali intramurarie. Altri detenuti, invece, portano avanti gli ‘affari’ ordinando via telefono perfino degli omicidi.
Con l’arresto del capo famiglia, moglie e figli non hanno spesso di che vivere. Una problematica ben presente ad Aiuto alla Chiesa che Soffre che nel luglio scorso ha stanziato 20mila euro per le famiglie dei cristiani pachistani accusati ingiustamente di blasfemia e vittime d’intimidazioni, rapimenti, conversioni e matrimoni forzati. La Fondazione di diritto pontificio sostiene inoltre la Commissione Nazionale di Giustizia e Pace, che fornisce assistenza legale gratuita ai detenuti, e la pastorale carceraria.
Recentemente - in seguito ad un tentativo di evasione - la prigione di Faisalabad ha rafforzato le misure di sicurezza, consentendo le visite di padre Iftikhar solo durante le festività. «Ho provato a convincere il direttore – si rammarica il religioso – ma senza alcun risultato. Ma, almeno a Natale, riusciremo a portare Gesù Bambino ai fedeli in carcere».
“Aiuto alla Chiesa che Soffre” (ACS), Fondazione di diritto pontificio fondata nel 1947 da padre Werenfried van Straaten, si contraddistingue come l’unica organizzazione che realizza progetti per sostenere la pastorale della Chiesa laddove essa è perseguitata o priva di mezzi per adempiere la sua missione. Nel 2010 ha raccolto oltre 65 milioni di dollari nei 17 Paesi dove è presente con Sedi Nazionali e ha realizzato oltre 5.500 progetti in 153 nazioni.
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