sabato, dicembre 17, 2011
«La risposta all’AIDS non è il preservativo, ma l’educazione».

Uccr - Quest’anno si celebra il trentennale dell’AIDS essendo essa stata descritta per la prima volta nel 1981. La società pigra e nichilista -dominatrice di Facebook e del web, per intendersi- pare essersi convinta fino all’ossessione che il profilattico sia la salvezza di tutto, la prevenzione e perfino la cura. I radicali, abili sfruttatori di queste persone, sanno conquistarsi apprezzamenti cavalcando e approfittandosi di questo, del politicamente corretto per intendersi. Molto schierata sull’argomento è poi la lobby omosessualista, dato che -come ha recentemente dimostrato il “Centers for Disease Control”- gli uomini omosessuali coprono il 61% delle nuove infezioni da HIV (negli Stati Uniti), nonostante essi siano solo il 2% della popolazione del Paese e i giovani omosessuali sono l’unico gruppo in cui le nuove infezioni da HIV aumentano.

Tuttavia, si sa benissimo che in Africa l’unico metodo ad aver sconfitto l’AIDS è stato quello proposto da Suor Miriam Duggan in Uganda, basato su fedeltà al matrimonio e astinenza. La religiosa è stata recentemente premiata dall’Università di Harvard, dall’Holy Cross College degli Stati Uniti, e nel 2008 ha ricevuto un premio di riconoscimento per la sua opera dal Presidente e dal Parlamento dell’Uganda. Gli stessi ricercatori di Harvard, come Edward C. Green e Daniel Halperin, hanno riconosciuto attraverso studi scientifici la correlazione tra maggior disponibilità e uso dei condoms e tassi di infezioni HIV più alti.

Il motivo lo ha spiegato di recente Carlo-Federico Perno, responsabile dell’Unità di monitoraggio delle terapie antivirali e antineoplastiche presso l’IRCCS L. Spallanzani di Roma, direttore dell’Unità di Virologia Molecolare al Policlinico Universitario Tor Vergata e grande esperto di AIDS. In un comunicato ufficiale di Medicina e Persona, una libera Associazione fra Operatori Sanitari (www.medicinaepersona.org), ha spiegato che «l’unico modo di impedire la progressione della malattia è quello di assumere per lunghi anni, probabilmente per tutta la vita, la terapia antivirale. Il vaccino è ancora lontanissimo». Qui si dovrebbero concentrare le risorse e l’attenzione mediatica, sempre che ci sia vero interesse per il fenomeno. Ma una delle ragioni per cui il problema dell’AIDS non è ancora risolto è il fatto che «manca la percezione delle ragioni fondanti della diffusione della malattia, basate spesso su elementi comportamentali, quali l’uso di droghe iniettive e soprattutto la promiscuità sessuale. Questi elementi ancor oggi mantengono stabile, anno dopo anno, il numero di nuove infezioni (in Italia più di 3000 nel 2011), nonostante che i farmaci abbiano fatto la differenza in termini di riduzione della mortalità».

Ed ecco il punto su cui nessuno vuole soffermarsi, eccetto la Chiesa ovviamente: «La domanda fondante che pone questa malattia rimane sempre la stessa: è possibile eliminare una malattia legata spesso ai comportamenti, senza cambiare i comportamenti stessi? Il ritorno della sifilide, della gonorrea, e in genere l’aumento di tutte le patologie a trasmissione sessuale, indicano con chiarezza che il problema non è l’AIDS, ma che l’AIDS è l’epifenomeno di un problema ben più ampio, legato primariamente ad una visione positivista e libertaria. Positivista, perché ritiene certa la capacità dell’uomo di controllare l’HIV con strumenti tecnici, quali farmaci (per la terapia) e preservativi (per la prevenzione). Libertaria, perché giustificando la libertà dell’uomo di essere pieno artefice della propria vita, di fatto autorizza qualsiasi comportamento, con la sola precauzione di limitarne le conseguenze (appunto, la cultura del preservativo)».

Ma la vera prevenzione non si fa tamponando il problema con rimedi e artefici tecnici (con l’altissimo rischio di svalutare il rapporto affettivo), ma modificando culturalmente i comportamenti. Continua l’ordinario di Virologia: «Come medici, il nostro intervento sull’AIDS guarda in primis all’uomo malato, ma chiede anche la capacità di dare un giudizio sulle cause di queste malattie, sapendo che attraverso tale giudizio passano le scelte di politica sanitaria in termini di prevenzione dell’infezione».

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