venerdì, dicembre 02, 2011
In Pakistan il 95% dei processi per insulti al profeta Maometto o dissacrazioni del Corano si basano su false accuse. Lo dichiara ad Aiuto alla Chiesa che Soffre un avvocato musulmano che - per motivi di sicurezza - preferisce mantenere l’anonimato.

Acs (Italia) - Nella maggioranza dei casi la legge anti-blasfemia è utilizzata come strumento di vendetta per colpire persone innocenti. Quasi tutti gli indagati sono poveri e di bassa estrazione sociale, senza alcuna possibilità di difendersi e di sostenere la parcella di un legale. E l’accusato non può neanche contare sulla testimonianza di familiari e amici, perché se parlassero in sua difesa, rischierebbero di essere incriminati a loro volta. «Spesso – spiega ad ACS l’avvocato – l’imputato entra in aula solo e con le manette ai polsi, mentre il suo accusatore è accompagnato da 40/60 uomini pronti a avvalorare la sua versione».

La legge anti-blasfemia è stata introdotta in Pakistan nel 1986. La norma prevede l’ergastolo per chiunque profani il Corano e la pena di morte per chi insulta il Profeta Maometto. Nel suo Rapporto annuale sui diritti umani, la Commissione Nazionale di Giustizia e Pace della Chiesa cattolica pachistana documenta ogni singolo caso: nel 2010 38 persone sono state incolpate di blasfemia, tra cui 14 cristiani. E se solo il 5% degli accusati è realmente colpevole, lo scorso anno sono stati arrestati 36 innocenti.
Di norma – racconta ad ACS l’avvocato – le prove che scagionano l’imputato non compaiono se non nel più alto grado di giudizio. In Corte d’appello «quasi nessuno è dichiarato colpevole», ma fino ad allora l’indagato ha trascorso un lungo periodo in carcere. La polizia dovrebbe raccogliere gli elementi a carico entro due settimane, ma i troppi casi rallentano il lavoro degli agenti o impediscono d’investigare in modo appropriato. «Così – continua il legale – un’indagine accurata anziché 14 giorni richiede 14 mesi, che l’accusato trascorre in prigione. E se, invece, si cerca di affrettare i tempi, si corre il rischio di tralasciare prove essenziali ai fini del processo».
L’avvocato musulmano ha offerto assistenza legale a molte persone accusate di blasfemia, il più delle volte a titolo gratuito. A causa del suo lavoro ha ricevuto numerose minacce, estese anche alla sua famiglia. «Ma continuerò a farlo – dichiara - perché è mio dovere aiutare poveri e innocenti che non hanno la possibilità di difendersi da soli».
Aiuto alla Chiesa che Soffre – da molti anni al fianco della Chiesa pachistana – sostiene la Commissione Nazionale di Giustizia e Pace nel fornire aiuto legale gratuito ai detenuti. E nel luglio scorso l’Opera ha stanziato 20mila euro per le famiglie dei cristiani accusati ingiustamente di blasfemia e vittime di intimidazioni, rapimenti, conversioni e matrimoni forzati. Attraverso il vescovo di Faisalabad, monsignor Joseph Coutts – che da anni collabora con l’Opera – sono stati devoluti alla Commissione Nazionale di Giustizia e Pace anche 10mila euro a sostegno della pastorale.

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