mercoledì, dicembre 14, 2011
I relatori intervenuti nella prima sessione della giornata di studio organizzata dalla Provincia di Roma e dall’associazione Greenaccord Onlus si sono interrogati sul concetto di “Nuovo umanesimo”: un modo per riportare l’economia al servizio degli esseri umani e per consentire il vero progresso della società

Roma - “Una politica economica finalmente fondata sul concetto di ‘umanesimo’ può favorire la coesione sociale e può ridurre i danni causati dei fallimenti prodotti sia dai mercati sia dall’azione pubblica”. L’analisi del preside della Facoltà di Economia dell’università La Sapienza di Roma, Giuseppe Ciccarone, ha fatto da filo conduttore alla sessione mattutina dei lavori di “Verso un nuovo Umanesimo – Economia e sostenibilità sociale” in corso di svolgimento a Roma, nella Sala San Pio X di Via della Conciliazione 5 .

L’appuntamento, voluto dall’associazione culturale Greenaccord Onlus in collaborazione con la Provincia di Roma, ha l’obiettivo di analizzare le vie d’uscita virtuose contro il circolo vizioso che strangola l’Italia e l’Occidente e che ha trasformato una crisi finanziaria in un disastro economico e, infine, in un dramma che coinvolge fasce sempre più vaste delle popolazioni mondiali.

Ovviamente occorre intendersi sul significato profondo di una concetto impegnativo come ‘Nuovo Umanesimo’ e sul modo di declinarlo in ambito economico. “L’umanesimo in economia – spiega Ciccarone – non è importante solo per stimolare lavoro e politiche sociali. Significa invece un ritorno al passato. A quando, fino alla prima metà del Novecento, il benessere sociale era il fine della politica economica. Bisogna, in buona sostanza, abbandonare la deregolamentazione dei mercati finanziari, che ha prodotto effetti devastanti sulla coesione sociale e ha provocato alti tassi di disoccupazione, con riflessi drammatici sulla coesione sociale”.

Ovviamente, il nuovo approccio avrebbe riflessi positivi anche sul livello occupazionale: “Applicare il concetto di umanesimo al mercato del lavoro – osserva Ciccarone - significa quindi rimettere l’uomo al centro del sistema. Garantendo ad esso tre diritti minimi: contratto di lavoro unico, reddito minimo garantito e sussidio di disoccupazioni. “Costruire un nuovo umanesimo a livello internazionale significa quindi attuare finalmente un sistema di solidarietà globale”.

Ma nei Paesi occidentali, nonostante la crisi economica attuale, il livello di vita si mantiene comunque piuttosto elevato. Le riflessioni che possono valere per loro non necessariamente si possono adattare alla situazione del resto della popolazione mondiale. Di quel miliardo di persone che ancora oggi soffre la fame.

“La situazione attuale è figlia di tre fattori estremamente negativi”, analizza Alexander Muller, vicedirettore generale della FAO. Diseguale distribuzione della ricchezza, spreco di cibo e climate change. “In primis, un’ineguale distribuzione della ricchezza, in cui il 20% della popolazione mondiale più ricca detiene l’83% delle risorse e il 20% più povero ha a disposizione solo 1,5% del Pil mondiale. In secondo luogo, un sistema che favorisce lo spreco di cibo: su un capitale di 4600 Kcal prodotte ogni giorno nei Paesi sviluppati, se ne perdono 2600 tra nutrizione animale e falle nella catena distributiva. Infine, ci sono i cambiamenti climatici, che già da tempo provocano danni enormi alle popolazioni più povere, concentrate in massima parte nell’Africa Sub-sahariana e in Asia. Ecco perché, a livello internazionale, è indifferibile la costruzione di una solidarietà globale, che dia risposte alle esigenze di tutela delle risorse naturali e di sicurezza alimentare”.

Il concetto di ‘Nuovo umanesimo’ in tal senso si sposa con la costruzione di un modello di progresso sostenibile. Inevitabilmente connesso con i principi di giustizia sociale e ambientale. Ne è convinto Maurizio Franzini, professore ordinario di Politica economica all’Università La Sapienza di Roma: “Gli aspetti di equità sociale e ambientale sono fondamentali per la costruzione del nuovo modello”, spiega Franzini. “Anche perché sono due delle aree in cui il modello attuale, che sperimentiamo da decenni, ha abbondantemente fallito. Sono settori che richiedono interventi importanti, che però, per realizzarsi necessitano di precondizioni ancora non a portata di mano. Questi argomenti, soprattutto, devono essere riconosciuti come fondamentali da parte dei decisori nazionali e internazionali, che possono davvero adottare le riforme mondiali”.

Un terreno sul quale c’è ancora molto da lavorare. “Le vicende recenti sull’ambito delle disuguaglianze e della sostenibilità ambientale non fanno ben sperare per cambiamenti a breve”, ammette Franzini. “Ma gli spazi sicuramente ci sono. La speranza è che si affermi questa consapevolezza dalla quale dipende il nostro benessere sociale sia nell’immediato che nel futuro”.

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